Sterilizzazione forzata: Danimarca sotto accusa
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Migliaia di donne Inuit, originarie della Groenlandia, hanno deciso di fare causa alla Danimarca per quanto accaduto molti anni fa. L’accusa è di aver praticato, irragionevolmente, nei loro confronti la sterilizzazione forzata. Per anni, sono state sottoposte all’impianto della spirale contraccettiva (Iud, Intra Uterine Device) senza esserne a conoscenza e dunque senza aver espresso il proprio consenso. Gli Inuit groenlandesi sono un popolo eschimese che tra gli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60 visse un boom demografico reso possibile grazie agli interventi del governo che contribuirono alla riduzione di malattie e mortalità infantile. Il progetto danese intendeva, quindi, attuare una politica contraccettiva negli interessi del welfare ammortizzando, in questo modo, l’aumento dei costi dei servizi.

A denunciare per la prima volta i fatti, sei anni fa, è stata la psicologa Naja Lyberth. Solo nel 2022, dopo la pubblicazione di un podcast danese chiamato Spiralkampagnen, la sua voce ha fatto scalpore ed è stata finalmente ascoltata. L’indagine nei confronti della Danimarca è stata ufficialmente avviata nel maggio 2023 ed il suo completamento è previsto per maggio 2025. Una condanna nei confronti del governo danese significherebbe riconoscere l’avvenuto crimine contro l’umanità e la sofferenza provocata a migliaia di donne e famiglie.

«Il lavoro del medico è assicurarsi che siamo sani. Quei medici invece ci hanno fatto ammalare». La spirale è infatti un metodo contraccettivo reversibile ma gli strumenti utilizzati in quegli anni erano ben diversi da quelli odierni perciò nel corpo di una bambina o di una giovane adolescente potevano provocare danni importanti. Inoltre, essendo tale pratica attuata in modo coatta, non vi erano procedure di regolare controllo volto ad assicurare le condizioni di salute della paziente. Molte donne non hanno saputo per anni di avere la spirale, molte altre hanno sofferto di dolori lancinanti e di complicazioni che in diversi casi hanno portato all’aborto, all’asportazione dell’utero, all’infertilità. «Ero a scuola quando mi chiamarono e mi invitarono ad andare nel vicino ospedale per quello che pensavo fosse un esame sanitario di routine. Lì un dottore danese mi fece stendere su un lettino e senza spiegarmi né chiedermi nulla introdusse la spirale nel mio corpo. Avevo 14 anni, non avevo mai baciato un ragazzo. Non ho avuto la possibilità di dire no. Il dispositivo, dalla forma a T, era molto grande rispetto alla dimensione del mio utero. Ho sentito un dolore terribile, vergogna e senso di colpa. (…) Tre anni dopo ho tolto la spirale. Quella violenza ha avuto conseguenze: ho avuto un solo figlio a 35 anni, e non è stato affatto facile concepire. (…) Penso che la nostra fecondità facesse paura al governo danese, ossessionato dalla modernizzazione dell’isola. Controllando le nascite si sarebbe risparmiato in futuro su asili, scuole, impianti sportivi, sistema del welfare. (…) Molte hanno avuto conseguenze drammatiche: difficoltà a concepire, aborti, sterilità, dolori, infezioni, complicazioni nella gravidanza. (…) La Groenlandia ha perso una generazione. Le famiglie si sono rimpicciolite, i villaggi dove si viveva di pesca sono stati abbandonati, la gente si è trasferita in città, in piccoli appartamenti».

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Le vittime – circa 4500 donne inuit – oggi chiedono quindi un risarcimento di 300.000 corone danesi a testa (40.000 euro) per le violazioni subite. La pratica di sterilizzazione coatta rappresenta infatti le diverse sfaccettature che la violenza può assumere: viene violato il corpo e con esso la sua intimità e la sua dignità, viene violata la libertà di informazione e di scelta presente e futura. Viene affermato, ancora una volta, il potere dell’uomo sulla figura della donna, e la superiorità della “maggioranza” sulle minoranze etniche. Questa pratica ha infatti influito negativamente anche sulla realtà del Paese. L’ex sindaco di Nuuk, Asii Chemnitz Narup, ha affermato che «la società è stata privata di un gran numero di cittadini. Talenti e individui, sogni e risate, forza e ricchezza di idee sono andati perduti per noi come popolo e come paese. È un crimine contro la Groenlandia e contro il nostro popolo

Questa triste realtà però non riguarda solo la Danimarca. Si stima infatti che in Perù, tra il 1996 e il 2001, siano state sterilizzate circa 300.000 persone provenienti da zone rurali e periferiche del Paese. A differenza del governo danese mirato al controllo del boom demografico, il “Programa Nacional de Salud Reproductiva y Planificación Familiar” di Alberto Fujimori intendeva contrastare il fenomeno sempre più dilagante della povertà. In maniera quindi coatta, senza alcuna divulgazione di informazione e senza consenso da parte delle persone coinvolte, migliaia di donne sono state sottoposte alla chiusura delle tube di Falloppio e migliaia di uomini alla vasectomia. Fujimori è stato condannato per reato di lesa umanità. In Namibia, invece, le vittime sono state alcune donne positive all’HIV: in questo caso, alla violazione del corpo e della libertà di scelta, segue anche l’inconveniente della stigmatizzazione ben radicata nella cultura africana sulla malattia e sull’infertilità femminile.

Possiamo quindi notare come molteplici siano state le ragioni che hanno spinto diversi governi a mettere in atto la pratica della sterilizzazione forzata causando, di fatto, una serie di importanti e talvolta irreversibili problematiche ad intere generazioni. Alla base di tale politica vi è però una teoria ad oggi condannata moralmente e legalmente, quella eugenetica. La contraccezione involontaria, infatti, è stata una pratica molto frequente in passato. La Svezia, ad esempio, a lungo ha eseguito operazioni di sterilizzazione forzata su persone con disabilità o con malattie mentali, con problemi di dipendenza dall’alcool, e persino su persone considerate “non convenzionali” nei comportamenti. L’idea non solo era quella di “proteggere” la popolazione da potenziali pericoli, ma anche di garantirle i servizi di cui necessitava. Coloro che quindi rappresentavano un “problema” costituivano per il Paese una sottrazione di tempo, servizi e denaro pubblico. Al fine di garantire una equa redistribuzione dei beni, il governo dunque rimuove il problema dalla radice, ossia impedendo ad una determinata categoria di persone di riprodursi attraverso la sterilizzazione coatta. Nel caso della Danimarca, a farne le spese sono state le donne inuit, ritenute una minoranza etnica. A dimostrazione di quanto appena detto, un episodio verificatosi nell’estate del 1951: il governo danese decide di mettere in atto un “esperimento sociale” separando 22 bambini di etnia inuit dalle proprie famiglie, conducendoli nel proprio Paese. Qui i bambini vennero “rieducati” secondo la pedagogia danese in modo che, tornati in Groenlandia, avrebbero potuto diffondere un nuovo modello di vita civilizzando coloro che erano rimasti in terra natia.

La vicenda denunciata e raccontata a gran voce da Naja Lyberth ha fatto luce non solo sul passato, ma anche sul presente.
La discriminazione nei confronti di etnie diverse, la non tolleranza delle persone con problematiche, la cultura patriarcale e la figura della donna privata della propria libertà sono questioni con cui ancora oggi siamo costretti a scontrarci. Sentiamo spesso parlare di diritti inviolabili dell’essere umano, ma nessuno di questi è realmente garantito.

Aurora Molinari

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