Lo scorso 30 maggio è stato un giorno molto importante per la giustizia africana e per i diritti umani. Si è concluso, infatti, un evento senza precedenti: il primo processo contro un leader di Stato africano all’interno del Continente Nero.

Dopo anni di lunghe battaglie politiche e giuridiche, è arrivato finalmente l’ergastolo per l’ex dittatore del Ciad Hissène Habré, rinominato il ‘Pinochet africano’.

La sentenza è avvenuta da parte delle Camere africane straordinarie (CAE), istituite ed entrate in funzione grazie a un accordo tra Senegal e Unione Africana il 20 luglio 2015, data dell’inizio del lungo processo.
Habré, oggi considerato l’«orchestratore della repressione nel Ciad, dove impunità e terrore dettavano legge», è stato condannato per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e violenza sessuale. In aula erano presenti numerosi famigliari delle vittime della repressione, ma anche i sopravvissuti ai trattamenti disumani nelle carceri governative e gli attivisti politici per i diritti umani, che hanno portato avanti per oltre vent’anni decine di battaglie contro l’impunità del dittatore.

Presidente tra il 1982 e il 1990, Habré era noto alle cronache internazionali già prima di prendere il potere per le sue azioni criminali. Nel 1974, infatti, quando era al comando di alcune milizie ribelli, le Forze Armate del Nord, rapì tre cittadini europei con l’obiettivo di ottenere un riscatto. Negli anni successivi, dopo aver destituito il presidente ciadista Goukouni Oueddei con un golpe di stato armato, Habré costruì il suo personale regime di violenza, che si protrasse per otto anni. Organo principale della repressione era la Direzione di Documentazione e Sicurezza, la polizia politica che, sotto le direttive del presidente, commise ogni tipo di persecuzione politica e sociale, torturando e uccidendo migliaia di ciadisti, per un totale di circa 40 mila omicidi politici e 200 mila casi di tortura.

Fuggito in Senegal nel 1990, Habré è riuscito per circa venti anni a rimanere completamente impunito, vivendo il suo esilio nel lusso e senza particolari difficoltà. I militanti per i diritti umani e le associazioni delle vittime della dittatura hanno tentato a lungo e inutilmente di negoziare con il Senegal per sottoporlo a un giusto processo, rivolgendosi anche al Belgio, che ha condannato l’ex leader nel 2005 senza però riuscire a negoziare l’estradizione con il paese africano. La svolta è arrivata finalmente nel 2012, con l’istituzione in Dakar delle CAE e l’inizio del processo, per la prima volta senza l’intervento dell’Aia.

Una vittoria epocale dunque, come ribadito dal Human Right Watch, che si stava occupando del caso già dal 1999, quando, sulla scia della condanna di Pinochet, l’Associazione del Ciad per la Promozione e Difesa dei Diritti Umani aveva chiesto il suo intervento. Dalle indagini e dalle numerose documentazioni ne emergeva una figura terribile, colpevole di feroci ondate di pulizia etnica e di torture disumane, a base di scosse elettriche e asfissia.

Dopo anni di dure lotte e di battaglie politiche, finalmente giustizia è stata fatta e questo importante traguardo potrebbe inaugurare una stagione di vittoria dei diritti umani anche in Africa. Ma c’è anche un’altra severa verità di questa storia, che riguarda i paesi dell’occidente. Nonostante le da sempre risuapute violenze e repressioni esercitate da Habré, Francia e Stati Uniti gli avrebbero fornito sostegno sistematico nell’ottenimento e nel mantenimento del potere.

Ronald Reagan e Hissène Habré alla Casa Bianca, durante una visita ufficiale negli Stati uniti nel 1987.

Considerandolo il nemico numero uno di Gheddafi, infatti, le potenze occidentali appoggiarono la vittoria del dittatore durante la guerra con la Libia, vinta dalle milizie del Ciad proprio grazie al decisivo intervento dell’esercito francese e con l’aiuto di Washington attraverso la CIA. Dunque, anche se pochissimi cittadini americani e francesi conoscono il nome di Hissène Habré, i loro governi sono stati fortemente coinvolti con la sua dittatura e, per questo, indirettamente complici dei suoi crimini.

Rosa Uliassi

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