Da inizio Ottocento, fino ai primi decenni del Novecento, i Freak Show erano molto popolari negli Stati Uniti (a seguire in Inghilterra). Si trattava di spettacoli a pagamento dove si esibivano persone con fattezze differenti rispetto a quelle degli abitanti del Nuovo Mondo.

In questi contesti erano presenti gemelli siamesi, persone con malformazioni fisiche o malattie rare e tutto ciò che potesse attirare gli spettatori. Tra questi vi erano anche africani, completamente nudi, legati ed esibiti come, appunto, fenomeni da baraccone (da qui il nome in inglese). Parlando di Freak Show, molti ricordano Saartjie Baartman, meglio conosciuta come la Venere Ottentotta: le sue fattezze erano inconcepibili per gli spettatori. La donna, come un animale, camminava a gattoni sul palco mentre, legata ad una catena, esponeva il suo fisico al pubblico.

Questa realtà è stata ripresa da Lorenzo Montanini, con la collaborazione di Francesco Felaco e della demografa Daniela Ghio, in una performance: un’asiatica e due africani rinchiusi in una gabbia del circo equestre. L’intento dell’artista è quello di riprodurre uno zoo fatto di umani, quelli che vengono considerati diversi e talvolta pericolosi. Dunque, arte e scienza si fondono per dare vita ad un vero e proprio esperimento sociale. La performance è visibile fino al 22 ottobre presso il Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano.

montanini performance immigrazione
Fonte: La Stampa

Tutto molto bello, toccante oppure – per citare La Stampa«ceffoni sul muso che aiutano a pensare». Peccato che non si tratti di nulla di nuovo.

Nel 1993, gli artisti Coco FuscoGuillermo Gómez-Peña diedero vita ad una performance senza eguali: The couple in the cage (video). L’idea fu quella di impersonificare due nativi di un’isola dell’Atlantico sfuggita a Cristoforo Colombo e scoperta dopo quattro secoli. Questi indossavano vestiti di pelle di animale, accessori moderni come bracciali e collane, scarpette da ginnastica e possedevano una radio che trasmetteva musica rock. Per mezzo dollaro, la donna lasciava la sua postazione – dove, senza curarsi degli spettatori, trascorreva il suo tempo davanti ad un computer portatile – per scattarsi una foto con il pubblico. Per un dollaro, nella loro lingua (guatinaui), raccontavano storia e tradizioni della loro terra d’origine e si cimentavano in balli tribali. Per cinque dollari, invece, l’uomo esponeva i suoi genitali. A corredare il tutto, presenti all’esterno della gabbia, vi erano degli assistenti pronti a dimostrare la scientificità mostrando alcune documentazioni.

Ovviamente, l’intento era quello di filmare le reazioni degli spettatori. Alcuni, spiazzando gli artisti stessi, ci credettero e protestarono con indignazione o semplicemente andarono via.

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Dunque, la performance di Montanini e Ghio è l’esempio concreto di come il fenomeno della postproduction sia sempre più insito nella nostra società: questa performance non è alla base della creazione, ma mette insieme elementi preesistenti. Si può dire che l’arte del riciclo è il nuovo modo di fare arte: la produzione del passato viene riciclata per poi cambiare semplicemente direzione. Il concetto di originalità e di creazione, che camminano di pari passo, stanno svanendo a causa di un contesto culturale improntato verso il rendere proprie idee non proprie: interpretare, riprodurre, utilizzare opere esistenti è un chiaro segnale di come la postproduction stia prendendo il sopravvento.

Ilaria Cozzolino

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