È stata inaugurata anche a via Scarlatti, a Napoli, una panchina rossa simbolo della lotta alla violenza sulle donne. Un’iniziativa per commemorare le vittime dei femminicidi e per ricordare a tutti noi che qualsiasi forma di violenza fisica e psicologica è da condannare a gran voce. Un gesto simbolico che arriva a poco più di quarantott’ore dai funerali, proprio nell’hinterland napoletano, a Boscoreale, di Imma, la donna di trentun’anni uccisa dal marito lunedì scorso.

Abbiamo colto lo spunto per approfondire questi temi e per far luce su cosa significhi oggi combattere contro la violenza di genere con la professoressa Simona Marino, delegata alle pari opportunità del Comune di Napoli.

simona marino,

Napoli non è la prima città in cui è stata installata una panchina rossa contro la violenza sulle donne. Prima di Napoli ci sono state Milano, Siena, Varese, per citarne alcune. Secondo lei in che modo un gesto simbolico come questo può servire a contrastare la violenza?

A Napoli al momento sono state istallate cinque panchine e ne prevediamo altrettante, una per municipalità. Non sono strumenti di contrasto, ma di sensibilizzazione e testimonianze di un impegno sociale contro la violenza maschile alle donne, che non è un fatto privato, né solo criminale, ma una responsabilità collettiva che riguarda tutte e tutti.

Ogni tre giorni viene uccisa una donna. C’è un modo per fermare questa spirale di dolore?

Non c’è un solo modo per fermare la violenza ma un intervento complesso che attiene a vari livelli: culturale, istituzionale, politico e giuridico.

L’incidenza di vittime di sesso femminile negli omicidi in Italia è salita dal 26,4% del 2000 al 37,1% del 2016. Secondo lei ci sono anche ragioni culturali o economiche tra le possibili cause?

Certamente la dipendenza economica è un fattore di assoggettamento delle donne, ma non è il solo. E’ ancora molto forte nel paese una visione sessista e maschilista, che riconosce alle donne un ruolo subalterno. Le relazioni di potere sono ‘dissimmetriche’ e gli uomini non riconoscono valore alla libertà femminile.

Pensa che l’inasprimento delle pene sia una soluzione efficace?

Se lo è, funziona solo sul piano simbolico. Bisogna intervenire formando le forze dell’ordine, la magistratura, le assistenti sociali e allo stesso tempo avviare nelle scuole e nei luoghi di formazione e di informazione un percorso di sensibilizzazione che rilegga non solo il fenomeno della violenza, ma tutta la nostra cultura patriarcale, a cominciare dal linguaggio.

Disparità salariale, difficoltà di accesso alla 194, sessismo veicolato spesso anche dai media. Sono molte le facce della violenza di genere. C’è un modo per dire basta? Quali sono le istanze più urgenti da portare avanti?

Queste sono le istanze più urgenti, è necessario anche implementare i centri anti-violenza, il sistema di protezione e di fuoriuscita dalla violenza che al momento è ancora molto debole.

Le attrici di Hollywood quest’anno hanno denunciato al grido di “Me too” il sessismo dilagante anche nel mondo dello spettacolo. Una presa di parola che ha rotto il muro di silenzio e a cui hanno fatto seguito anche le denunce di attrici e show girl italiane. Molti però hanno visto tutto questo come un modo per ottenere visibilità a discapito di chi realmente è vittima di violenza. Lei cosa ne pensa?

Penso che, al di là di strumentalizzazioni, sia stato un modo efficace e necessario per rompere un muro di silenzio e di omertà che è presente in ogni luogo e che reclama una presa di coscienza collettiva sia per la parità non ancora raggiunta che per il riconoscimento delle differenze.

In nome del corpo delle donne oggi vengono condotte battaglie xenofobe da parte di certi esponenti politici che istigano all’odio contro i migranti, in difesa, a loro dire, proprio dell’incolumità delle donne italiane. La spaventa questa strumentalizzazione?

Non mi spaventa, ma mi indigna perché è un falso storico, basta leggere i dati per capire che la violenza maggiore è esercitata nella relazione di coppia e sono gli uomini italiani ad avere un pessimo primato.

“Le strade sicure le fanno le donne che le attraversano” diceva uno slogan. Ma come attraversare le strade di oggi?

Le strade delle nostre città non sono ancora sicure e bisogna lavorare per questo. Si stanno diffondendo app che consentono interventi immediati, così pure sperimentazioni come i taxi rosa o le fermate di cortesia dei mezzi pubblici. Ma la sicurezza non è solo una questione di ordine pubblico, è una questione politica. Lo spazio urbano è considerato neutro, non è pensato per uomini e donne e questo limita fortemente l’agibilità per le donne che se ne devono riappropriare, invadendolo come una marea.

Giulia Tesauro

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.