scienza
Prof. Massimo Galli, infettivologo all'Ospedale Sacco di Milano

A partire dai primi decenni del Medioevo fino al XVII secolo, l’autorevolezza di un intellettuale si misurava sul livello di conoscenze che possedeva e sulla capacità di diffonderle ed insegnarle ad altri. Sotto un profilo etimologico infatti “autorevolezza” deriva dal latino “auctoritas“, che a sua volta discende dal verbo “augeo“, col significato di “accrescere”. L'”auctor” quindi era una persona che, in virtù di studi scientifici, teologici e letterari, veniva considerato “autorevole” proprio perché riusciva, tramite il suo sapere, ad accrescere il livello di conoscenza delle persone intorno a sé. Nel Seicento, grazie a Galileo Galilei, il sapere scientifico si staccherà dagli altri tipi di sapere per merito dell’esattezza e del rigore che appartengono al metodo scientifico. Ma il discorso, ora come quattro secoli fa, merita di essere ripreso.

Osservando i dati delle ultime settimane, si nota subito una crescita esponenziale dei casi legati al Covid-19. Soltanto guardando quelli del 28 ottobre, ad esempio, è stato rilevato un incremento di +24.991 positivi rispetto al giorno precedente, per un totale di +276.467 persone risultate positive al virus. Il coordinatore del Cts (Comitato Tecnico Scientifico) Agostino Miozzo ha avvertito che «la situazione nel Paese è in rapidissimo peggioramento» e che «gli ospedali soffrono una pressione difficilmente sostenibile nel lungo periodo, soprattutto nei territori in ritardo nell’organizzazione dei percorsi dedicati ai pazienti Covid». A fronte di questo tipo di dichiarazioni sarebbe necessaria una comunicazione scientifica efficace da parte dei virologi, molto spesso ospiti dei talk show televisivi, i quali non devono allontanarsi dal fine ultimo della scienza: la verità.

Ma è proprio nel mondo contemporaneo della post-verità che persino l’inconfutabilità scientifica viene messa in discussione. Da marzo in poi sono comparsi, più o meno su tutti i principali palinsesti televisivi, delle figure professionali mediaticamente defilate: i medici. Durante la prima ondata di contagi, la figura dell’operatore sanitario era acclamata da tutti e paragonata ad un eroe. Ma, se ci allontaniamo dalla accezione romantica dell’eroismo, capiamo che di eroico non c’era nulla. C’era piuttosto un adempimento ai nobili doveri della professione, il perseguimento del benessere collettivo. Ad oggi, tuttavia, la narrazione non è più quella di mesi fa. L’esperto che si avvicina alla corrente negazionista, viene interpellato; gli altri, talvolta definiti come “controllati dai poteri forti”, non vengono tenuti in considerazione.

Malgrado questo storytelling, proprio perché la scienza (“epistème”) dovrebbe dissociarsi dall’opinione (doxa, che spesso risulta inesatta), paragonare il dibattito scientifico a quello politico è del tutto fuorviante. In questa maniera passa il messaggio che l’esattezza scientifica possa essere soggetta ad appropriazioni illegittime da parte di forze politiche. Ma il sapere scientifico non può essere strumentalizzato. Il problema è che, talvolta, voci di medici autorevoli vengono offuscate da altri pseudo-medici che continuano a minimizzare l’impatto della pandemia anche quando questa infuria, allontanandosi così da qualsiasi evidenza scientifica.

Un esempio piuttosto recente di questa corrente è quello del virologo Giulio Tarro, il quale non ha timore di chiedere la galera per le persone favorevoli al vaccino per il coronavirus. Lo specialista, inoltre, persiste nel sostenere l’inutilità di indossare la mascherina, e che la soluzione alla pandemia (che è lui stesso a negare) sarebbe raggiungere un’immunità di gregge, decantata altresì, alla fine di marzo, dal premier inglese Boris Johnson che, ironia della sorte, è risultato positivo al coronavirus. Le esternazioni di Tarro sono veramente uniche nel suo genere, anche se proprio lui ebbe un ruolo importante nel debellare il colera che colpì Napoli alla fine degli anni ’70. Una voglia irrefrenabile di stare al centro delle attenzioni, sfruttando la risonanza di mass media come Facebook? Non ci è dato saperlo. Fatto sta che prese di posizione di questo tipo da parte di personaggi influenti non fanno altro che rintuzzare l’idea di una scienza sempre più controllata da imprecisati personaggi che starebbero complottando contro l’umanità.

Inoltre, sono state per lunghi mesi emblematiche le dichiarazioni del primario Alberto Zangrillo dell’ospedale San Raffaele di Milano, che a maggio ha affermato alla stampa, che il virus fosse «clinicamente morto», salvo poi fare un passo indietro dinanzi all’evidenza della seconda ondata. Come poi molti virologi hanno confermato, Zangrillo ignorava il fatto che gli effetti del lockdown forzato di marzo e aprile ci hanno permesso di tirare un sospiro di sollievo per buona parte dell’estate, ma da metà agosto in poi c’è stata una repentina risalita dei contagi. Non molto tempo fa, Zangrillo è altresì intervenuto a Non è L’arena, trasmissione condotta da Massimo Gilletti, portando in studio la sua verità prendendosi «la rivincita su coloro che lo hanno diffamato». Per l’ennesima volta assistiamo a come i media gettino fumo negli occhi, favorendo il fenomeno di sovra-informazione che talvolta rende disinformate le persone. Le opinioni di questi esperti, definibili come “trombettisti”, non devono essere confuse con le tesi di altri che, essendo scientificamente attendibili, meritano di essere ascoltate.

Alberto Zangrillo, primario dell’Ospedale San Raffaele di Milano. Fonte: meteoweek.com

Fortunatamente, che la scienza debba essere svincolata da ogni tornaconto politico o personale lo dimostrano Massimo Galli e Andrea Crisanti. Il primo è un volto più noto del secondo: professore emerito e infettivologo dell’Ospedale Sacco di Milano, è uno dei membri più apprezzati della comunità scientifica italiana. Il secondo invece lo ricordiamo per aver salvato il Veneto poiché, andando contro le indicazioni dell’OMS, ha insistito sul programma dei tamponi a tappeto per la popolazione ed ha consigliato al presidente della regione Zaia di dichiarare Vo’ Euganeo la prima zona rossa del Veneto.

Purtroppo, i talk show non sono fatti soltanto di Galli e Crisanti. Ad esempio, Mario Giordano, conduttore della trasmissione Fuori dal coro, ospita pseudo-esperti che spesso finiscono per sovrastare le poche voci veramente autorevoli. Buona parte dei mass media, diffondendo opinioni soggettive e scientificamente infondate di esperti, quasi come se fossero politici, alimentano l’idea che la scienza si sia ridotta a mero scontro ideologico, che talvolta confluisce in fazioni politiche. E questo non ha nulla a che fare con la scienza e la medicina. Conseguentemente, questo fenomeno, non fa altro che fungere da “tesi” per le forme di negazionismo e complottismo più becere, che finiscono col fare più numeri e ascolti di chi, d’altra parte, dovrebbe rassicurarci o avvertirci in merito alla pandemia.

Bisogna dunque tutelarsi e farsi tutelare. Anzitutto la stampa dovrebbe rigettare l’idea di dar parola a chi propina teorie radicalmente avulse e incompatibili con qualunque forma di tesi scientifica. Qui non si tratta di vicende personali o di opinioni politiche, bensì di salute pubblica che, peraltro, è un diritto costituzionalmente riconosciuto e tutelato. Sacrificare l’autorevolezza della scienza in virtù della libertà d’espressione significa delegittimare quella piccola parte di buonsenso e coerenza che, nonostante l’aumento di prese di posizione antiscientifiche e negazioniste, dispone ancora di una buona dose di visibilità da parte dei mass media.

Antonio Figliolino

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