Saturnalia: le ritualità pagane e solstiziali dell’antica Roma, Saturno
Saturnalia. Antica Roma culto Saturno (sociologicamente.it)

I Saturnalia et Opalia furono un ciclo di feste tra le più importanti della religione romana e venivano celebrate dal 17 al 23 dicembre – periodo stabilito in epoca imperiale da Domiziano – in onore del dio Saturno e della dea Opis, sua sposa. I Saturnalia iniziavano sei giorni dopo gli Agonalia in onore del Sol Indiges (dio Apollo), e simboleggiavano l’auspicato ritorno all’abbondanza dell’età d’oro di padre Saturno; divenuto esule olimpico perché ripudiato da Giove in seguito alla titanomachia, fu poi ospitato dal Dio Giano nel Lazio, dove regnò per tutta l’aurea aetas, garantendo libertà, uguaglianza, beatitudine e agiatezza.

Esiodo così descrisse quel periodo:

«Un’aurea stirpe di uomini mortali crearono nei primissimi tempi gli immortali che hanno la dimora sull’Olimpo. Essi vissero ai tempi di Crono, quando regnava nel cielo; come dèi passavano la vita con l’animo sgombro da angosce, lontani, fuori dalle fatiche e dalla miseria; né la misera vecchiaia incombeva su loro […] tutte le cose belle essi avevano».

Difatti al tempo dell’età aurea gli uomini vivevano in pace e in prosperità, ma la sua mesta fine giunse sia a causa del figlicidio paterno compiuto da Saturno – fu perciò detronizzato –  sia a causa della favolosa Pandora moglie di Epimeteo. A quest’ultimo fu donato un vaso proibito da Giove, con lo scopo di vendicarsi del furto subito dal fratello Prometeo. Giove da abile manipolatore e stratega, era sicuro che Pandora sarebbe stata vittima della curiosità infusale da Mercurio e infatti lei aprì il vaso e da lì fuoriuscirono tutti i mali del mondo che avrebbero poi afflitto in eterno l’umanità intera.

F. Goya, Saturno che divora i suoi figli

I Saturnalia si celebravano a Roma, fin dall’età repubblicana, assumendo maggiore rilevanza nell’epoca imperiale. Probabilmente tali riti, legati alla mitologia classica, sono un’eredità tanto greca quanto etrusca. Le origini dei Saturnalia sono probabilmente riconducibili a un retaggio culturale pelasgico, sorto dopo l’ecatombe protratta dai pelasgi a danno dei siculi in terra italica. La ritualità pagana ebbe ufficialità nel 217 a.C. e in seguito i giorni di festività subirono una reiterata evoluzione calendariale: con Cesare furono due, con Augusto quattro, con Caligola cinque e, in ultimo, con Domiziano sette; ovvero sino alla vigilia del Natalis Solis. Infatti, il tempo che precede il solstizio d’inverno è un periodo di passaggio tra il vecchio e il nuovo anno, tra il sole che sta morendo e il nuovo che deve «risorgere» annunciando la futura primavera.

Saturnalia: i giorni di festa

Durante i Saturnalia veniva sovvertito l’ordine sociale. In omaggio al ricordo dell’uguaglianza vissuta durante l’età d’oro, la gran mole di servi presente ai festeggiamenti era, per l’occasione, equiparata ai padroni. Non c’erano più differenze di ceto, tutti indossavano il pilleum – il berretto frigio di persiana tradizione – simbolo degli uomini liberi. Veniva persino eletto a estrazione un saturnalicius princeps, che rappresentava sia una antitesi satirica del senatus princeps (l’imperatore) sia una stramba caricatura della classe nobile, e a costui veniva assegnato ogni potere sulla festa stessa, era vestito in modo carnevalesco e con colori sgargianti tra i quali spiccava il rosso, colore degli dèi e degli imperatori.

Saturnalia, banchetto

Presso il Tempio di Saturno nel Foro si svolgeva la cerimonia ufficiale. Un sacerdote senza capite velato espletava le ritualità canoniche, ovvero un solenne sacrificio che consisteva nello sciogliere le bende di lana che avvolgevano i piedi del simulacro di Saturno. Quindi Saturno, ormai slegato, poteva adempiere le sue funzioni in quanto fondatore d’una nuova era fino al termine dell’anno. Venivano accese per le strade delle candele affinché la luce potesse scaldare e illuminare i passanti, e inoltre venivano appesi sugli edifici una gran quantità di festoni d’abete in onore del Dio Giano.

In seguito il Senato indiceva un lectisternium, rito rivolto all’immagine del Dio Saturno che si concludeva con un convivium publicum, ovvero un banchetto collettivo dove i commensali indossavano la cenatoria, una tunica dalle fogge estremamente colorate. Enormi processioni, ricchi simposi, fiere, spettacoli, sacrifici propiziatori in nome delle divinità ctonie, gioco d’azzardo, otium e spesso orge, animavano le esuberanti festività.

Tempio di Saturno, Roma

Il poeta Catullo definì le festività: «dei Saturnali, il più bello dei giorni!»

L’augurio che si scambiavano i convitati era «Io Saturnalia!», una invocazione di buon auspicio per allietare i festeggiamenti. Sovente l’augurio era accompagnato da piccoli doni simbolici detti strenne (culto della dèa Strenua) a base di noci, datteri e miele.

Si presumeva che durante lo svolgimento dei Saturnalia gli dèi Saturno, Proserpina e Plutone vagassero nei cortei durante tutto il periodo invernale, poiché la terra era in riposo per via del gelo invernale. Dunque era necessario placare le loro volontà con l’offerta di doni e di feste in loro onore pur di renderli benevoli e far sì che al loro rientro avrebbero assicurato la fertilità dei terreni e l’abbondanza dei raccolti estivi . Durante le celebrazioni i tribunali e le scuole erano chiusi, era persino proibito dichiarare guerra, stabilire pene capitali e portare lutti.

Saturno e il gioco del cosmo

I Saturnalia rappresentavano il passaggio tra l’anno vecchio e il nuovo, il ricongiungimento tra due cicli cosmici, ovvero la reintegrazione del mondo nella sua origine informale. Per questo motivo i giorni solstiziali fino a capodanno venivano vissuti, nell’apparente contraddizione fra euforia, confusione e desiderio di rinnovamento, in attesa di una palingenesi. Saturno, divinità contraddittoria, regnava su tali ambiguità solstiziali, e lo faceva con un beffardo sorriso, quello di colui che possedeva le chiavi del «grande gioco cosmico».

Seneca scrisse: «Secondo Epigene di Bisanzio, il pianeta Saturno esercita un potentissimo influsso sui movimenti di tutti i corpi celesti».

Saturno era il dio che chiudeva un ciclo e ne apriva uno nuovo che ritirava simbolicamente i dadi dalla tavola e li rigettava formando nuove combinazioni. Saturno-Kronos era il demiurgo e signore del tempo che controllava la creazione secondo i suoi mutevoli intenti. La sua influenza veniva esercitata dall’abisso del Tartaro sino al centro della terra. Saturno, ovvero il Sole nero dei primordi moriva durante il solstizio invernale per rinascere come Dio-bambino all’inizio dell’anno nuovo .

Al termine dei Saturnalia, dal 21 al 25 dicembre si festeggiava il Dies Solis Invicti (la Natività del Sole Invincibile) il potentissimo Dio della luce e della vita. Ogni imperatore romano si sentiva vicino a divinità solari e salvifiche e tali festeggiamenti, ufficializzati il 274 a.C., sancivano la rinascita ciclica e imperitura della vita che sconfiggeva l’oscurità e il caos cosmico. Successivamente, prima che il politeismo venisse inghiottito dal monoteismo, dal II sec. al IV sec. Cristo venne identificato come un Dio Sole sotto l’egida di Apollo.

I simboli e le tracce delle civiltà antiche ancora vivono necessariamente mutatis mutandis nell’immaginario collettivo dell’intera umanità. L’eredità arcaica assorbita dai culti odierni ha radici profonde e pagane.

Gianmario Sabini

Sono nato il 7 agosto del 1994 nelle lande desolate e umide del Vallo di Diano. Laureato in Filosofia alla Federico II di Napoli. Laureato in Scienze Filosofiche all'Alma Mater Studiorum di Bologna. Sono marxista-leninista, a volte nietzschiano-beniano, amo Egon Schiele, David Lynch, Breaking Bad, i Soprano, i King Crimson, i Pantera, gli Alice in Chains, i Tool, i Porcupine Tree, i Radiohead, i Deftones e i Kyuss. Detesto il moderatismo, il fanatismo, la catechesi del pacifismo, l'istituzionalismo, il moralismo, la spocchia dei/delle self-made man/woman, la tuttologia, l'indie italiano, Rosa Chemical e Achille Lauro. Errabondo, scrivo articoli per LP e per Intersezionale, suono la batteria, bevo sovente per godere dell'oblio. Morirò.

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