Moravia Indifferenti, Fonte: https://www.raicultura.it/speciali/albertomoravia
Moravia Indifferenti, Fonte: https://www.raicultura.it/speciali/albertomoravia

Alberto Moravia, pseudonimo di Alberto Pincherle, è uno dei giganti della letteratura del Novecento, espressione di una società borghese figlia del fascismo, del cinismo e dell’apatia.
Nel 1929 pubblicò a sue spese (5000 lire dell’epoca) presso la casa editrice milanese Alpes (diretta dal fratello del duce Arnaldo Mussolini) il suo primo romanzo, “Gli indifferenti”, che dalla critica venne considerato uno degli esperimenti più interessanti di narrativa italiana. Il romanzo infatti era ormai un prodotto in crisi e tutti gli intellettuali del tempo cercavano di proporre un solido impianto tradizionale alternativo a quello ottocentesco. Moravia ha voluto plasmare il suo nuovo modello su quello della tragedia classica, cercando di proiettare le ombre meschine dei suoi personaggi dostoyeskiani nel più sublime dei generi, dando così vita a uno dei primi romanzi esistenzialisti nello scenario europeo.

Moravia ci racconta di Carla e Michele Ardengo, due fratelli in balia della noia: la prima vuole disperatamente fuggire dalla routine borghese che la incatena, cercando un individuale riscatto sociale; il secondo non è più capace di provare emozioni e si crogiola in una pericolosa forma di apatia.
La loro linfa vitale è risucchiata dalla casa. Moravia prende in prestito dall’ultimo Verga i soffocanti tendaggi, i pesanti tappeti, gli specchi che riflettono i volti rappresi dall’insoddisfazione, dai non detti e dagli animi che ribollono, fatalmente imbrigliati ma anche privi di una reale fiamma vitale.
Emblema e fonte della loro inettitudine è la madre, Mariagrazia.
Mariagrazia si nutre della sua immobilità, della sua pochezza e dei suoi frivoli drammi medioborghesi, fugge il cambiamento e pretende che la sua vita resti immutata. Inietta prepotentemente questa visione del mondo ai suoi figli demoralizzando ogni loro forma di entusiasmo e banalizzando ogni possibilità che sia diversa dal “sistemarsi grazie a un buon matrimonio”.

«Com’è Carla che non mangi?” domandò la madre.
“Così..”
Non aveva fame, tra tutte quelle cose affamate della sua vita; in verità questa stanza nella quale avrebbe dovuto nutrirsi, si era nutrita di lei: tutti quegli oggetti inanimati avevano succhiato giorno per giorno la sua vitalità, con una tenacia più forte dei suoi vani tentativi di liberazione: nel legno cupo delle credenze panciute fluiva il suo miglior sangue; in quell’eterno bianco dell’aria si era dissolto il latte della sua carne, nel vecchio specchio là, di fronte al suo posto, era rimasta prigioniera l’immagine della sua adolescenza
“Così, non è una spiegazione” insistette la madre.
Mangiava con avidità, guardando il boccone prima di introdurlo in bocca.»
Come ne I Buddembrook di Thomas Mann, ne Gli Indifferenti Moravia racconta la frustrazione e la tensione soffocate in un ambiente claustrofobico con la metafora del cibo che, sebbene sia simbolo di ricchezza, di agio e di benessere, viene rifiutato poiché elemento di convivio e di riunione. Se la famiglia diventa una pura etichetta, un bel quadro che nasconde una profonda aridità sentimentale, il luogo della tavola assimila le sue ombre: l’abbondanza diventa nauseante, la fame diventa avidità emotiva.

Ne Gli indifferenti, romanzo dal sapore di tragedia, Moravia gioca con i triangoli amorosi tutti nati e consumati in spazi chiusi. Ma nessuno di questi legami è frutto di un sentimento puro, poiché i personaggi si cercano come per capriccio, si pretendono come se fossero oggetti, parte dell’arredamento e semplici chincaglierie. Carla è per Leo un nuovo passatempo. Leo è per Carla uno strumento (fallace) per fuggire dal destino che le ha così ben disegnato sua madre. Leo è per Mariagrazia l’uomo ricco perfetto per continuare la sua esistenza da mantenuta. Lisa è, per Leo, un mero capriccio. Lisa è, per Michele, la recita che deve portare avanti per fingere di provare ancora emozioni. Lisa è, per Mariagrazia, quel simbolo di libertà che la terrorizza e che quindi la spinge a invidiarla e di seguito a odiarla con tutta sé stessa.

In queste opprimenti catene di finti affetti a vincere è la sola inettitudine: nulla è mutevole in una vita in cui le persone si tramutano in merce. Moravia costruisce in questo modo delle relazioni intricate tra personaggi apparentemente vincolati alle loro maschere piatte, ma che nascondono una profondità che si manifesta in calunnie e pensieri disfunsionali. Sono persone che agiscono nel mondo come indifferenti e annoiate, ma che in realtà sono esponenti di un malessere caustico e opprimente.

Alessia Sicuro

Alessia Sicuro
Classe '95, ha conseguito una laurea magistrale in filologia moderna presso l'Università di Napoli Federico II. Dal 2022 è una docente di lettere e con costanza cerca di trasmettere ai suoi alunni l'amore per la conoscenza e la bellezza che solo un animo curioso può riuscire a carpire. Contestualmente, la scrittura si rivela una costante che riesce a far tenere insieme tutti i pezzi di una vita in formazione.

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