Stephen King: il genere horror come indagine dell'Uomo

Stephen King è uno degli scrittori più prolifici esistenti. Nel 1975, in seguito al successo del suo primo romanzo Carrie, propose agli editori Le notti di Salem: dopo aver raccontato il bullismo subìto da una preadolescente da parte dei suoi coetanei (ponendo il focus sulla comunità scolastica presentata con un equilibrio fallimentare e fallito) ora vuole portare tutto l’orrore del conte Dracula in una piccola cittadina, isolata dagli altri agglomerati urbani. L’idea era vincente ma, a detta dei lungimiranti editori, in seguito a tale pubblicazione il pubblico destinatario avrebbe classificato Stephen King come il Re dell’horror, affibbiandogli un’etichetta difficile da scollare.
Nel 2024, dopo oltre ottanta opere e più di 500 milioni di copie vendute, Stephen King ancora fa i conti con questa storia, sebbene abbia sperimentato generi diversi e, soprattutto, si sia divertito a spaziare e ad approfondire i topoi più svariati attraverso il filtro della letteratura di genere.

I topoi più famosi del Re

I lettori più fedeli noteranno che Stephen King è particolarmente affezionato ad alcuni temi che sono riproposti in combinazioni e in salse diverse nella sua produzione letteraria, tra i più gettonati: l’ambiente delle carceri, bambini con poteri esper, adulti dall’animo oscuro mossi da energie a loro estranee, uomini innamorati persi della loro dolce metà, scrittori in preda a un blocco artistico. Ognuno di questi topoi diventa per King un escamotage narrativo per approfondire i rapporti umani interpersonali e analizzare i sottili equilibri che si creano all’interno di una società. Ogni personaggio si presenta nei panni del suo stereotipo (il salumiere del paese, la casalinga insoddisfatta, la ragazza madre, l’adolescente secchione e quello che gioca nella squadra del liceo…) per poi spogliarsi, pagina dopo pagina, impelagandosi nelle ritrosie, nelle ansie e nelle incertezze della loro mente. Questi scorci così minuziosi sulla psiche rendono tali romanzi di genere uno strumento per indagare l’umano nella sua vita più intima e in quella pubblica/comunitaria, dipingendo realtà politiche e sociali complesse. L’incastro di queste tematiche all’interno di un tessuto narrativo avvincente, orrorifico e/o fantastico, funziona come il “miele sull’orlo della tazza, che raddolcisce al bambino la medicina amara” di cui parlava il latino Lucrezio.

Lo status symbol della letteratura classica

La superficialità che i cosiddetti cultori delle materie letterarie spendono per autori di genere e popolari come Stephen King dimostra quanto oggi l’oggetto-libro continui, irriducibile, a mantenere quella sacralità che lo allontana dal pubblico di fruitori: la parola scritta è il logos del pensiero, della ragione e della morale, costruire mondi col fine dell’intrattenimento sembra deturparne la purezza e l’elitarismo. L’allegoria è quindi il male estremo poiché non può esistere una doppia interpretazione del testo, ne deve bastare una e chi non coglie il messaggio ultimo dell’autore o chi cerca puro intrattenimento dall’esperienza della lettura, che accenda pure la televisione o si limiti a scrollare la home di Instagram.
Questo elitarismo non è per nulla funzionale. Praticare snobismo nei confronti di romanzi potenzialmente avvincenti per il loro carattere pop e commerciale, significa precludersi dei prodotti interessanti e demonizzarli agli occhi dei più giovani, che potrebbero approcciarsi positivamente alla lettura e alla letteratura.

In un’intervista pubblicata su Rolling Stone, nel 21 settembre 2015, alla domanda sul perché avesse scelto il genere letterario meno rispettato (quello horror) King risponde:

«Vero, ma che ci posso fare? È quello che sento. Mi piacciono anche D.H. Lawrence, la poesia di James Dickey, Emile Zola, Steinbeck. Fitzgerald non molto. Hemingway per niente. Hemingway fa schifo. Alla gente piace, e va bene così, ma se io provassi a scrivere in quel modo verrebbe fuori qualcosa di noioso e privo di vita. Una cosa la devo dire: io ho dato dignità al genere horror. È molto più rispettato, adesso. Ho passato la mia vita a combattere contro l’idea secondo cui alcuni generi letterari non sono considerati vera letteratura. Raymond Chandler ha dato dignità al genere poliziesco. I grandi scrittori abbattono le barriere.»

La comunità come chiave di misura del benessere sociale

Oltre a diffondere citazioni di romanzi classici e culturalmente rilevanti, potenziali suggerimenti di lettura per chi fruisce delle sue opere, Stephen King è riuscito a creare un universo fittizio per mezzo di legami intertestuali. I mondi che tramite la sua penna prendono vita, opera dopo opera, risultano però tragicamente e claustrofobicamente isolati per una ragione esterna e spesso non spiegabile da una motivazione realistica e oggettiva. Far calare dal cielo una cupola di vetro impenetrabile (in The Dome); far alzare una nebbia densa e colma di esseri mostruosi (in The mist); far decimare la popolazione mondiale per una malattia infettiva (in The Stand) o quella di una comunità per l’arrivo di un personaggio sinistro (in Cose preziose e in Le notti di Salem) ha come risultato quello di creare delle società in miniatura, del tutto nuove, alle prese con decisioni complesse. Quale sarà la loro linea di condotta? Per la sopravvivenza bisognerà ricreare un sistema economico e legislativo a imitazione di quello precedente all’evento X? Si potrebbe invece cercare una strada alternativa, col fine di provare a migliorare ciò che già c’era? Oppure, nel caos e nell’incertezza, avrebbe più senso smetterla di pianificare e di cedere all’anarchia e alla più truce legge della sopravvivenza? E gli uomini? Da quali istinti primordiali e ancestrali potrebbero essere mossi vivendo in una situazione così estrema?

Tali quesiti sono il punto di partenza per la costruzione di storie che vogliono spogliare l’animo umano di ogni precostruzione sociale, etica e morale e alla domanda “è più spaventoso l’Uomo o un essere fittizio e mostruoso?” la risposta sembra essere sembra la stessa: l’Uomo.

Sempre su Rolling Stone, King affermava: «Mi farebbe star meglio avere fede? No, credo che l’insicurezza sia un valore. Avere delle certezze ti porta all’autocompiacimento, il che vuol dire che te ne stai seduto sul tuo comodo divano in qualche bella casa in un quartiere residenziale del Michigan, guardi la CNN e dici: “Oh, quei poveri immigranti messicani che ogni giorno attraversano la frontiera! Peccato che non possiamo farli venire qui, perché Dio non vuole. Rimandiamoli al loro Paese, in mano ai cartelli della droga. […] Il male esiste? Credo nel male, ma è tutta la vita che mi chiedo se il male sia fuori o dentro di noi.[…] Il male è dentro di noi. Più passano gli anni, più mi convinco che il diavolo non esiste. Siamo noi il diavolo. E, se non risolviamo questo problema, prima o poi, finiremo per ammazzarci l’un l’altro.».

Tali idee sulla religione e sulla condotta vengono riversate sui suoi personaggi, incarnazione del più puro credente o del putrido ardore demoniaco. In The Stand le microsocietà sorte dopo l’Apocalisse sono esattamente due e i membri ne venivano risucchiati non per loro scelta, ma per le inclinazioni del loro carattere e per la forza che dimostravano avere contro la voce suadente del male. King ci suggerisce che ognuno di noi nasconde un animo che ha del marcio, la vera questione è nel non cedere alle pulsioni più putride e far valere la voce della ragione. Questa convinzione gli permette di scrivere personaggi dalle diverse fattezze, mai piatti, mai banali, ma sempre coinvolti in un dissidio interiore, pronto a far mettere in discussione tutte le loro convinzioni.

Alessia Sicuro

Alessia Sicuro
Classe '95, ha conseguito una laurea magistrale in filologia moderna presso l'Università di Napoli Federico II. Dal 2022 è una docente di lettere e con costanza cerca di trasmettere ai suoi alunni l'amore per la conoscenza e la bellezza che solo un animo curioso può riuscire a carpire. Contestualmente, la scrittura si rivela una costante che riesce a far tenere insieme tutti i pezzi di una vita in formazione.

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