“La più recondita memoria degli uomini” è il romanzo con il quale Mohamed Mbougar Sarr ha conseguito il Premio Goncourt nel 2021.
Riconosciuta dalla critica come il caso letterario dell’ultimo anno, l’opera pone la sua attenzione sul problema della ghettizzazione degli autori africani che si affacciano nell’universo editoriale francese. La tendenza registrata è infatti quella di isolarli ed etichettarli (si parla anche di scrittori abbastanza famosi o rinomati) e di presentarli sempre come degli stranieri legati a una fantomatica patria abbandonata (non tenendo magari conto della loro storia e quindi del fatto che potrebbero essere di seconda o terza generazione). Oltre che per una pericolosa superficialità, questo atteggiamento si giustifica perché sembra si preferisca vendere tali autori appiccicandogli addosso il loro sapore esotico.
Sarr rende vivo il romanzo con le voci di un consistente gruppo di scrittori che cerca di restare a galla in un mercato editoriale cinico e spietato. In tale contesto nasce l’esigenza di presentare al pubblico francese (ed occidentale tutto) gli autori africani in una maniera sbagliata: privandoli della loro specificità come individui, a vantaggio di quelle storie di lontana e spesso tragica attualità che i fruitori si aspettano di trovare. Questo atteggiamento inoltre si perpetua senza tener conto dello shock culturale che gli immigrati di prima generazione (e male integrati) devono subire: dopo aver ricominciato la loro vita nel paese d’arrivo e aver trascorso anni come “quelli nuovi, gli stranieri, quelli diversi”, spesso perdono la loro bussola e vedono disintegrare la loro identità quando, tornati nel paese di origine, si scoprono cambiati, dei pesci fuor d’acqua in un luogo che prima chiamavano “casa”. Il problema legato al negato senso di appartenenza è quindi complesso e fonte di malessere: la ghettizzazione non è di sicuro l’arma vincente.
Il protagonista del romanzo è Diégane Latyr Faye, un giovane scrittore senegalese che cerca, nella Parigi contemporanea, oltre all’auspicato successo editoriale, una sua identità come scrittore.
M. M. Sarr costruisce il viaggio che Faye dovrà intraprendere: un percorso di formazione che sorprendentemente si trasforma in un tuffo nella memoria verso le radici della cultura senegalese, un’immersione utile a sviscerare le sue origini, a comprenderle, accettarle e accoglierle e, solo allora, a esorcizzarle e a distaccarsene.
Nel 2018, Faye scopre a Parigi un libro pubblicato nel 1938 “Il Labirinto del disumano” di E.T. Elimane. Autore leggendario, Elimane sembra abbia folgorato i lettori con un prodotto epico ma dalle atmosfere decadenti.
«Ogni personaggio del racconto aveva una propria crepa da cui sgorgava una domanda esistenziale che risplendeva in maniera vivida, tanto da abbagliare l’occhio che pretendesse di capirla alla lettera»
Tutti ne erano entusiasti, tanto che venne soprannominato dalla critica “il Rimbaud negro” un complimento dalle tinte ironiche e razziste pur nella sua celebrazione (dal tono “perbacco, anche i neri sanno scrivere!”). Il vero labirinto inizia però una volta portata al termine la lettura: affascinato e rapito dalla penna di questo autore sconosciuto, il protagonista decide di impelagarsi nella sua ricerca, cosa che lo monopolizzerà e ossessionerà fino a fargli perdere contatti con la sua quotidianità.
Ma perché nella memoria non ci sono più tracce di quel romanzo mistico, un unicum nella letteratura?
Elimane provocò una grande frattura nel mondo editoriale, una scossa che venne però letta come uno scandalo da insabbiare e così lui e la sua opera vennero soffocati da recensioni e commenti vaporosi e negativi, fino a essere rilegato al limen della storia. Nello specifico, fu accusato di plagio anche se tra le righe si comprende che si trattava di un’anticipazione della tecnica postmodernista del pastiche (un’opera composta, in tutto o in larga parte, da brani tratti da opere preesistenti, per lo più con intento imitativo). In più le guerre mondiali e le leggi razziali non aiutarono la causa, complici della dispersione di milioni di persone.
Sarr divide il romanzo in tre parti: se la prima è ambientata in Francia, la seconda ha un carattere girovago e si basa sulla ricerca di Elimane. Questa assume un carattere leggendario poiché prende forma da tutte le storie, le biografie e i racconti di vita degli autori africani che Faye incontra durante il suo lavoro di collage. Tutte queste voci si intrecciano, attraversano il tempo e ricostruiscono un passato che hanno loro malgrado deformato. Il puzzle finale sarà “la più recondita memoria degli uomini” perché il destino di Elimane è quello di tutti loro.
La terza parte del romanzo è ambientata in Senegal dove Faye si imbatterà con la sua di identità e il suo essere uno scrittore.
«Cos’è peggio, non aver mai visto e desiderare di vedere o aver visto? [..] Io credo che il più infelice sia quello che ha visto, [..] perché vive nel ricordo che ha della bellezza del mondo, ma non sa che il suo ricordo non esiste più perché il mondo cambia, ha una bellezza diversa ogni giorno. Il cieco che ha visto è infelice perché il ricordo gli impedisce di immaginare. Dedica così tanta energia a non dimenticare che si scorda di essere capace di reinventare ciò che ha visto e inventare ciò che non vedrà più. Cieco o non cieco un uomo senza immaginazione è sempre infelice.»
La grande metafora suggerita da Sarr è quella metaletteraria. Faye, senza rendersene conto, ha inseguito un’ombra, la sua e quella della sua comunità, ma il lavoro di ricerca costruito sul viaggio, sull’ascolto e sulla documentazione non è altro che il capillare processo portato avanti dalla letteratura. Le indagini sul “Labirinto del disumano”, opera totale e totalizzante che riprende e cita il passato per donargli una nuova forma, assumono il sapore dei nostri studi classici nei confronti dei poemi epici dell’Iliade e dell’Odissea, le fondamenta culturali delle nostre radici occidentali. La memoria fedele e deformante, la creatività, l’immaginazione, il passato che con i suoi topoi costruisce il presente e fa ancora capolino, preponderante, nei pastiche, la scrittura che documenta, costruisce, ricorda e deforma, indaga e inventa con creatività è l’assoluta protagonista della nostra vita, è linfa per uno scrittore.
Come Omero, Elimane è sfuggente, dal carattere mitico e, soprattutto, riflette melanconicamente sull’essenza dell’uomo, sull’importanza della memoria e del ricordo, gli strumenti che ci identificano e che ci rendono potenzialmente immortali in terra.
Sicuro Alessia