Il Consiglio dei Ministri ha deciso che alla parte meno abbiente della popolazione italiana, dal primo gennaio 2018, verrà dedicata la misura del reddito di inclusione, un assegno mensile concesso per un periodo massimo di 18 mesi, che va dai 190 ai 485 euro per le famiglie più numerose.

Il ReL, acronimo che indica per l’appunto il Reddito di Inclusione, andrà a sostituire il Sostegno all’Inclusione Attiva (SIA) e l’assegno di disoccupazione, e sarà risevato alla famiglie che possiedono un ISEE, l’indicatore della situazione economica equivalente, di 6 mila euro al massimo e un patrimonio immobiliare non superiore ai 20 mila euro, esclusa la prima casa.

Il patrimonio mobiliare degli aventi diritto, invece, non dovrà superare un valore che oscilla fra i 6 mila e i 10 mila euro in rapporto al numero dei componenti del nucleo familiare.

Stante l’alto numero di richieste che verosimilmente giungerà agli uffici preposti — si stima che potranno usufruirne circa 660 mila famiglie —, il Governo ha stabilito delle priorità in base alle quali saranno privilegiate, almeno nella fase iniziale, le famiglie con figli minori o disabili, donne in stato di gravidanza o disoccupati di età superiore ai 55 anni.

Come funziona il reddito di inclusione?

Lo strumento che darà materiale accesso al denaro è la cosiddetta carta ReL, utilizzabile come un bancomat, dove, al momento del rilascio, sarà già presente la somma a cui la compagine familiare avrà diritto. La carta ReL potrà essere usata sia come carta di credito, pagando negli esercizi commerciali, sia come bancomat, ma in questo caso sarà possibile prelevare soltanto la metà dell’importo mensilmente concesso.

Tutti gli aventi diritto, siano essi italiani, comunitari o extracomunitari, potranno farne richiesta presso gli appositi punti informativi che, dal 1° dicembre di quest’anno, verranno aperti in ogni Comune d’Italia. Nei casi più semplici, il Governo ha fatto sapere che le pratiche saranno evase entro 20 giorni.

Esauriti i 18 mesi di durata massima dell’erogazione, se permarranno le condizioni di bisogno, il nucleo familiare interessato potrà ottenere la concessione di una nuova carta ReL, a patto che siano trascorsi almeno 6 mesi dall’ultima assegnazione.

L’accesso alla misura del reddito di inclusione, tuttavia, non si sostanzierà nella sola messa a disposizione delle somme di denaro, ma andrà di pari passo con la partecipazione ad un progetto di reinserimento sociale e professionale.

Da tenere conto, infine, che tale strumento non potrà essere concesso alle famiglie in cui un membro beneficia di un sussidio per la disoccupazione. Nessuna controindicazione, invece, per i nuclei in cui uno dei membri percepisca già un reddito proveniente da attività lavorativa.

Sin qui le indicazioni pratiche.

Il mondo politico ha accolto il provvedimento con esternazioni discordanti: mentre il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha espresso la sua soddisfazione per il fatto che «anche il nostro Paese si dota per la prima volta di una misura permanente», il Movimento Cinque Stelle non ci sta e definisce il reddito di inclusione «sterile, fallimentare e frammentario», laddove Forza Italia, per tramite del suo capogruppo alla Camera Renato Brunetta, usa la similitudine del «pannicello caldo» per etichettare la neonata misura.

Fuori (si fa per dire) dal mondo politico, si registrano pareri positivi, in particolare quelle di Don Luigi Ciotti, fondatore dell’associazione Libera e di Annamaria Furlan della CISL, che, pur plaudendo l’azione del Governo, auspica per il futuro «maggiori risorse e servizi sociali moderni per sostenere le famiglie e i più deboli».

Quest’ultimo è identificabile come il contributo più equilibrato e costruttivo, poiché se è condivisibile il pensiero secondo cui per molte famiglie italiane un aiuto come il reddito di inclusione può non essere sufficiente a riequilibrare la situazione economica, è anche vero che si tratta pur sempre di un inizio, migliorabile in corso d’opera e soprattutto da affiancare a soluzioni più durature e strutturali, che vadano a irrobustire la capacità produttiva dei settori della popolazione più svantaggiati, ai quali servono più che gentili elargizioni — utili, senza ombra di dubbio, nel breve periodo —, maggiori opportunità di crescita e sviluppo tangilibili e costanti.

Carlo Rombolà

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