commedia dell'arte maschere
Fonte dell'immagine: https://www.carnevale.venezia.it/blog/le-10-maschere-piu-famose-della-commedia-dellarte/

Nella commedia dell’arte, seppur la presenza di maschere maschili era predominante, quelle femminili di certo non mancavano: a volte nei panni di protagoniste, in altre occasioni come semplici accompagnatrici ma le donne davano vita a dei veri e propri “tipi” teatrali.

Il teatro classico necessario per educare

Prima di addentrarci nella storia viva del teatro durante il tempo della commedia dell’arte e più in particolare dell’importanza delle maschere, è necessario ricordare le origini e le radici di questa attività culturale, sempre stata un bisogno e una necessità di espressione dell’uomo.

L’origine del teatro occidentale così come lo conosciamo con le parole che più lo ricordano (scena, dramma, tragedia, coro e dialogo), sono rintracciabili nelle forme rappresentative sorte nell’antica Grecia intorno al V secolo a.C. Inizialmente si trattava di rappresentazioni strettamente religiose; avverrà solo in un secondo momento la nascita dei tre generi tutt’ora noti: tragico, comico, satirico.

In questa prima fase, molto lontana dal concetto di commedia dell’arte, prende avvio l’idea di creare uno spazio scenico, sia per vedere che per rappresentare lo spettacolo. Molte persone si radunavano nello stesso luogo per dare vita a momenti di comunione, volti ad offrire a tutti la possibilità di vedere e prendere parte a ciò accade sulla scena. Il rispetto di tre regole sarà fondamentale per la buona riuscita dell’atto creativo: si tratta di unità di tempo, luogo e spazio. La rappresentazione deve avvenire infatti in un’unità di azione, deve svolgersi dal sorgere del sole al suo calare ed in un solo luogo, senza alcun tipo di scenografia.

Fare teatro significava quindi non tanto intrattenere e divertire il pubblico, bensì educarlo al fine di rendere tutti dei un cittadini migliori. La catarsi, conosciuta anche come purificazione, era un atto obbligatorio e necessario. Solo attraverso la visione di vicende terribilmente tragiche o eccessivamente divertenti, l’uomo poteva raggiungere la purificazione assoluta. Il teatro classico lascia quindi le radici da cui costruire tutta la storia del teatro successivo; lascia tecniche, tematiche e finalità valide, attuali e universali ancora oggi.

La commedia dell’arte e il suo lascito

Dal teatro inteso come luogo adatto all’educazione e alla purificazione, si arriva poi alla commedia dell’arte. Un nuovo modo di fare teatro nato nell’Italia del XVI secolo che si caratterizza fin da subito per due tratti costanti: il grande spazio di improvvisazione lasciato agli attori, considerati dei professionisti a cui era affidato solo un canovaccio di base con delineate le indicazioni generali della trama, e l’uso delle maschere.

Nonostante le difficoltà iniziali, il fenomeno della commedia dell’arte esplode in Italia e in Europa fino alla metà del 1800. Un successo legato sia all’idea di una commedia aperta a tutti, sia per la popolarità dei personaggi messi in scena. Le maschere erano appunto dei personaggi con caratteristiche fisse e stereotipate, a cui corrispondevano dei ruoli fissi. Solitamente i ruoli con la maschera erano formati da una coppia di vecchi e di servi, mentre quelli senza maschera erano formati dalla servetta e dagli innamorati. Sopra a tutti poi c’era un ruolo mobile che faceva le veci di capitano.

Solo nello zibaldone (detto anche generico) si poteva trovare il ruolo il significato di ogni ruolo, personaggio e maschera. Tutti i contenuti che potevano essere utili per caratterizzare un personaggio, si trovavano solamente al suo interno. In scena ognuno portava quello che sapeva, ogni personaggio e ogni maschera poteva ricoprire solo certe funzioni, non c’era niente di più normato della commedia.

La commedia dell’arte fu una vera e propria rivoluzione, poiché per la prima volta in Europa gli attori vennero considerati dei veri e propri professionisti nell’arte della recitazione. Quello dell’attore diventa un mestiere, il modo di fare teatro cambia e i protagonisti della commedia ora hanno un nome, un ruolo e un significato ben preciso. E sono gli stessi nomi e significati che oggi ritroviamo sui palchi teatrali, le medesime tipizzazioni universali entrate ormai a far parte di un costume culturale nazionale.

Le maschere femminili più e meno note

Arlecchino, Brighella, Tartaglia, Zanni (il servo furbo e il servo sciocco): sono questi i nomi che fin da piccoli hanno catalizzato la nostra attenzione. Ma non è tutto qui: nella commedia dell’arte la presenza femminile era tutt’altro che marginale e le donne formano anch’esse dei “tipi” che sono entrati a far parte nella nostra tradizione culturale. Proponiamo qui un piccolo elenco di maschere femminili, tutt’altro che marginali.

Colombina è di sicuro la più famosa fra le servette e forse anche una delle maschere più antiche. Solitamente viene caratterizzata come una giovane arguta, dalla parola facile e maliziosa. Spesso non ricopre un ruolo di protagonista nella commedia ma, abile a risolvere con destrezza le situazioni più intricate, ha una parte importante nell’economia dello spettacolo. 

Flaminia è uno dei molti nomi che nella Commedia dell’Arte prende il personaggio della Innamorata. In perenne contrasto con i vecchi, che ne ostacolano i desideri d’amore, le Innamorate sono di solito molto più determinate dei loro colleghi uomini, sia nel cercare che nel rifiutare l’amore dei pretendenti. Intraprendenti e battagliere, sono pronte a qualsiasi impresa per conquistare l’oggetto dei propri desideri, anche a travestirsi da uomo. Abili nel parlare, capaci di assumere diversi ruoli, alle attrici che impersonavano le Innamorate erano richieste doti di bellezza, eleganza, qualità artistiche e una certa cultura. 

Ragonda, fin dal primo apparire della Commedia dell’Arte, rappresenta una delle forme prese dal personaggio della fantesca. Donna solitamente ormai matura e per questo esperta nei fatti della vita, la fantesca era a servizio di una padrona, sempre pronta a cavarla d’impaccio e a favorirne con inganni e sotterfugi le relazioni amorose, lecite o illecite che fossero. Il suo linguaggio era schietto e mai volgare, i suoi discorsi pungenti e pieni di buon senso e saggezza. Secondo la tradizione il costume di scena era molto semplice: un’ampia gonna sormontata da un grembiale e stretta in vita da una fascia, una camicia e una piccola cuffia a ricoprire il capo. 

Marta Barbera

Marta Barbera
Classe 1997, nata e cresciuta a Monza, ma milanese per necessità. Laureata in Scienze Umanistiche per la Comunicazione, attualmente studentessa del corso magistrale in Editoria, Culture della Comunicazione e della Moda presso l'Università degli Studi di Milano. Amante delle lingue, dell'arte e della letteratura. Correre è la mia valvola di sfogo, scrivere il luogo dove trovo pace.

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