Guerra in Siria
Fonte: eacnur.org

In seguito alla ritirata dei ribelli della settimana scorsa da Khan Sheikhoun, roccaforte in provincia di Idlib, il governo siriano continua imperterrito nella sua missione di riconquista dell’intero territorio. Il nuovo obiettivo delle forze di Bashar al-Assad, in avanzamento verso la periferia di Idlib, è la città di Maarat al-Numan, situata pochi chilometri a nord di Khan Sheikhoun. Le prossime mosse dell’esercito siriano saranno dunque decisive, in quanto la provincia di Idlib è una delle poche regioni ad essere ancora in mano a jihadisti e ribelli.

Alla resa dei conti con i ribelli fa da sfondo il coinvolgimento della Turchia in un conflitto che non cessa di rivelarsi pericoloso: nei giorni scorsi l’esercito siriano ha bombardato un convoglio di mezzi turchi, uccidendo 3 civili e ferendone altri 12. Secondo una nota informativa dell’agenzia di stampa siriana Sana, Damasco ha accusato il regime turco di “violare la propria sovranità e integrità territoriale”, in quanto il convoglio militare avrebbe attraversato armato il territorio siriano allo scopo di approvvigionare i terroristi di Al Nusra.

Dal canto suo, il Ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu ha dichiarato a Reuters che il convoglio militare attaccato dalla Siria era stato inviato per verificare l’incolumità dei 12 posti di osservazione dell’esercito turco, posti lungo una fascia demilitarizzata stabilita con l’accordo a Sochi lo scorso settembre tra la Turchia e la Russia. Il ministro ha aggiunto:

«Non abbiamo intenzione di spostare questi posti di osservazione da nessuna parte, faremo tutto ciò che sarà necessario per la sicurezza dei nostri soldati.»

L’accaduto non è il primo episodio di tensione che si verifica recentemente: alcuni attivisti siriani hanno segnalato un ulteriore attacco raid-aereo nella giornata di sabato 17 agosto, provocando 7 vittime, tra cui alcuni bambini. Le offensive si fanno sempre più frequenti, aumentando così il numero di vittime tra i civili.

Una lunga lista di protagonisti in Siria

Nel frattempo, le ingerenze da parte di diverse potenze a livello mondiale non fanno altro che gettare benzina sul fuoco di una guerra che sembra ben lontana da trovare il suo punto fine. Ancora una volta, tra i primi ad intervenire si annoverano gli Stati Uniti, che si sarebbero accordati con la Turchia per la creazione di una safe-zone (zona di sicurezza) nella parte settentrionale del paese. Lo scopo sarebbe quello di creare un “corridoio umanitario per favorire il rientro dei profughi”, ha commentato l’ambasciata americana in Turchia, secondo quanto comunicato da una fonte ANSA. Ma questa opzione non piace ai curdi e alle popolazioni della Confederazione del Nord e dell’Est, secondo i quali la zona cuscinetto potrebbe portare ad una nuova Afrin.

Parallelamente, a rinnovare il loro supporto alla lotta contro il terrorismo in Siria sono stati recentemente l’Iran e la Cina. In occasione di una riunione tra il rappresentante speciale del governo cinese per la Siria, Xie Xiagoyan, e il principale assessore per la Cancelleria della Repubblica Islamica di Iran, Ali Asqar Jayi, i due rappresentanti politici hanno giudicato l’ingerenza straniera nei fatti interni alla questione siriana come una mancanza di rispetto alla sua sovranità, auspicando la fine di queste intromissioni esterne. Inoltre, i due titolari hanno confermato la formazione di un Comitato Costituzionale, al fine di favorire il rimpatrio dei rifugiati nei loro rispettivi territori e la conseguente ricostruzione della zona nord-orientale del paese.

Da ultimo, risultano piuttosto autoritarie anche le voci provenienti da Mosca, dove il Ministro degli Affari Esteri della Federazione Russa Serguei Lavrov ha ribadito che i terroristi detengono il controllo di gran parte del territorio di Idlib, facendo leva sulla necessità di riprendere il controllo della zona.

«I terroristi controllano il 90 percento della superficie di Idlib e continuano ad attaccare i civili, l’esercito siriano e la base di Hmeimim.»

Ha dichiarato il capo della diplomazia russa, stando a quanto afferma un comunicato stampa di Sana. Più di recente, inoltre, la Russia sembra aver messo le mani sulla produzione di fosfati siriana tramite la società Stroytransgaz Logistic dell’oligarca Gannady Timchenko, buon amico del Cremlino: una misura di compensazione per l’aiuto fornito da Putin nel 2015? Probabile.

Un conflitto di interessi

I bilanci parlano di quasi 400.000 morti e 5 milioni di profughi, numeri sufficienti a classificare la guerra in Siria come uno dei conflitti più sanguinosi della storia. A causa di una corruzione dilagante e di una violenta repressione delle libertà politiche, nel marzo 2011, sull’onda della primavera araba, migliaia di persone manifestarono pubblicamente contro il regime per le strade di Aleppo e Damasco. I continui tentativi del governo di reprimere le sommosse usando la violenza contro l’implacabile resistenza dei ribelli sfociarono in una guerra civile. A complicare lo scenario, al conflitto tra l’esercito siriano e i ribelli, se ne sovrappongono altri due: quello tra curdi e turchi e quello contro lo Stato islamico.

Se da un lato la guerra curdo-turca, scoppiata nel 1978 con motivo della rivendicazione dell’indipendenza del Kurdistan da parte dei curdi, è ancora attualmente in corso, dall’altro il Califfato risulta quasi interamente abbattuto: i jihadisti si sono ritirati nelle aree desertiche del paese, lanciando sporadicamente attentati contro militari e civili.

Anno dopo anno, appare sempre più complicato lo scenario di una guerra che non smette di causare un massacro dopo l’altro. Questo dovrebbe far aprire gli occhi ai leader politici sulla necessità lavorare per la pace in quella che ancora oggi è una delle zone più “calde” del mondo, eco di lunghi periodi di tensione che hanno dominato la storia del Medio Oriente.

L’Unione Europea, sotto l’egida dell’ONU, dovrebbe lavorare attivamente per favorire la chiusura di un accordo tra il regime siriano e l’opposizione, con l’obiettivo di costruire, attraverso un percorso di transizione, una Siria in grado di garantire ogni giorno sicurezza e libertà ai propri cittadini. Inoltre, una cooperazione costante con i principali partner internazionali è sicuramente il primo passo per prevenire le minacce terroristiche.

D’altra parte, però, non è un segreto che le ingerenze delle potenze straniere nella questione siriana non siano fine a se stesse. La leadership russa fornisce alle forze di Assad armi moderne e ad alta precisione, allo scopo di consolidare i propri interessi economici e geopolitici in Medio Oriente. Gli Stati Uniti, a loro volta, hanno reagito negativamente al coinvolgimento militare russo in Siria e, nonostante l’annuncio del presidente Donald Trump del ritiro delle truppe nel dicembre scorso, i rapporti con Assad rimangono ancora tesi. Un altro elemento da non sottovalutare è l’ambigua politica estera della Turchia, che, prestando manforte ai terroristi dello Stato Islamico, contribuisce ad inibire la stabilità e la sicurezza nel quadro politico mediorientale.

Nove anni dall’inizio del conflitto e ancora nessuna soluzione diplomatica in vista. La Siria continua ad essere fulcro di un gioco politico tra le potenze europee ed extraeuropee che, tra una contraddizione e l’altra, alla fine di una guerra estenuante, antepongono i loro interessi egoistici per preservare la propria influenza politico-militare nella regione mediorientale. E ancora una volta, a pagarne il prezzo sono le vite umane.

Matteo Allievi

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