I miliardi in ballo

Sì, è proprio così, purtroppo. Se la Grecia fallisse, dovremmo rinunciare a sessantacinque miliardi di euro oppure, se tutto andasse bene, li riceveremmo molto più in là della loro scadenza.

Ma qual è la composizione esatta del credito italiano verso Atene?

Oltre ai 40 miliardi risalenti al primo pacchetto di aiuti del 2010-11, che furono 11 miliardi prestati attraverso prestiti bilaterali, 23,3 tramite il fondo finanziario di stabilità europea (Efsf) e 7 attraverso la partecipazione italiana nel sistema costitutivo della Bce. Come se non bastasse, a questi sono stati aggiunti: 14 miliardi tramite il fondo salva-Stati e saliamo a 65 aggiungendo gli undici versati tramite la liquidità d’emergenza.

Nel 2012 l’Efsf è stato trasformato nell’Esm (european stability mechanism) e Roma ha versato 14,2 miliardi che finora non sono stati impiegati, ma qualcuno ha già caldeggiato l’ipotesi di un ulteriore prestito. Da ritenere totalmente infondata vista la situazione d’incertezza determinata dal referendum greco.

Si vocifera che se le banche greche non riuscissero a rimborsare gli 89 miliardi di prestito ricevuti da Francoforte, Draghi venderebbe i titoli presentati come garanzia, ma non basterebbero per rientrare dalla perdita subita.

Le strategie di Troika e Tsipras

Un fattore di fondamentale importanza in un tale contesto è sicuramente la strategia. E lo sa bene un politico consumato, seppur giovane, come il leader di Syriza che inizialmente ha provato a spaccare il fronte Ue-Fmi per interposto-Draghi.

In particolare, sfruttando la contrarietà del Presidente della Bce al “Grexit”, Tsipras ha prima provato a modificare la proposta dell’Fmi e, quando non v’è riuscito, ha sfruttato le dichiarazioni di Juncker “La Grecia resterà nell’euro” per mettere all’angolo il Fondo Monetario che ha prima minacciato di alzarsi dal tavolo delle trattative (pensando che mai sarebbe arrivato a farlo) salvo essere costretto successivamente ad abbandonarlo davvero.

Inoltre Tsipras ha dichiarato “Votare contro non significa uscire dall’euro”, ma perché? Semplice. Durante tutta la campagna elettorale aveva promesso di mettere in atto le misure necessarie a scongiurare l’uscita dall’euro. Ora, invece, la situazione è esattamente opposta quindi il referendum è su Tsipras più che sull’euro.

Infatti gli articoli 56, 61 e 62 della Convenzione di Vienna dicono che anche trattati che non presentano clausole di risoluzione esplicita possono essere impugnati, i trattati internazionali possono essere risolti qualora intervenga una radicale impossibilità di onorarli, o sopravvengano cambiamenti radicali delle circostanze che hanno portato alla loro sottoscrizione. Quindi l’uscita sarebbe possibile a prescindere.

Dall’altro lato, Merkel deve essere sicuramente “trattativista” per almeno 3 motivi:

  1. Bundesbank. Gli alti tassi di rendimenti dei titoli greci sono indispensabili a tenere stabile la redditività media dei fondi pensionistici Bundesbank, che devono garantire dei tassi prestabiliti. A tale scopo prima si utilizzavano i titoli italiani, ma non è più possibile farvi ricorso dopo l’abbassamento del loro rendimento mediante il quantitative easing (molti sostengono che per questa ragione i funzionari tedeschi nel consiglio Bce fossero contrari al qe);
  2. Obama. Perdere Atene dal quadro geopolitico europeo equivarrebbe a consegnarla nelle mani economiche di Putin, che mai concederà prestiti senza ricevere in cambio l’appoggio militare, mettendo a repentaglio la sicurezza internazionale e facendo divenire l’Ucraina “terra di mezzo” fra i fuochi russi;
  3. Fronte interno. In caso di Grexit, è opportuno ricordare che il Paese più esposto economicamente è proprio la Germania (circa 70 miliardi) e gli oppositori dell’Spd non aspettano che un passo falso della cancelliera tedesca.

I pareri degli economisti

Paul Krugman ha detto che il Grexit potrebbe portare ad incertezze legali per i debiti nazionali ed instabilità finanziaria. L’uscita, secondo lui, è inevitabile visto che Tsipras era stato votato per abbandonare l’austerity e l’accordo prevede nuove misure che vanno proprio in quella direzione.

Secondo l’economista francese Thomas Piketty, Syriza è l’ultima spiaggia europea per avere una “revisione totale dell’attuale politica basata sull’austerity che sta uccidendo il Sud dell’eurozona”.

Un altro Nobel per l’Economia, Stiglitz, sul Guardina scrive “Se fossi greco, saprei cosa votare”  in quanto “Quasi nulla dei prestiti concessi dai creditori sono andati al popolo, ma sono serviti per pagare i creditori privati, tra cui molte banche tedesche e francesi”. Poi ha aggiunto qualcosa di molto forte parlando del referendum greco, infatti sull’invito a votare “No” dei creditori ha detto che questo mostra  come “Il concetto di legittimazione popolare sia incompatibile con le politiche dell’eurozona”.

Secondo Stiglitz in Grecia c’è in gioco la democrazia. Per questo è apparsa una sua lettera-appello sul Financial Times firmata proprio da Piketty e da altri economisti.

Ferdinando Paciolla

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