A 100 anni esatti da quei bui giorni della storia umana che ebbero il nome di Grande guerra, dovrebbe ricorrere nelle nostre menti il ricordo delle azioni, delle gesta, ma sopra ogni altra cosa del sacrificio senza bandiera e senza patria di milioni di essere umani morti nel conflitto e di cui solo una piccolissima parte ha avuto l’onore di avere il proprio nome sulla lapide. Volti ed espressioni così familiari, lettere e diari così intimi che nulla ci vieterebbe di dar loro il nostro nome o di qualcuno a noi caro, luoghi e paesaggi così quieti da crear un senso di attaccamento a prima vista,ma che nel profondo celano ancora  le grandi tragedie, quelle che, per esser tali, non hanno bisogno di protagonisti assoluti o palcoscenici particolari, ma di un lungo stuolo di comparse umane matricolate, non appartenenti alla categoria né vintivincitori, ma a quella delle vittime della stupidità umana.

Luoghi e testimonianze di un patrimonio culturale difficile da etichettare ed anche da sostenere al giorno d’oggi, verso cui sarebbe più facile mostrare indifferenza o patrocinare giudizi sommari, ma la Storia, quella vera, continua il suo percorso senza deviazioni o scorciatoie e costringe noi, i figli delle bombe,  a confrontarci con esse nella più totale nudità intellettuale.

Raccontiamo ora uno di questi luoghi della memoria, il monte Grappa.

https://www.youtube.com/watch?v=XU-GGTjuyBU

Ci troviamo tra Val Sugana e Valle del Piave ad un altitudine di circa 1400-1700 metri, l’aria lì è limpida e il cielo è terso, nulla di tutto ciò rammenta ai nostri occhi la presenza dell’uomo, poi però lo sguardo scende fino a posarsi sui crinali,sui prati e sulle rocce e lì c’è la testimonianza di come una mano  abbia mutato quei  luoghi.
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Data 24 Ottobre 1917, negli alti comandi italiani serpeggia la trepidazione, il nemico ha sfoCadorna1ndato il fronte e non accenna a fermarsi, qualunque linea difensiva approntata è saltata,  nella prima mattinata la  notizia rimpalla sui giornali nazionali ed internazionali, il panico si diffonde tra la popolazione, è la disfatta di Caporetto.  Dopo l’ordine ufficiale di ripiegamento dato dal Capo di stato Maggiore Luigi Cadorna il 31 Ottobre, le forze italiane completamente allo sbando iniziarono, sotto la pressione austro-tedesca, a muoversi verso il Piave.


100_3425 Nelle giornate del 6 e 7 Novembre la 4° armata italiana perse, a costo di ingentissime vite, la zona di Lorenzago di Cadore e da lì con una marcia di 80 km si assestò sul complesso montuoso di monte del Grappa. Per volere del nuovo comandante in capo Armando Diaz, Monte del Grappa venne trincerato e fortificato così da assurgere, in maniera disperata, come ultimo baluardo alla avanzata austriaca prima che essa potesse imperversare nella pianura veneta e di lì in tutta il nord Italia. La battaglia che ne seguì dal 13 al 27 Novembre e che prese il nome di  prima Battaglia del Piave vide il tentativo austriaco di forzare le difese del Grappa, difese che nonostante le ingenti perdite iniziali e l’occupazione di monte Spinoncia, l’intero Fontana Secca, parte del Monfenera ed il monte Tombaco,  resistettero all’urto, questo grazie soprattutto al sacrificio dei codardi di Caporetto e ai soldatini del ’99 reclutati anzitempo per lo stato di necessità.

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Durante l’inverno, il genio militare italiano trasformò il Grappa in un eccellente fortino naturale con la costruzione di tunnel, di cui la migliore testimonianza rimane ancora oggi il tunnel Vittorio Emanuele III, depositi, alloggi per i soldati e postazioni di artiglieria al riparo dal tiro nemico; tutto ciò venne mes100_3463so alla prova il 15 Giugno 1918, quando gli austriaci decisero di approfittare di una folta nebbia per attaccare da più fronti monte del Grappa riuscendo nei primi giorni a raggiungere significativi risultati, tra cui l’occupazione del Ponte San Lorenzo.  Dopo tale azione il comando italiano ordinò un contrattacco con il quale si riconquistarono tutte le posizioni perse e nei mesi successivi a  Ponte San Lorenzo venne apposta una colonna con inciso  “Qui giunse il nemico e fu respinto per sempre il 15 giugno 1918”. La battaglia in questione che saggiò la capacità di resistenza degli italiani e delle difese approntate passò alla storia con il nome di battaglia del solstizio come la chiamò Gabriele D’annunzio.

Era il solstizio d’estate del 1918
ed i narcisi profumati, i ranuncoli gialli, gli azzurri nontiscordardimé
e cento altri fiori rivestivano gli aerei colli del Grappa.
All’ improvviso il canto lugubre della mitraglia cominciò a falciarli
e con loro migliaia di uomini caddero tra quei fiori spezzati
e sangue copioso bagnò quella terra.
L’anno dopo quando tutto era finito,
i fiori spuntarono nuovamente, belli, profumati, innocenti,
come nulla fosse accaduto.
La natura non si era accorta di quella tragedia.
Solo il nostro ricordo ne mantiene la memoria.

storico1Pochi sanno quanto determinante sia stato l’apporto delle forze alleate che parteciparono alla battaglia, difatti i francesi contavano una intera armata, la dodicesima, nella regione con due divisione di fanteria e diversi gruppi di artiglieria campale, da montagna e pesante, lo stesso lo si può dire per gli inglese che disponevano della quattordicesima armata; curiosità su curiosità fu l’utilizzo da parte degli italiani sul fiume Sile di cannoni navali della Regia Marina montati su chiatte mobili per attaccare di soppiatto e con sortite rapide gli austriaci.

La terza ed ultima battaglia sul Grappa vide questa volta protagonisti gli italiani, che sulla spinta iniziale della Battaglia di Vittorio Veneto, vollero intensificare e ampliare gli sforzi anche a questo settore;  dal 24 Ottobre al 3 Novembre i 75’000 fanti della 4° armata uscirono all’attacco dalle proprie trincee, nonostante l’esito favorevole dello scontro, le alte perdite, 5’200 effettive e 600 dispersi limitarono fortemente le felicitazioni per la conclusione del conflitto su quei monti.

 

https://www.youtube.com/watch?v=wtZOGmtOqsc

In un anno di combattimenti sul complesso montuoso del Grappa perirono circa 12’615 soldati italiani e 10’295 austroungarici.

Oggi in quella che era una casera militare, sorge il museo storico della Guerra 1915-1918; inaugurato nel 1989 il museo raccoglie documenti, foto di quegli eventi ed anche armi e cimeli vari di tutta la prima guerra mondiale.

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A dare degna memoria a quelle innumerevoli ed insensate morti italiane ed austriache, di cui ancora oggi per la maggior parte non si conoscono i nomi, c’è un sacrario militare, che dalla sua granitica posizione su quelle vette ci ricorda a noi e a tutti di come 12’000 italiani e 10’000 austriaci stiano ancora là, a distanza di quasi un secolo, a montare la guardia.
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“Camminare sulla cresta dei Solaroli
in una mattina di giugno,
quando l’aria è fresca al punto giusto                                                                 
ed il sole splende bello alto,
in mezzo ad un tappeto di erbe e fiori,    031d5e45-4665-44a7-b1aa-bcff4f02361715Medium
lungo un sentiero di pietre bianche,
sopra un gruppo di nuvole basse e pigre,
sopra prati con mucche tranquille al pascolo,
e grandi boschi scuri e valli profonde,
sopra fiumi che si perdono lontano nel mare,
e paesi e città della grande pianura,
sullo sfondo montagne ancora coperte di neve,
sembra di trovarsi in Paradiso.
Si fa presto adesso dire Paradiso
mentre un tempo qui era l’ Inferno.
Le pietre bianche che segnano il sentiero
erano rosse del sangue dei caduti
ed i pezzi di granata adesso muti
tagliavano urlando la carne dei soldati.”

 

Dario Salvatore

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