La tematica della tutela dei diritti delle coppie omosessuali resta un tabù parlamentare. Il dibattito, che era stato particolarmente accesso dopo la presentazione del disegno di legge sui DICO del Governo Prodi, si è lentamente assopito, ripreso soltanto durante le campagne elettorali e mai reso parte integrante di un programma di un partito o di un esecutivo. Tale inerzia ha creato un vuoto normativo, segnalato dalla stessa Corte Costituzionale, che a più riprese ha invitato il legislatore ad intervenire, senza imporre la costituzione di un matrimonio tra soggetti dello stesso sesso, ma nel contempo affermando l’obbligo dello Stato di tutelare rapporti affettivi che si rivelino essere particolarmente stabili, seppur non potendosi qualificare quale “famiglia” in senso tradizionale. Questa presa di posizione è stata assunta per la prima volta nel 2006, 9 anni fa, senza riuscire a sortire alcun effetto.

Dopo anni di silenzio, rinvii e pronunzie negative, probabilmente dovute ad una volontà di evitare uno scontro aperto con il legislatore, la Corte costituzionale è intervenuta con la sentenza 170/2014. Nel caso di specie, a seguito del cambio di sesso di uno dei coniugi, veniva dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio. La decisione veniva giudicata legittima sia in primo sia in secondo grado, e la coppia decideva di ricorrere in Corte di Cassazione, presentando anche questioni di legittimità costituzionale. I giudice della Suprema Corte le hanno valutate non infondate, decidendo di rinviare la questione alla Corte Costituzionale, la quale ha pronunziato la illegittimità della legge in materia di rettificazione di attribuzione del sesso, nella parte in cui non “consenta, comunque, ove entrambi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che tuteli adeguatamente i diritti ed obblighi della coppia medesima, con le modalità da statuirsi dal legislatore“. Dunque non un riconoscimento al matrimonio tra coppie omosessuali, ma un riconoscimento alle tutele che a queste devono essere offerte dal legislatore, ancora oggi inerte, nonostante nella sentenza l’invito venga rivolto “con la massima sollecitudine”. Un anno dopo, la Corte di Cassazione ha assunto la propria decisione, sopperendo al vuoto normativo ancora oggi esistente e lanciando un severo monito (quasi una minaccia) al Parlamento: fin quando non sarà intervenuta una legge a regolamentare simili fattispecie, si avrà l’effetto maggiormente temuto dalle forze politiche, ovvero il mantenimento del matrimonio.

E forse finalmente in Parlamento qualcosa si è mosso: il 26 Marzo 2015 la Commissione giustizia del Senato ha approvato il ddl sulle unioni civili, ma la strada da percorrere è ancora lunga.

Vincenzo Laudani

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