Il traguardo delle 500 mila firme per il Referendum cittadinaza è stato raggiunto: sono diverse le personalità del mondo della politica e non solo ad aver mostrato il proprio supporto nei confronti della campagna, che potrebbe rappresentare un primo passo avanti per una riforma sulla legge di cittadinanza in Italia. Il referendum, presentato dal segretario di +Europa Riccardo Magi a inizio settembre, prevede che i tempi di naturalizzazione scendano da 10 a 5 anni per chi è stabilmente residente nel Paese.
Il quesito, dunque, andrebbe a modificare quanto determinato dalla normativa sulla cittadinanza attualmente in vigore, risalente al 1992. Mentre resterebbero invariati gli altri requisiti necessari per l’ottenimento – tra cui la conoscenza della lingua italiana, il pagamento delle tasse, il possesso di redditi sufficienti al proprio sostentamento e non avere precedenti penali. Se il referendum dovesse essere approvato, inoltre, anche i figli minori dei richiedenti avrebbero diritto al riconoscimento della cittadinanza. Secondo i dati, a beneficiare di tale misura sarebbero tra i 2,3 e i 2,5 milioni di persone.
L’iniziativa – lanciata da +Europa insieme ai partiti Possibile, Radicali Italiani, Rifondazione Comunista e Partito Socialista Italiano, oltre a diverse associazioni (tra cui Italiani senza Cittadinanza, CoNNGI, Libera, ARCI, Oxfam Italia, Cittadinanza Attiva, Open Arms e altre) -, è partita in seguito al ritorno in auge del dibattito intorno al tema della cittadinanza. Nel mese di agosto infatti si è assistito al tentativo, da parte del centrosinistra, di rilanciare una riforma della normativa con proposte che hanno interessato l’introduzione dello Ius Scholae e Ius Soli. La legge italiana, da decenni, si fonda sul concetto di Ius Sangiunis per quanto riguarda l’acquisizione della cittadinanza. Ad essere coinvolti dunque sono esclusivamente i figli di genitori italiani, o coloro che vengono adottati da questi ultimi.
Chi nasce nel Paese da genitori stranieri invece deve aspettare i 18 anni per presentare l’apposita domanda (da effettuare entro il compimento dei 19 anni), dovendo dimostrare di aver vissuto ininterrottamente in Italia fino al raggiungimento della maggiore età. Ciò vuol dire affrontare nella maggior parte dei casi un percorso reso ancora più lungo e tortuoso dalla burocrazia ritrovandosi costretti a vivere in una situazione di precarietà in cui è necessario rinnovare, ad ogni scadenza, il permesso di soggiorno trascorrendo ore e ore in questura. La normativa attuale penalizza fortemente i ragazzi e le ragazze che, nonostante siano nati e cresciuti nel Paese, non vengono considerati cittadini italiani dovendo rinunciare a diritti politici e civili (come l’iscrizione alle liste elettorali, la possibilità di spostarsi liberamente nei Paesi dell’Unione Europea e di accedere a concorsi pubblici, oppure ancora di prendere parte ad attività sportive agonistiche).
Una condizione che finisce solamente col generare incertezza e insofferenza. La legge sulla cittadinanza, come affermato in precedenza, è in vigore dal 1992 senza tenere conto dei cambiamenti demografici e sociali che hanno interessato l’Italia negli ultimi decenni. È per questo motivo che, a gran voce, da tempo viene richiesta una riforma adeguata. Lo Ius Soli, che riconosce la cittadinanza a chiunque nasca sul territorio dello Stato, è una soluzione che consentirebbe anche ai figli di genitori immigrati di essere cittadini originari in base al luogo di nascita, a prescindere dalla cittadinanza di questi ultimi. In tempi più recenti, si è fatto largo anche il concetto di Ius scholae che consente, da parte sua, di ottenere la cittadinanza al termine di un ciclo di studi effettuato nel sistema scolastico italiano.
Nonostante le proposte avanzate nel corso degli anni, però, queste misure non hanno mai trovato terreno fertile nel Paese, caratterizzato da un dibattito politico che continua ad essere ancorato dall’idea della cittadinanza come un “merito” e una “concessione” anziché un diritto e in cui ancora troppo spesso viene messo al centro del dibattito un concetto di “italianità” discriminante e razzializzante. Solamente negli scorsi mesi, quando il tema di una possibile riforma è tornato al centro dell’attenzione, la Lega si è prontamente detta contraria affermando in una nota che «non c’è nessun bisogno di Ius Soli o scorciatoie» e andando, ancora una volta, a sollevare un muro sulla questione.
Dai dati, però, appare evidente quanto ci sia realmente bisogno di affrontare il tema e di rendere l’ottenimento della cittadinanza più agevole. Il referendum lanciato a settembre non prevede né Ius soli né Ius scholae, tuttavia la sua approvazione potrebbe aprire uno spiraglio iniziale contribuendo a dimezzare i tempi di acquisizione della cittadinanza per chi risiede sul suolo italiano e garantendo tale diritto anche ai figli dei richiedenti. Dopo aver raggiunto le 500mila adesioni, la Corte di Cassazione si occuperà di determinarne la legittimità. Verrà poi il turno della Corte Costituzionale, che avrà il compito di dichiarare ammissibile o meno il quesito entro il 10 febbraio. A quel punto, il referendum potrà essere annunciato in una data compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno dell’anno prossimo.
Cindy Delfini