Nel 1800, a seguito della vittoria alle elezioni presidenziali americane del repubblicano Thomas Jefferson, il suo predecessore, lo sconfitto John Adams, decise di rinnovare molte cariche istituzionali prima di essere formalmente sostituito. Adams voleva, in particolar modo, “sistemare” i suoi compagni di partito che, chiaramente, non sarebbero stati presi in considerazione per i vari incarichi dal neo-presidente Jefferson che avrebbe operato secondo il metodo dello spoil-system. Il presidente uscente, nei momenti che avevano preceduto la scadenza del mandato nominò, tra gli altri, sedici nuovi giudici di contea, soprannominati per questo motivo “giudici di mezzanotte”. Adams procedette anche alla nomina del nuovo presidente della Corte suprema e scelse John Marshall, politico, segretario di Stato uscente, a digiuno però di conoscenze giuridiche. Nel caos determinatosi a seguito delle nomine, quella del nuovo giudice Marbury non fu trasmessa all’interessato – così come doveva essere – da parte segretario di Stato uscente, John Marshall, ora a capo della Corte Suprema. Il nuovo segretario di Stato, James Madison, che apparteneva al partito del nuovo Presidente, si rifiutò di trasmettere al giudice Marbury l’atto di nomina. Marbury fece ricorso alla Corte Suprema affinché questa ordinasse a Madison di trasmettere il relativo atto di nomina. Il primo problema che la Corte si trovò ad affrontare era prettamente giuridico: la Costituzione americana non riconosceva alla Corte Suprema la competenza a giudicare in casi del genere. Tuttavia la Corte avrebbe potuto, sulla base di una legge federale, emettere un writ che avrebbe consentito a Marbury di essere integrato nella sua carica. Il secondo problema abbracciava un profilo di politico e di credibilità istituzionale. La Corte, infatti, era composta da giudici espressione del partito federalista, quello cioè al potere con Adams prima delle elezioni del 1800. E, oltretutto, a capo della Corte suprema c’era proprio Marshall, che come segretario di Stato uscente aveva commesso l’errore di non trasmettere la nomina a Marbury. Se la Corte si fosse espressa in modo favorevole al ricorrente avrebbe rischiato di screditarsi, venendo meno a quello che era il principale obiettivo di Marshall come capo della stessa e cioè di dare credibilità all’istituzione ed alla sua figura di presidente della Corte.

La Corte con una decisione unanime diede ragione a Madison.

Essa riconobbe che la nomina di Marbury fosse valida ed efficace ma dichiarò l’incostituzionalità della legge federale che attribuiva alla Corte suprema la competenza a decidere del caso, poiché essa violava la norma costituzionale che regola la ripartizione della giurisdizione tra Corte suprema ed altri giudici federali. La Corte in pratica decise di disapplicare la legge federale poiché incostituzionale e ciò sulla base del semplice ragionamento che se la Costituzione è in una posizione gerarchicamente superiore rispetto alla legge, la legge non può contravvenire a quanto disposto dalla Costituzione, e, se ciò accadesse la legge non dovrà avere effetti. Sulla base di questa decisione storica del 1803 nel caso Marbury VS Madison si è imposto il sindacato di legittimità sulle leggi negli ordinamenti giuridici a Costituzione “rigida”. Infatti se non ci fosse la possibilità di adire un giudice per denunciare una legge contrastante con la Costituzione, la stessa perderebbe la sua ragion d’essere giuridica ovvero la prevalenza gerarchica rispetto alle altre fonti.

Gennaro Dezio

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