Se perdo, me ne tornerò alla mia fattoria. Mi piacerebbe diventare dirigente sportivo”. Così parlò Evo Morales, in un’intervista rilasciata qualche giorno fa, riferendosi all’ipotesi di una sconfitta del “Sì” nel referendum costituzionale che, domenica scorsa, doveva decidere se modificare la Carta, per consentirgli di correre per un terzo mandato nel 2019. Che in realtà, poi, sarebbe il quarto: il primo però non conta, perché Morales divenne Presidente prima della riforma costituzionale, pure all’epoca confermata da un referendum, che nel 2009 trasformò la Bolivia in Stato Plurinazionale.

Al momento, il conteggio dei voti è arrivato a scrutinare l’82% delle schede: il “No” prevale sul “Sì” col 54,2% delle preferenze contro il 45,9%. I dati, forniti dalla Presidente del Tribunale Supremo Elettorale, saranno in continuo aggiornamento nei prossimi giorni, poiché mancano ancora all’appello i voti dei boliviani all’estero (tra l’altro, sono stati installati seggi anche a Roma, Bergamo e Milano, a beneficio di circa 6000 aventi diritto) e quelli di alcune circoscrizioni in cui si sono verificati problemi durante le operazioni di voto, con momenti di tensione tra i cittadini. Stando alle testimonianze riportate dai media, confermate da una nota ufficiale del Ministero dell’Interno boliviano, sembra che in alcune circoscrizioni si siano verificati ritardi insopportabili per i votanti in attesa ai seggi: l’attesa, che il Governo ha attribuito ad un guasto ad un camion che trasportava il materiale necessario per procedere al voto, ha portato alcune decine di persone a dare fuoco alle schede e alle urne. La tensione è salita quando più di un cittadino in attesa ha insinuato il sospetto che i ritardi fossero causati da manovre governative per alterare le procedure: l’ipotesi è stata prontamente smentita dal Ministro dell’Interno, il quale ha assicurato che, in realtà, la decisione di bruciare le schede è stata adottata in buona fede dagli ufficiali responsabili e dai delegati dei partiti, proprio per evitare eventuali irregolarità. In un’altra sezione elettorale, invece, sono state trovate schede già segnate per il “Sì”, con la polizia che ha interrogato la responsabile del seggio, la quale non risulta però in stato d’arresto.

Dunque, a causa di questi imprevisti, verificatisi in un contesto comunque regolare e pacifico, come hanno accertato gli osservatori dell’Unione delle Nazioni Sudamericane – UNASUR e dell’Organizzazione degli Stati Americani – OEA, si prevede che i risultati definitivi si conosceranno solo entro il 6 marzo. In Bolivia peraltro è considerato normale che i tempi dello scrutinio si dilunghino: ecco perché, immediatamente dopo le consultazioni, si mettono in moto diversi soggetti privati, che si occupano di conteggi veloci, in base ai quali si delineano le prime valutazioni politiche; tuttavia, talvolta questi conteggi si sono rivelati imprecisi e incompleti, come nel caso delle elezioni presidenziali del 2002, in cui Morales era stato dato per terzo classificato in un primo momento, per poi piazzarsi al secondo posto.

È alla speranza che si verifichi di nuovo un caso simile che resta aggrappato il Presidente; rallegrandosi per la partecipazione quasi unanime – 95% – dei 6,5 milioni di boliviani aventi diritto al voto, che lui stesso aveva incoraggiato (ma in Bolivia non andare a votare è un reato, che implica sanzioni, soprattutto patrimoniali, anche piuttosto gravi), nonché salutando con soddisfazione il sostegno della capitale La Paz, che ha votato compatta per il “Sì”, Morales ha fatto intendere che non ci saranno cedimenti nell’azione di governo, che continuerà a proporre al Paese il suo programma di sviluppo.

I problemi, semmai, verranno dopo: dopo Evo, politicamente c’è il vuoto. Secondo alcuni analisti, una Bolivia oggi profondamente spaccata a metà, tra il sostegno incondizionato al Presidente e la voglia di voltare pagina, non riesce a produrre nuovi líderes che possano sostituirsi a Morales. Nonostante il trionfalismo di queste ore, cui si contrappone un invito alla calma e alla “pazienza da parte del Governo nell’attendere i risultati elettorali definitivi, l’opposizione non riesce a polarizzarsi intorno a figure carismatiche: e ciò, nonostante personaggi di primo piano, come il Governatore dello Stato di La Paz e lo stesso sindaco della capitale siano stati tra i promotori del “No”, in nome del pluralismo e della discontinuità politica.

Se Morales ha vinto a mani basse le elezioni presidenziali del 2014, però, perché perde il referendum costituzionale che, 1 anno e mezzo dopo, avrebbe potuto consegnargli il dono della leadership (quasi) perpetua? Evo paga alcune criticità emerse proprio in quest’ultimo periodo, dalla lotta alla corruzione che non porta risultati, alle rivelazioni su scandali e scandaletti (la scoperta che il vicepresidente in realtà non è laureato, i favori ad alcune imprese cinesi di cui la ex compagna è direttore commerciale), ad alcune politiche (come quella sull’educazione) che non hanno raccolto consensi unanimi.

Amici e alleati interni ed esteri stanno provando a mettere una pezza su questo momento difficile, ricorrendo anche alla sempreverde arma del complottismo: se il vicepresidente García Linera insinua il dubbio di brogli che avrebbero contaminato il voto indigeno nelle campagne (poderoso serbatoio elettorale di Morales), Maduro dal Venezuela se la prende coi soliti americani e l’immanente complotto imperialista, che avrebbe puntato a screditare il Presidente boliviano, elogiato come il miglior leader mai avuto dall’America latina.

La Bolivia è condannata a restare col fiato sospeso, insomma, in attesa del conteggio di quell’ultima manciata di voti che potrebbe malauguratamente separare Morales, almeno ancora per un po’, dal suo sogno di una nuova vita da dirigente sportivo.

Ludovico Maremonti