L’esercito israeliano ha annunciato di aver compiuto attacchi mirati alla periferia meridionale di Beirut, capitale del Libano: dalla mattina del 26 settembre sono stati lanciati 57 razzi sul Libano, con l’obiettivo di distruggere Hezbollah. Ne è seguita un’invasione di terra del Paese dei cedri preparata meticolosamente da parte del capo di Stato maggiore israeliano, con conseguente contrattacco militare iraniano. Il presidente Netanyahu ha ribadito che Israele continuerà a usare la forza, mentre il regime degli Ayatollah minaccia altre e più gravi azioni militari contro lo Stato ebraico. Cosa potrebbe accadere e cosa ci ha portato fin qui? Andiamo con ordine.
L’ultima guerra in Libano
Dal 17 settembre 2024, giorno in cui migliaia di persone sono rimaste ferite e oltre 10 sono rimaste uccise con l’esplosione dei cercapersone, l’escalation di raid israeliani in Libano è stata inarrestabile e continua: si avvicina ormai a 100.000 il numero di persone costrette ad abbandonare il Paese. Intanto l’IDF, l’esercito israeliano, si sta preparando per attaccare da terra. Secondo gli Stati Uniti questi attacchi non sarebbero imminenti. Netanyahu ha dichiarato che la guerra a Hezbollah continuerà finché non saranno raggiunti tutti gli obbiettivi che Israele si è prefissato.
Dopo l’esplosione dei cercapersone e dei walkie-talkie il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha definito il sabotaggio di Israele un vero e proprio atto di guerra e che la risposta all’attacco israeliano sarebbe arrivata. Ha inoltre ammesso che il suo movimento ha subito ingenti perdite; ha poi aggiunto che il fronte libanese sarebbe rimasto aperto finché non cesseranno le aggressioni contro Gaza. Il 20 settembre una raffica di razzi è stata lanciata dal Libano verso il nord di Israele, e secondo l’IDF almeno la metà dei razzi è stata abbattuta dalle forze aeree israeliane.
Nel pomeriggio del 20 settembre nella zona di al Jamus, sobborgo di Beirut e quartier generale di Hezbollah, due missili di precisione lanciati da un F-35 hanno colpito un edificio residenziale dove, in un ambiente ricavato sottoterra, erano presenti il capo militare di Hezbollah Ibrahim Aqil e i suoi comandanti. Sono rimasti tutti uccisi. L’uccisione di Aqil ha segnato, ovviamente, il punto di non ritorno: il 22 settembre altri lanci di razzi sul confine, da entrambe le parti; il giorno dopo l’IDF ha ucciso almeno 490 libanesi in una serie di attacchi missilistici.
Perché un attacco via terra a Hezbollah era inevitabile
Israele ha intensificato l’attacco contro Hezbollah, nonostante gli appelli di vari organismi internazionali per la de-escalation. Secondo i dati forniti dal Ministero della Salute libanese sono state oltre 558 le persone che hanno perso la vita e altre 1835 sono state ferite in queste ultime ore nel corso delle quali le forze aeree israeliane hanno effettuato più di 1600 raid, sganciando 2000 ordigni. I motivi che a questo punto spingerebbero Israele ad attaccare anche via terra non è solo quello di indebolire e ridurre le capacità di Hezbollah, ma anche quello di creare una zona cuscinetto al confine nord, provando in questo modo a prendere il sopravvento strategico-militare sulla milizia filoiraniana. Israele punta a colpire duramente e in maniera indiretta il regime degli Ayatollah, principale sponsor delle milizie scite nel Paese dei cedri.
La diplomazia si era già attivata ai massimi livelli, per scongiurare l’acuirsi della crisi mediorientale, che con un attacco di terra israeliano potrebbe definitivamente raggiungere il punto di non ritorno. Dal Consiglio di sicurezza ONU il ministro degli Esteri francese Jean-Noël Barrot ha dichiarato che Francia e Stati Uniti hanno compiuto importanti passi avanti sulla proposta di cessate il fuoco di 21 giorni tra Israele e Hezbollah.
«La situazione tra Libano e Israele dall’8 ottobre 2023 è intollerabile e presenta un rischio inaccettabile di una più ampia escalation regionale. Non è nell’interesse di nessuno, né del popolo di Israele né di quello libanese. È tempo di concludere un accordo diplomatico che permetta ai civili di entrambi i lati del confine di tornare alle loro case in sicurezza. La diplomazia, tuttavia, non può avere successo in un’escalation del conflitto. Chiediamo quindi un immediato cessate il fuoco di 21 giorni lungo il confine tra Libano e Israele per dare spazio alla diplomazia verso la conclusione di un accordo diplomatico coerente con la risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e l’attuazione della risoluzione 2735 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite riguardante il cessate il fuoco a Gaza. Siamo quindi pronti a sostenere pienamente tutti gli sforzi diplomatici per concludere un accordo tra Libano e Israele entro questo periodo, sulla base degli sforzi compiuti negli ultimi mesi, che ponga fine a questa crisi».
Questo è quanto si legge in una nota diffusa dalla Commissione Europea e dalla Casa Bianca e sostenuta da Australia, Canada, Unione europea, Francia, Germania, Italia, Giappone, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar. Israele ha rigettato la proposta di cessate il fuoco, questo nonostante fosse stata coordinata proprio con Israele: lo ha detto la portavoce della Casa Bianca Karine Jean-Pierre in un briefing con la stampa. L’appello, guidato dagli Stati Uniti, è stato rifiutato da Netanyahu che quindi continuerà le operazioni militari in Libano. Karine Jean-Pierre ha aggiunto che i colloqui continueranno all’Assemblea generale dell’Onu a New York.
Israele sta violando la sovranità di uno Stato e sta uccidendo civili, di nuovo. E a Gaza sono almeno 15 i morti dell’attacco aereo da parte dell’IDF, che ha colpito la scuola Hafsa al-Faluja nel campo profughi di Jabalia, nel nord della Striscia. Abu Mazen, presidente dell’Anp, nel suo discorso alla 79esima Assemblea Generale dell’Onu ha dichiarato: «Non ce ne andremo, non ce ne andremo. La Palestina è la nostra terra, non ce ne andremo. Se qualcuno se ne andrà sono coloro che la occupano».
Il presidente palestinese ha poi rivolto un appello: «Fermate il genocidio, smettete di mandare armi a Israele. Il mondo intero è responsabile di quel che succede alla nostra gente a Gaza. Mi rammarico che l’amministrazione USA, la più grande democrazia del mondo, abbia ostacolato tre volte, ponendo il veto, la risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu che chiedeva il cessate il fuoco a Gaza. E oltre questo invia a Israele armi mortali per uccidere la nostra gente. Non capisco perché gli Stati Uniti ci continuano a privare dei nostri diritti legittimi.»
L’Alto rappresentante europeo per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha chiesto «il rispetto del diritto internazionale umanitario in ogni circostanza». Per la Palestina, per il Libano, per la Cisgiordania.
L’attacco via terra
Infine, il momento è arrivato: lunedì 30 settembre l’esercito israeliano ha avviato l’operazione di terra in Libano. L’IDF ha dichiarato di aver effettuato incursioni mirate nei villaggi libanesi vicini al confine israeliano. Le forze speciali hanno dichiarato di aver distrutto diverse postazioni di Hezbollah, i tunnel e le armi che sarebbero state ipoteticamente impiegate dal gruppo islamista per invadere Israele. Poco dopo l’inizio dell’offensiva l’esercito libanese ha arretrato di 5 chilometri dal confine. L’esercito israeliano continuerà l’operazione “Frecce del Nord“, ha continuato a bombardare Beirut e anche Damasco, in Siria, dove una giornalista siriana è rimasta uccisa. L’Unifil – la forza Onu di mantenimento della pace in Libano – ha ribadito che superare la Linea Blu (che stabilisce il confine fra i due paesi) viola la sovranità e l’integrità territoriale del Libano.
Ad essere stata violata è stata anche la risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite: adottata l’11 agosto del 2006, dopo una guerra di 34 giorni, la risoluzione chiede la cessazione completa delle ostilità tra Israele e Libano, e l’istituzione di una zona smilitarizzata tra il fiume Litani e la Linea Blu, zona in cui solo all’esercito libanese e ai peacekeeper dell’Onu è consentito di possedere armi ed equipaggiamento militare. Israele ha accusato il governo libanese di non aver rispettato la risoluzione, avendo permesso al gruppo paramilitare scita di di costruire una roccaforte a sud del fiume Litani da cui il gruppo armato ha continuato a prendere di mira il nord di Israele.
Israele continua ad affermare che l’invasione sarà limitata e non a lungo termine, senza specificare però la durata di questa occupazione. I raid israeliani hanno colpito il più grande campo profughi palestinese del Libano, Ain al Hilwe, mentre a Gaza hanno colpito un edificio residenziale nel campo profughi di al-Nuseirat. L’IDF ha effettuato arresti in Cisgiordania, a Nablus ha impedito il passaggio alle ambulanze che volevano soccorrere persone ferite durante un raid. Secondo le fonti del Dipartimento di Sicurezza americano tutto questo rientrerebbe nel diritto di Israele di difendere i propri cittadini, e che questo è un momento fondamentale per indebolire Hezbollah.
Iran e Israele allo scontro diretto
La reazione di Teheran non si è fatta attendere: l’esercito iraniano ha lanciato 180 missili balitici dall’Iran verso Israele, con l’obbiettivo di distruggere i sistemi di intercettazione Arrow 2 e Arrow 3 di Israele (che intervengono contro i missili, a differenza di Iron Dome). Questi missili sono stati lanciati in risposta all’uccisione di importanti leader dell’Asse della Resistenza – il gruppo di Stati, milizie e partiti che fa capo all’Iran – tra cui l’ormai defunto leader di Hezbollah. La maggior parte dei civili israeliani era già nei rifugi anti-aereo al momento degli attacchi, e l’unica vittima è un uomo palestinese colpito dalle schegge di un missile vicino Gerico. Fonti iraniane indicano che gli attacchi hanno preso di mira diversi obiettivi militari: la base aerea di Nevatim (che contiene gli F-35 israeliani), la base aerea di Hatzeri, e quella di Tel Nof, 20 chilometri a sud di Tel Aviv.
Secondo gli esperti militari l’attacco dell’Iran ha dato a Israele il pretesto definitivo per un attacco frontale (come se ne avesse effettivamente bisogno). La tenzione è alta anche sul piano diplomatico: è di queste ore infatti la mossa israeliana di dichiarare persona non gradita il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres, accusato di non aver condannato l’attacco iraniano contro Israele. Nel frattempo, l’invasione del Libano prosegue, nell’impotenza della diplomazia.
Valentina Cimino