Stefano Cucchi è stato picchiato. Questo il succo delle motivazioni della sentenza uscite oggi.

Il 31 ottobre scorso erano stati assolti dal reato di lesioni tre agenti della polizia penitenziaria e da quello di omicidio colposo nove tra medici e paramedici dell’ospedale Sandro Pertini di Roma, dove Cucchi morì il 22 ottobre del 2009, dopo l’arresto per detenzione di droga avvenuto 3 giorni prima.

Tenendo conto delle dichiarazioni dei due agenti penitenziari entrati in contatto con Cucchi, la Corte d’Appello di Roma presieduta da Mario Lucio D’Andria, scrive che Stefano Cucchi fu sottoposto sicuramente ad una azione di percosse e “non può essere definita una ‘astratta congettura’ l’ipotesi prospettata in primo grado, secondo cui l’azione violenta sarebbe stata commessa dai carabinieri che lo hanno avuto in custodia nella fase successiva alla perquisizione domiciliare”. Per questo motivo i giudici trasmetteranno molto presto gli atti alla procura di Roma affinchè “valuti la possibilità di svolgere ulteriori indagini al fine di accertare eventuali responsabilità di persone diverse” dai poliziotti della penitenziaria coinvolti nel procedimento in primo grado.

Le lesioni sul corpo di Cucchi devono essere per forza di cose provocate “da un’azione volontaria, che può essere consistita anche in una semplice spinta, che abbia provocato la caduta a terra, con impatto sia del coccige che della testa contro una parete o contro il pavimento”. E agli atti ci sono “concrete circostanze testimoniali” secondo cui “già prima di arrivare in tribunale (per l’udienza di convalida dell’arresto, ndr) Cucchi presentava segni e disturbi che facevano pensare ad un urto traumatico avvenuto nel corso della notte”.

Da un lato la Corte d’Appello si mostra cauta, specificando che il lavoro svolto da medici e personale sanitario “non è stato di apparente cura del paziente ma di concreta attenzione nei suoi riguardi, scrivono ancora i giudici. In merito alla causa della morte, però,  essi scrivono chiaramente che “non c’è alcuna certezza” e, conseguentemente, “non è possibile individuare le condotte corrette che gli imputati avrebbero dovuto adottare”, “le quattro diverse ipotesi avanzate al riguardo, da parte dei periti d’ufficio (morte per sindrome da inanizione), dai consulenti del pubblico ministero (morte per insufficienza cardio-circolatoria acuta per brachicardia), delle parti civili (morte per esiti di vescica neurologica) e degli imputati (morte cardiaca improvvisa), tutti esperti di chiara fama – si leggenon hanno fornito una spiegazione esaustiva e convincente del decesso di Stefano Cucchi. Dalla mancanza di certezze, non può che derivare il dubbio sulla sussistenza di un nesso di causalità tra le condotte degli imputati e l’evento”.

Queste motivazioni quindi, di fatto, riaprono un caso molto sentito dall’opinione pubblica, la cui sentenza di assoluzione di primo grado aveva fatto scalpore, proprio a partire dalla famiglia Cucchi fino ad arrivare alle più alte sfere della politica. Infatti il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, aveva chiesto a gran voce il chiarimento dei punti più oscuri di una vicenda che, allo stato delle cose, è ben lontana dal potersi definire chiusa.

Giancarlo Manzi

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