Lo scorso 14 novembre il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini ha ufficialmente firmato la lettera di precettazione dello sciopero del successivo venerdì, indetto su scala nazionale dai maggiori sindacati italiani (CGIL e UIL) per protestare contro la politica economica portata avanti dal governo e per ottenere l’aumento del salario dei lavoratori e delle lavoratrici di vari settori produttivi, prevalentemente dell’ambito pubblico. Tra questi, il settore dei trasporti e dell’istruzione, mentre per alcune regioni era stato previsto dai sindacati uno sciopero generale di tutti i settori.
A seguito delle indagini effettuate dalla Commissione di garanzia, un organo collegiale costituito da cinque esperti del settore nominati su indicazione dei Presidenti della Camera e del Senato, dunque espressione della maggioranza di governo, la stessa Commissione aveva invitato i sindacati ad annullare o a ridurre il numero di ore di sciopero di specifici settori produttivi. Dopo un incontro tra la Commissione di vigilanza e gli esponenti principali dei sindacati, questi ultimi avevano deciso di rimandare lo sciopero del trasporto aereo e di confermare le modalità di sciopero previste per il settore dei trasporti, senza ridurre dunque il numero di ore come richiesto dalla Commissione di garanzia. Dopo qualche ora è arrivata la firma da parte di Salvini della precettazione, e con essa una serie di polemiche sulla legittimità dello sciopero come azione politica e sulla legittimità della precettazione, un’azione percepita da alcuni come eccessivamente repressiva da parte del governo.
Cosa vuol dire precettare?
Il verbo precettare etimologicamente deriva dal latino praecipio, che secondo la definizione che ne da il Dizionario Olivetti vuol dire insegnare, dare precetti, ma in senso lato anche comandare, ordinare. In effetti, sul piano legislativo si tratta di una vera e propria imposizione da parte del governo o delle autorità competenti, che sancisce le modalità di azione dei cittadini e delle cittadine in contesti vari e impone che queste vengano rispettate, pena il pagamento di una sanzione – piuttosto salata in certi casi – imposto in questa sede ai singoli partecipanti allo sciopero e non solamente alle associazioni sindacali.
A regolare l’esercizio del diritto di sciopero e delle precettazioni è una legge, la 146 del 1990, poi parzialmente modificata nel 2000 dalla legge 83. Come riportato nel testo dell’articolo 8, in caso di «fondato pericolo di un pregiudizio [cioè di un danno] grave e imminente ai diritti della persona costituzionalmente tutelati, che potrebbe essere cagionato dall’interruzione o dalla alterazione del funzionamento dei servizi pubblici, conseguente all’esercizio dello sciopero» è prevista la possibilità da parte delle autorità competenti di emettere l’ordinanza di precettazione.
Scioperare è un gesto politico, e anche la polemica sulla legittimità dello sciopero di Salvini lo è
Si potrebbe discutere della grandissima abilità da parte di Matteo Salvini e del suo staff di interpretare arbitrariamente le parole della legge: in questo caso, quale sarebbe il pericolo di un pregiudizio grave e imminente causato dallo sciopero ai danni della cittadinanza? Si tenga presente che la legge tutela chi sciopera prescrivendo l’obbligatorietà per alcuni settori di garantire i servizi essenziali, anche se questo dovesse significare il divieto di sciopero per una parte dei dipendenti di un’azienda pubblica, ad esempio. Si potrebbe analizzare quindi la vicenda su un piano semantico, ermeneutico e linguistico e ribadire la necessità di educare la classe dirigente all’onestà intellettuale, o almeno a un uso e a un consumo corretto della lingua italiana, alla quale tanto sono affezionati.
Forse, però, il nodo della vicenda è un altro. Volendo tralasciare l’arbitrarietà della precettazione, pur riconoscendone parzialmente la legittimità sul piano legislativo, la riflessione potrebbe incentrarsi sul valore politico dello sciopero come azione di rivendicazione dei diritti essenziali dei lavoratori e delle lavoratrici.
All’interno di una fabbrica, e più in generale in qualsiasi contesto lavorativo, esiste una scala gerarchica di ripartizione delle funzioni che prevede lo sfruttamento strutturale e sistematico delle persone che lavorano ai piani più bassi. Quando la forza lavoro viene meno – perdendo anche il salario giornaliero, assumendosi dunque la responsabilità del gesto – si mette in crisi, per un giorno o più, il sistema produttivo, con conseguente danno alla cittadinanza e alla società intera. Il che sposta fortemente l’ago della bilancia del potere verso la classe sociale più debole. Forse è questo che infastidisce Matteo Salvini: forse a spaventare il ministro è la potenza dello sciopero. La Francia e l’Inghilterra ne sono la dimostrazione: per mesi in protesta contro la riforma pensionistica di Macron, i lavoratori e le lavoratrici francesi hanno ottenuto ciò che chiedevano, pagando il prezzo della violenza e della repressione.
Quindi no, neanche la polemica sugli scioperi indetti sempre di venerdì è valida. Così come la risposta dei sindacati che accusano il governo di squadrismo istituzionale è tanto vera quanto debole: se è innegabile l’atteggiamento repressivo della destra meloniana, è anche sotto gli occhi di chiunque la distanza dei sindacati dai temi cari alla sinistra negli ultimi decenni. E allora, caro Landini, di’ qualcosa di sinistra! Ribadisci l’ovvio se necessario. Se i sindacalisti parlassero la lingua di Marx, forse potrebbero replicare con maggiore facilità alle argomentazioni fallaci e tendenziose di Salvini e della destra populista.
Giulia Imbimbo