Intervista a Kim Bizzarri in merito ai mufloni del Giglio
Fonte: websalute.it

Intervista a Kim Bizzarri, ricercatore e stratega di campagne ambientaliste che collabora da oltre venti anni con le maggiori associazioni ambientaliste europee basate a Bruxelles. Da tre anni coordina la campagna per salvare i mufloni del Giglio per conto dell’associazione Vita da Cani.

Il recente comunicato stampa rilasciato del Presidente dell’Ente Parco dell’Arcipelago Toscano, Giampiero Sammuri, è stata una brutta sorpresa per molti animalisti e appassionati della campagna che da 3 anni mirava a salvare il muflone del Giglio. Davvero sono stati abbattuti gli ultimi mufloni rimasti sull’isola?

«Così sembrerebbe, ma la questione è molto ambigua, e l’ambiguità, se così vogliamo chiamarla, ha caratterizzato un po’ tutto il progetto di eradicazione, che ricordo è stato co-finanziato dall’Unione Europea tramite il “Programma Life” per un totale di 1.6 milioni di Euro, 400.000 Euro dei quali destinati esclusivamente all’abbattimento di qualche decina di mufloni. Nel comunicato Sammuri parla di 35 mufloni abbattuti e di 52 mufloni catturati e traslocati in vari rifugi in Italia, ma i numeri non tornano e non è chiaro ancora chi e dove (se dentro o fuori l’area del Parco) abbia abbattuto i mufloni e sotto quale giurisdizione (se tramite il progetto Life capitanato dall’Ente Parco o tramite i permessi di caccia rilasciati dalla Regione). Molta dell’ambiguità è dovuta, di fatto, all’assenza di trasparenza e di dialogo da parte del Parco, il che non rispecchia l’ethos dei progetti Life, che incoraggiano invece il dialogo, la consultazione e la trasparenza, come previsto peraltro dalla Convenzione di Aarhus che, nel caso di questo progetto, è stata completamente violata. Figurati che in questi 4 anni in cui si è svolto il progetto il Parco non ha mai organizzato un incontro aperto alla società civile nonostante fosse tra gli obblighi contrattuali previsti dal progetto stesso. Fino ad ora, l’unico modo di ottenere delle informazioni dal Parco è stato attraverso formali richieste di accesso agli atti».

Prima di esplorare questa ambiguità, ci ricordi perché il Parco ha voluto eradicare il Muflone dall’isola del Giglio?

«Il muflone è una specie alloctona in Italia, salvo in Sardegna dove è protetto e considerato “parautottono”, una definizione che francamente fa storcere il naso anche agli zoologi, ma è stato un escamotage della Sardegna, tramite il proprio statuto speciale, per preservare il muflone sulla propria isola. Il fatto che il muflone sia alloctono, però, non significa che sia automaticamente e inevitabilmente invasivo, come invece sostiene Sammuri in varie sue interviste e dichiarazioni, in cui lo definisce invasivo poiché è un ungulato. Ricordiamoci che, per legge, l’invasività di qualunque specie alloctona va dimostrata tramite degli studi in situ e solo nel 15% dei casi, infatti, si dimostrano invasive. Queste sono statistiche internazionali riconosciute dall’UE. E se alcuni ungulati, come i cinghiali ed i cervidi, hanno un alto impatto negativo sulle biocenosi, questo non è vero per tutti gli ungulati. Il muflone, infatti, sebbene sia un ungulato, il suo brucare in modo delicato, mangiando un poco di tutto su superfici estese, anziché poche cose in area circoscritte, lo rende una eccezione tra gli ungulati. In molti casi, dunque, non si rivela invasivo, ma addirittura sembra favorire l’aumento della biodiversità. A dimostrarlo ci sono centinaia di studi condotti in tutto il mondo, tra cui in Italia, e, reggiti forte, anche all’Elba dove uno studio condotto proprio dal Parco nel 2017 è giunto alle stesse conclusioni».

Su che basi allora il parco ha richiesto l’eradicazione del muflone?

«Dal momento che gli impatti ambientali sono esigui, il Parco ha dichiarato di voler agire ‘preventivamente’, ossia di eradicare il muflone prima che divenga una minaccia per l’ambiente. È chiaro che una specie alloctona che risiede su un’isola senza la presenza di un predatore prima o poi raggiungerà dei numeri che inevitabilmente creeranno disequilibri all’ecosistema, e questo non lo abbiamo mai negato, ma dal voler agire preventivamente con il controllo di una popolazione a volerla eradicare totalmente a fucilate, esistono molte altre opzioni che il Parco, evidentemente, non ha voluto considerare. O meglio, mi correggo, nel progetto originale presentato all’UE il Parco dichiara di averle considerate, come appunto le catture e le traslocazioni, ma che nel caso del muflone del Giglio non erano fattibili, ma non fornisce alcuna spiegazione a riguardo. Guarda caso, però, appena sono scattate le denunce contro Sammuri nell’ottobre 2021, improvvisamente il Parco è riuscito a catturare una sessantina di mufloni e a traslocare, quelli che sono sopravvissuti alle catture, su questo punto ci torneremo, in vari rifugi in Italia. Incredibile come una denuncia possa compiere imprese che la scienza riteneva impossibili!».

Ma quindi su che basi hanno richiesto l’eradicazione?

«Su basi economiche, anche se recentemente Sammuri lo ha negato in varie interviste, ma, di nuovo, basta leggere il progetto presentato all’UE. Essendo un documento di oltre 150 pagine, e per di più in inglese, è chiaro che nessun giornalista lo ha letto o avrebbero potuto, in più occasioni, contraddire le dichiarazioni, chiamiamole imprecise, di Sammuri. Comunque, secondo i regolamenti UE l’eradicazione si può richiedere sulla base degli impatti negativi di una specie alloctona che sia sul piano ambientale che economico. Non potendo dimostrare gli impatti ambientali il Parco ha dichiarato che il muflone stava nuocendo all’agricoltura, in particolare alle viticolture eroiche, ma nel documento presentato all’UE non fornisce alcun dato a riguardo e gli stessi viticoltori non solo disconoscono le accuse mosse dal Parco contro i mufloni, ma si sono opposti, tramite una petizione, all’eradicazione del muflone, oramai un simbolo culturale e folcloristico dell’isola. Tramite delle richieste di accesso agli atti, abbiamo scoperto che, negli ultimi 20 anni, ossia da quando i mufloni sono evasi dal fondo chiuso in cui si trovavano, il Parco ha ricevuto solo 3 richieste di risarcimento per danni causati dai mufloni all’agricoltura, e non alle viticulture, e per un totale di € 400. Ti rendi conto, 400.000 Euro di fondi pubblici per fucilare qualche decina di animali che non hanno provocato alcun danno ambientale e che, in 20 anni, hanno generato solo 400 Euro di danni a degli agricoltori che, per altro, si oppongono alla loro eradicazione? Ci credo che dopo tre anni la questione del muflone del Giglio crei ancora scalpore. È una situazione profondamente imbarazzante che ha dell’inverosimile».

Imbarazzante davvero. Grazie Kim per questo excursus. Parlaci ora dell’ambiguità riguardo ai numeri dei mufloni abbattuti e di quelli salvati dichiarati dal Parco. Perché non tornerebbero?

«Allora, dal comunicato sembrerebbe che il totale dei mufloni abbattuti in questi 4 anni ammonterebbe a 35, ma dalle richieste di accesso agli atti i numeri non quadrano. In una richiesta di accesso agli atti il Parco dichiara di averne abbattuti 19 tra luglio 2019, ossia quando ebbe inizio il progetto, e dicembre 2022, quando presentammo la richiesta civica. Ma in una richiesta più recente, il Parco dichiara di aver abbattuto 31 mufloni nel 2022, ossia 12 mufloni in più di quanto dichiarato precedentemente. Ma la cosa inquietante è che, a novembre 2021, il Parco aveva firmato l’accordo con WWF e LAV in cui si ‘impegnava’ a sospendere gli abbattimenti in favore delle catture e delle traslocazioni, cosa che evidentemente non ha fatto e che né il WWF e né la LAV hanno monitorato adeguatamente. Questo è un punto sul quale dovremmo tornare perché, firmando l’accordo, la LAV ha de facto sentenziato a morte i mufloni».

Puoi spiegarti meglio?

«Firmare l’accordo è stato un enorme sbaglio e ora sembrerebbe essere divenuta una fonte di grandissimo imbarazzo per la LAV ed il suo presidente, Gianluca Felicetti, che lo ha firmato. Come dicevo prima, non c’erano le basi legali perché il Parco procedesse con l’eradicazione e volevamo obbligarlo, avendolo in pugno grazie alle denunce e all’attenzione mediatica (eravamo su tutti i giornali e telegiornali nazionali, oltre che su testate internazionali), di rivedere il progetto, specialmente a seguito degli ammonimenti di vari scienziati riguardo il possibile valore genetico del muflone del Giglio. Avevamo chiesto che Felicetti richiedesse al Parco di eseguire delle analisi genetiche per verificare la possibile unicità genetica del muflone del Giglio prima di prendere qualunque decisione riguardo il suo futuro, poiché anche traslocandolo, e poi sterilizzandolo, come aveva richiesto il Parco e l’ISPRA, il suo DNA sarebbe stato perduto. Ma Felicetti ha ignorato le nostre richieste ed ha firmato l’accordo, dichiarando di aver ‘salvato’ i mufloni. Non solo 9 mufloni sono morti durante le catture ed almeno due, una muflona anziana ed un piccolo di muflone strappato alla madre, sono morti qualche giorno dopo le traslocazioni, ma come abbiamo potuto vedere il Parco non ha assolutamente rispettato l’accordo ed ha comunque proceduto con gli abbattimenti. Dunque, oltre al danno, anche la beffa. Mi chiedo se Felicetti si renda conto della gravità delle sue azioni e se creda che 5 minuti di gloria su qualche testata nazionale e sui social sia valsa la vita di tutti questi mufloni, per non parlare del danno alla biodiversità».

Torniamo all’ambiguità del numero dei mufloni abbattuti/salvati.

«Allora, se il numero totale di mufloni uccisi fosse davvero 35, questo lascerebbe solo 4 mufloni abbattuti nel 2023, e questo numero sembra troppo esiguo, visto il dispendio di energie impiegate dai cacciatori e dalle forse dell’ordine presenti sull’isola. I cacciatori sono arrivati al Giglio a metà ottobre, quando la Regione Toscana ha aperto la caccia al Muflone e, facendo leva sull’emendamento ‘Caccia Selvaggia’, hanno iniziato a sparare a tutti i mufloni che si trovano al di fuori dell’area del Parco, senza limite di numero o restrizione di età, dunque animali anziani e cuccioli indistintamente. Sappiamo inoltre che qualche giorno prima del comunicato, 3 mufloni, di cui 1 femmina e 2 maschi, sarebbero stati abbattuti all’interno del fondo chiuso dove il nucleo originale dei mufloni si trovava sin dagli anni ’50 del secolo scorso. Possibile, dunque, che nelle 5 settimane precedenti 1 solo muflone sia stato abbattuto dai cacciatori? Sembra improbabile

Quale potrebbe essere l’altra ipotesi, dunque?

«Dovremo attendere i dati definitivi prima di trarre conclusioni, ma temo che il quadro dipinto dal Parco nel suo comunicato non corrisponda alla realtà. Mi sembra infatti più un esercizio di PR, un disperato tentativo di salvare la faccia, fingendo di aver salvato più mufloni (60%) di quanti ne abbia abbattuti (40%) – addirittura accusando noi attivisti di aver intralciato le operazioni di cattura e di traslocazione. Anche nella migliore delle ipotesi, ossia che il numero di mufloni abbattuti ammonti a 35, ed il numero dei mufloni traslocati ammonti a 52, dobbiamo tenere conto di tutti quegli animali che sono morti nel corso delle catture delle traslocazioni. Tramite una richiesta di accesso agli atti, sappiamo che almeno 9 mufloni sono morti durante le catture, e sappiamo inoltre che almeno 2 mufloni, una muflona anziana ed un piccolo di muflone strappato alla madre, sono morti a seguito dello stress delle traslocazioni, ma potrebbero essere di più. Dunque, oltre agli animali abbattuti, ossia almeno 35, dobbiamo aggiungerne almeno altri 11, il che porta il numero dei mufloni morti a causa di questo progetto senza senso a ben 46. Mentre da quelli traslocati dobbiamo sottrarne almeno due, quindi 50 anziché 52. 46 mufloni uccisi e 50 traslocati. Sono numeri ben diversi da quelli forniti da Sammuri. Temo, però, che il numero dei mufloni abbattuti sia molto ma molto più alto, ma dovremo aspettare di ricevere i nuovi dati prima di trarre conclusioni».

Puoi spiegaci come la caccia indetta dalla Regione Toscana ed il progetto di eradicazione del Parco siano connessi. C’è stata molta confusione intorno a questa vicenda.

«Si, come ti dicevo, si torna all’ambiguità del progetto. Dunque, nonostante il Parco abbia firmato un accordo con le associazioni per sospendere gli abbattimenti, la Regione Toscana ha emesso una delibera di caccia che ha consentito di cacciare il muflone al Giglio. È vero che la delibera permette di cacciare solo nell’area al di fuori del Parco, ma vanno fatte alcune precisazioni. Prima di tutto, la Regione Toscana è un partner a tutti gli effetti del progetto di eradicazione, dunque nel momento in cui il Parco firma un accordo che cambia la modalità dell’eradicazione, ossia eradicazione per traslocazione e non più per abbattimento, lo fa a nome di tutto il consorzio, e non a titolo personale. L’accordo, pertanto, avrebbe dovuto essere rispettato da tutti i partner del progetto, Regione Toscana inclusa – invece abbiamo visto che non è stata rispettata neppure dal Parco che l’ha firmata! Seconda precisazione, il Parco non è recintato, dunque molti dei mufloni si trovano da anni a vivere al di fuori dell’area del Parco. L’accordo di sospendere gli abbattimenti del muflone non era limitato esclusivamente all’area del Parco, poiché il progetto comprende tutta l’isola, e proprio per questa ragione La Regione Toscana partecipa al progetto. Senza il suo patrocinio il progetto non avrebbe potuto svolgersi. Il fatto che nel comunicato stampa Sammuri ringrazi la Regione per aver aiutato a raggiungere l’obiettivo del progetto, suggerisce che una certa intesa ci sia stata tra Parco e Regione per ovviare agli impegni presi con le associazioni. Se così fosse, sarebbe stata davvero una mossa vile, specialmente vista la questione dell’unicità genetica del muflone del Giglio».

Parlaci di questo aspetto genetico che ha suscitato tanto scalpore.

«Certamente. Va precisato intanto che il muflone fu portato al Giglio negli anni ’50 del secolo scorso tramite un progetto di salvaguardia e di ripopolamento della specie. Il muflone all’epoca era in via d’estinzione a causa della caccia e furono scelti gli individui più puri dal punto di vista genetico e fenotipico in modo da allevarli e preservare la specie. In Sardegna, in Corsica e a Cipro, ad esempio, dove il muflone è una specie protetta, il suo DNA si è impoverito a causa degli incroci tra mufloni e pecore domestiche. Al Giglio, l’assenza della pecora domestica ha garantito la preservazione del patrimonio genetico del muflone. Preciso, inoltre, che il muflone del Giglio appartiene alla sottospecie del muflone sardo che è una specie protetta e non cacciabile in Italia, dunque non sarebbe mai dovuto essere eradicato dal Giglio. Ma nei vari documenti prodotti dal parco, che fosse il progetto Life o il piano di gestione del Giglio, il Parco usa diverse classifiche tassonomiche per il muflone, così come fornisce racconti diversi riguardo la sua provenienza sull’isola. La storia e la classificazione cambiano di volta in volta, suggerendo una certa superficialità nella gestione del parco. Eppure, alcuni dei massimi zoologi in Italia avevano già sollevato la questione nel 2021, chiedendo al Parco di condurre delle analisi genetiche prima di iniziare ad eradicare il muflone, soprattutto alla luce di altri gravi errori commessi precedentemente dal Parco, come sull’isola di Pianosa, dove aveva rischiato, sempre tramite un altro progetto Life (finanziato per oltre 3 milioni di Euro), di estinguere l’ultima colonia di lepre bruna in Europa, ma questa è un’altra storia, e ce ne sarebbero altre. Il Parco comunque ha scelto di ignorare gli ammonimenti degli zoologi. Poi, nel 2022, la rivista “Diversity”, una delle maggiori riviste scientifiche al mondo, ha pubblicato uno studio condotto da un consorzio di studi di genetica italiani e francesi che confermava la purezza genetica del muflone del Giglio ed il suo inestimabile valore scientifico. Nonostante ciò, il Parco, così come la Regione, ha scelto di continuare ad ignorare la scienza e di procedere lo stesso con gli abbattimenti. Mi dirai che fortunatamente 50 mufloni sono stati traslocati e che quindi il loro DNA è sopravvissuto. Ti rispondo che, sopravvissuto o meno, il patrimonio genetico è stato compromesso perché impoverito dalla semplice diminuzione del numero totale degli individui esistenti, ma a peggiorare le cose ci hanno pensato il Parco e l’ISPRA, obbligando i rifugi, come dicevo prima, a sterilizzare i mufloni traslocati, e dunque di fatto estinguendo comunque questo nucleo così prezioso. Spero sia chiaro perché abbiamo deciso di denunciare l’Ente Parco e la Regione Toscana per disastro ambientale, poiché si tratta esattamente di questo. Un disastro ambientale finanziato da fondi pubblici destinati, peraltro, alla salvaguardia della biodiversità».

Ma quali altre opzioni esistono all’abbattimento? C’erano altre opzioni che il Parco avrebbe potuto considerare?

«Da un punto di vista antispecista ti rispondo che l’alternativa dovrebbe essere sempre la convivenza e quindi l’apprendimento, da parte degli esseri umani, a condividere il proprio territorio con le altre forme di vita, cercando quindi delle formule che ci permettano di coesistere in pace, anziché annientare o scacciare sistematicamente lo ‘straniero’ definendolo ‘pericoloso’. Al di fuori di un contesto antispecista, la traslocazione per molte specie può rappresentare una valida alternativa, ma non per tutte le specie. Nel caso del muflone, infatti, abbiamo visto come si è rivelata deleteria, poiché 9 mufloni sono morti durante le catture ed almeno 2 sono morti pochi giorni dopo la traslocazione. Una opzione interessante, anche se ancora in fase di collaudo in vari parchi in giro per il mondo, è la sterilizzazione farmacologica, che permette di controllare, in modo non invasivo, il numero degli animali senza doverli operare, trasferire o abbattere. Si tratta di esche specie-specifiche contenenti un anticoncezionale che dura più o meno il periodo dell’accoppiamento. Se pensiamo che i progetti Life hanno l’intento di finanziare progetti d’avanguardia, è difficile capire come la Commissione Europea abbia approvato un progetto che chiede quasi 400.000 Euro di finanziamenti destinati esclusivamente all’eradicazione del muflone tramite abbattimento per mano dei cacciatori, peraltro non remunerati, come unica soluzione. Oltre ad essere fortemente anacronistico come metodo, ci si interroga su cosa siano stati spesi i 400.000 Euro, se il lavoro lo hanno fatto i cacciatori gratuitamente. E questo è solo uno dei tanti esempi che sollevano perplessità sia sulla scientificità del progetto che sulle sue finanze. Se leggi il Piano di Eradicazione del muflone, prodotto dalla ditta DREAM Italia nel 2021 per un compenso di oltre 80.000 Euro, a pagina 14 leggerai come, nonostante esistano molte tecnologie moderne che permettono di generare delle stime precise degli animali selvatici che popolano un certo territorio, il progetto ha scelto di basarsi “sugli aneddoti degli isolani”. Riesci a crederci? 400.000 Euro erogati per un progetto che non ha neppure voglia di contare gli animali che vuole eradicare e basa le stime sui racconti di qualche abitante del luogo!».

Inverosimile. Ma in tutto questo l’Europa che dice?

«Nulla. L’Europa vuole starne fuori. Gioca la carta della sovranità nazionale, ossia non interferisce nelle questioni degli Stati Membri. Sono fondi UE elargiti tramite il suo Programma LIFE, ma la responsabilità di qualunque malefatta ricade sulle spalle dei ministeri nazionali e non dell’UE. Ed il Ministro, interrogato più volte da vari parlamentari, si è rifatto al parere dell’ISPRA, che appoggia il progetto, ma visti i finanziamenti ricevuti dall’ISPRA da parte del Parco, c’è chi ha messo in discussione la sua imparzialità. Diciamo, a titolo di esempio, che qualora un progetto UE si trovasse al centro di una controversia in cui la sua malagestione è evidente, ma gli agganci politici di chi è coinvolto nel progetto lo rendono intoccabile, non esistono, al momento, dei percorsi amministrativi da perseguire a livello comunitario. Questo rappresenta un grave problema che, come in altre sfere, solleva perplessità sulla natura ‘democratica’ delle istituzioni europee. Non è un segreto che Bruxelles è afflitta da anni da una crisi di legittimità democratica ma – ahimè – non sembra preoccuparsene più di tanto. Molti dei paesi membri dell’UE sono caratterizzati da corruzione e, con un budget di 3,5 miliardi, il programma LIFE finanzia migliaia di progetti in tutti gli Stati Membri. Quanti di questi soldi, nostri, finiscono nelle mani sbagliate e finanziano progetti disastrosi? Possibile che il caso del Giglio sia una eccezione alla regola, una anomalia del sistema, oppure è rappresentativo di una certa percentuale dei progetti LIFE? In che misura? Anche una piccola percentuale rappresenterebbe un grave problema quando si parla di migliaia di progetti e di 3,5 miliardi di Euro. Figurati che i progetti Life non vengono monitorati da nessuno ed i beneficiari conducono una auto-valutazione a fine progetto. Nessuno sa veramente che cosa accade in questi progetti che vengono condotti in alcune della aree più fragili del nostro continente. Senza entrare nei dettaglia, ma nel 2010 il Parco ha gettato 14 tonnellate di polpette avvelenate sull’isola di Montecristo, l’unica isola vergine del Mediterraneo dove vivono decine di specie protette. Nessuno si è mai recato sull’isola per verificare i danni di una tale operazione. Sembrerebbe opportuno introdurre a libello europeo un percorso amministrativo che permetta ai cittadini ed alle associazioni di monitorare, valutare e di correggere il corso dei progetti qualora la presenza di problemi fosse riscontrata».

Me lo auguro. Per concludere, Kim, quale saranno i prossimi passi della campagna?

«Continueremo con le richieste di accesso agli atti in modo da avere chiari tutti i dati. Porteremo avanti le varie denunce e ci assicureremo che gli imputati vengano processati. La prima udienza ci sarà il 25 marzo al tribunale di Grosseto in cui esporremo la nostra posizione. Nonostante i tentativi del PM di archiviare il caso, la nostra opposizione ampliamente documentata ha convinto il GIP a procedere con le indagini. Da li seguirà la denuncia contro la Regione Toscana ed il suo governatore, Eugenio Giani. Stiamo seguendo anche altre piste per far conoscere queste vicende a livello internazionale, ma per ora non posso dirti altro».

Silvia Molè – Parte in Causa

Parte in Causa è una piccola associazione antispecista di impronta politica, considerando la lotta contro il capitalismo imperialista e il patriarcato come centrale ai fini di una liberazione totale in ottica di alleanze e supporto a ogni classe oppressa. Sostiene pratiche liberazioniste a ogni livello, considerando la Resistenza Animale parte del processo storico del pianeta.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.