Gianni Denitto è un eclettico musicista torinese con esperienze in diversi generi musicali ed è molto apprezzato sia in Italia che all’estero.
Denitto fin da bambino ha nutrito un forte amore per la musica. Inizialmente ha cominciato a studiare flauto dolce e clarinetto, ma poi decide di dedicarsi appieno al sax. Questa sua sfrenata passione lo porta ad iscriversi al Conservatorio della sua città dove si laurea con il massimo dei voti in Classica e in Jazz.
Dotato di una forte curiosità artistica, il musicista Denitto nel corso degli anni si appassiona anche ad altri generi tra cui l’elettronica e la world music. Il suo senso dell’esplorazione e la voglia di sperimentare lo hanno portato a creare quello stile musicale tutto suo che lo ha reso noto.
Dall’ottobre del 2013 il giovane sassofonista Denitto ha deciso di intraprendere il suo progetto che lo ha portato a suonare e insegnare in diversi paesi del mondo tra cui Nepal, India, Cina, Senegal, Sud Africa, Mozambico e Australia.
Gianni Denitto è stato inserito nel 2012 tra i migliori musicisti italiani dalla prestigiosa rivista ”Musica Jazz” e nel corso della sua carriera ha condiviso il palco con l’Ambasciata Italiana a Pechino, Dakar e Maputo oltre che cono numerosi artisti nazionali ed internazionali.
La redazione di Libero Pensiero News ha avuto il piacere di intervistare l’artista che ha cortesemente risposto ad alcune nostre domande. Di seguito l’intervista completa.
Come e quando ti sei innamorato del sax e della musica jazz? Chi ti ha maggiormente influenzato nel corso del tuo percorso musicale?
«Il sax è entrato nella mia vita a 13 anni quando l’ho ascoltato per la prima volta dal vivo durante un saggio della scuola media, amore da subito. La mia insegnante di musica, Ferretti, aveva notato il mio talento al flauto dolce e ha chiamato i miei genitori per convincerli a farmi fare l’esame per entrare in Conservatorio. Esame che passai ma di clarinetto, visto che il sassofono non era ancora materia di insegnamento al Conservatorio di Torino. Parallelamente agli studi classici ho cominciato a suonare il sax da autodidatta, innamorandomi subito di Charlie Parker. Divoravo le trascrizioni dei suoi assoli nel libro Omnibook. E così che mi innamorai del jazz, pian piano, ma l’amore più profondo arrivò dopo i 20 anni con la scoperta del sassofonista Massimo Urbani e lo studio con il contrabbassista Furio di Castri.»
In Conservatorio hai avuto una formazione per lo più classica e jazz. Successivamente ti sei avvicinato anche ad altri generi tra cui la word music e l’elettronica. Cosa ti ha spinto a dar vita ad uno stile musicale così variegato e ricercato?
«Si, un disco per un musicista significa mettere un punto alla propria storia personale e artistica. Io ho voluto creare un diario musicale da condividere con gli ascoltatori. Il baricentro è il sassofono, il mio mezzo di espressione, ma l’apporto dei musicisti ospiti è stato fondamentale per caratterizzare i brani emotivamente, stilisticamente e geograficamente. La cosa più bella durante i tour del disco “Brain on a Sofa”, il precedente album che mi ha permesso di girare così tanto, è stata conoscere e condividere musica con gli artisti locali.»