Il 7 giugno scorso i messicani sono stati convocati alle urne per scegliere 500 deputati della camera federale, i governatori di nove dei 31 stati (il Messico è una repubblica presidenziale federale), le giunte comunali e i congressi di diverse città.
Uno dei temi di queste elezioni verteva sul destino del PRI (Partido Revolucionario Institucional) del presidente Enrique Peña Nieto, in un momento particolarmente delicato del partito, visti gli scandali di corruzione che lo hanno attanagliato.
Senza contare che ormai da tempo il Messico viene sempre più spesso accostato alla violenza, che ha reso il paese sempre meno sicuro e di conseguenza meno appetibile dal punto di vista degli investimenti.
Per tutti questi motivi, la nuova tornata elettorale in Messico è stata accolta da una diffusa sfiducia, tanto che da più parti l’astensionismo non ha rappresentato solo un’opzione da mettere in pratica silenziosamente, ma un vero e proprio segno di protesta, da sostenere quasi come fosse un candidato in carne e ossa.
Alla fine ha vinto il PRI, che, seppure a fatica, manterrà il controllo della Camara Federal con più di un terzo dei seggi – un risultato simile alle ultime elezioni, quelle del 2012 – laddove si è registrato un aumento dei consensi per il Partido Verde e la Nueva Alianza, due partiti alleati alla formazione di Peña Nieto.
La notizia è, però, un’altra, e riguarda le elezioni dello Stato del Nuevo Leon, nell’area urbana di Monterrey, dove si era presentato l’ex pierreista Jaime Rodriguez Calderon, candidato indipendente contro i rappresentanti dei partiti tradizionali.
Questo, di per sé, era già un fatto nuovo, perché per la prima volta nella storia i messicani hanno potuto votare per candidati non appartenenti ad alcun partito politico, i cosiddetti independientes, per l’appunto.
Se poi uno dei questi “indipendenti” – per giunta candidato in uno degli Stati più importanti dal punto di vista economico di tutto il Messico – vince, con un’altissima partecipazione al voto (in evidente controtendenza rispetto alla media nazionale), allora significa che i partiti tradizionali non potranno più dormire sonni tranquilli, almeno fin quando non avranno riconquistato la fiducia di questa parte dell’elettorato.
Cosa significa tutto questo? Anzitutto, non si può fare a meno di notare che, così come in Messico, a tutte le latitudini i voti di cosiddetta rottura rispetto allo status quo sono in costante e in non più ignorabile aumento.
In secondo luogo, e conseguentemente a quanto detto, si potrebbe osservare come non sia affatto vero che gli elettori stiano perdendo fiducia nella politica. Semplicemente, non credono più a ciò che è stato proposto fin ora, e sognano un futuro diverso con protagonisti differenti.
La matita in cabina elettorale è la loro unica arma per esprimere tali intenzioni.
Carlo Rombolà