Fonte: sicomunazione.it

«Verità e Giustizia» recita la scritta sottostante al murale dedicato a Ugo Russo, quindicenne morto il 1° marzo del 2020 in seguito a un tentativo di rapina con una pistola giocattolo ai danni di un poliziotto ventitreenne, in quel momento fuori servizio, che sostava insieme alla fidanzata nei pressi del quartiere Santa Lucia. Verità e Giustizia è altresì il nome del comitato che coinvolge i parenti della vittima, avvocati e parte della società civile perché venga fatta chiarezza sulla morte del ragazzo.

Al momento, alla luce delle testimonianze – esigue, in realtà – e delle prove la ricostruzione sembra essere avvolta dal buio; d’altronde, i pezzi per ricomporre il puzzle provengono soltanto dagli attori presenti lì sul luogo dell’accaduto. La compagna del poliziotto – ora accusato di omicidio volontario – assicura che Ugo, pur consapevole che il soggetto a cui tentava di rapinare fosse una forza dell’ordine, non aveva desistito, e che quindi il suo ragazzo fu costretto a sparare, considerando la difficoltà a notte inoltrata nel distinguere un’arma da fuoco reale o falsa (poi rivelatasi una replica, quindi innocua). L’amico di Ugo Russo – che gli stava dietro sul motorino – contrariamente afferma che il poliziotto non si qualificò come tale e che, fingendo di togliersi l’orologio per consegnarlo ai rapinatori, sparò senza preavviso. Non si sa bene quanti proiettili furono esplosi, forse due o tre; uno certamente all’addome che tramortì Ugo facendolo roteare su se stesso e lì, presumibilmente, fu esploso un secondo colpo mortale al collo.

Inoltre, bisogna considerare il caos che avvenne la sera stessa della morte del ragazzo, nella quale il pronto soccorso dell’ospedale Pellegrini, dove giaceva esamine il corpo di Ugo, fu devastato da componenti della famiglia omonima. Poche ore dopo, scariche di pistola furono esplose contro la caserma Pastrengo, sede del comando provinciale dei carabinieri. Due persone – una di queste un cugino della vittima – sono state individuate come colpevoli di quegli spari e condannate rispettivamente a cinque e sette anni di carcere in primo grado. Per la sortita al pronto soccorso sono state condannate quattro persone, tra cui una zia di Ugo Russo.

Per adesso, l’unica verità tangibile è la sentenza del Tar che ha recentemente rigettato il ricorso della famiglia di Ugo Russo, comandando poi la cancellazione del murale entro trenta giorni nell’ipotesi in cui il condominio – ubicato nei Quartieri Spagnoli – non dovesse provvedere da sé. Tuttavia, il comitato Verità e Giustizia non sembra perdersi d’animo, in quanto potrebbe concretizzarsi l’idea di presentare ricorso al Consiglio di Stato – ovvero l’organo con la massima capacità giudiziaria in campo amministrativo – che la legge prevede entro sessanta giorni dall’emissione della sentenza in primo grado di giudizio del Tribunale amministrativo regionale (Tar).

Il Comune di Napoli, sebbene autorizzato dalla pronunciazione del Tar, sembra temporeggiare. La giunta prevede di attendere fino alla fine del mese, cercando però di anticipare il tempo limite dei sessanta giorni oltre i quali la famiglia della vittima potrà presentare ricorso al Consiglio di Stato. La prefettura di Napoli, per contro, si muove su tutt’altra sponda, con l’intento di proseguire quell’attività cominciata il 4 marzo di sgombero e smantellamento di simboli – murales, altarini, busti in gesso – legati a personalità ed eventi appartenenti alla criminalità organizzata.

«Si è aspettato troppo tempo. Adesso ci aspettiamo che rapidamente venga cancellato l’omaggio al baby rapinatore casomai sostituendolo con un’opera dedicata a un eroe napoletano o a una vittima della criminalità», scrive su Facebook l’unico consigliere regionale di Europa Verde Francesco Emilio Borrelli, da tempo attivamente in campo contro qualsiasi forma di illegalità, non a caso fu uno dei primi a inneggiare la cancellazione di un altro murale – adesso non più presente – dedicato a un altro giovane ragazzo, Luigi Caiafa, deceduto la notte del 4 ottobre scorso in circostanze non dissimili da quelle di Ugo Russo.

A onor del vero, le azioni del consigliere Borrelli sono state aspramente criticate, in una lettera aperta risalente al 6 gennaio scorso, dalla Camera Penale di Napoli che con tali parole rimarcava la sua posizione: «La divisione manichea tra la “città buona” e la “città cattiva”, gli epiteti feroci rivolti ad interi strati della cittadinanza, la richiesta di dar vita ad una secessione all’interno della città (…) costruiscono ormai un format tanto insulso quanto, in definitiva, crudele». Nessuno, beninteso, nella fattispecie dello sfortunato episodio di Ugo Russo, ha lontanamente l’intenzione di minimizzare l’accaduto o perfino di inscrivere quest’ultimo come uno delle tante “bravate” di un quindicenne tutto sommato esente da colpe. Il punto è un altro, ed è alquanto più sottile: le realtà sono complesse, districate; pertanto, risulta irrealistico – e soprattutto fazioso – affidarsi a una visione dualistica della società in cui le vittime, come in questo caso, sono viste sic et simpliciter come carnefici.

Riprendendo il virgolettato del consigliere Borelli, anche invitare la cancellazione del murale affinché possa esserne realizzato un altro per «un eroe napoletano una vittima della criminalità» non fa altro che alimentare la retorica tra buoni e cattivi, allontanandoci dalla risoluzione di problematiche ben più complesse che, volenti o nolenti, fecero sì che in quel momento Ugo Russo si trovasse lì, in piena notte, tentando di rapinare quello che lui – forse – non sapeva essere un poliziotto. Per chiarezza, ci tengo a sottolineare che sarebbe da ingenui non credere all’ipotesi inversa: ciò che se il ragazzo fosse riuscito a rapinare l’orologio senza contrattempi i genitori, allora, non l’avrebbero accolto festanti e gioiosi; questo, verosimilmente, sarebbe successo, ed è quello che in più occasioni ha fatto notare Borrelli.

Che il murale resti o meno è una questione che viaggia su binari diametralmente opposti rispetto alla vicenda in sé. Da un lato i simboli sono importanti, certo, perché ci ricordano a come un promemoria che quella cosa è successa e che bisogna muoversi affinché non accada nuovamente; dall’altra parte, però, occorre anche riflettere su un aspetto: in che modo può essere interpretata quell’opera artistica, in tal caso quel murale? Cosa ne ricava un ragazzino, magari coetaneo di Ugo Russo, guardandolo? Ecco, auspicando che la magistratura dissolva ogni dubbio e condanni o assolva il poliziotto, è di prim’ordine che, partendo dalla sfortunata sorte di Ugo Russo, si apra un definitivo tavolo di lavoro che realmente discuta sul come operare nei sobborghi di Napoli, coinvolgendo una volta per tutte le istituzioni (in primo luogo la scuola), accogliendo altresì le richieste provenienti dalla società civile.

Antonio Figliolino

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