Leggere Lolita a Teheran Nafisi
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Leggere Lolita a Teheran di Azar Nafisi è un romanzo pieno di dolore e nostalgia: amabile, spiritoso, fluido, e talora ingenuo, spesso terribile; e piacerà, ne sono convinto a moltissimi lettori e lettrici”. Così Pietro Citati, scrittore, saggista, critico letterario e biografo italiano, riassume in poche righe il “capolavoro letterario”, così definito della critica internazionale, della scrittrice iraniana Azar Nafisi. Pubblicato in Italia nel 2004 per la casa editrice Adelphi, Leggere Lolita a Teheran è rimasto nella lista dei best seller del New York Times per più di due anni. Siamo quindi davanti a un caso editoriale “magistrale”, che ha fatto già tanto eco e rumore, ma che allo stesso tempo porta con sé un’intramontabile bellezza, un’autenticità pura e unica che solo la letteratura, unita alla storia, è in grado di riservare.

“Capolavoro letterario”, “romanzo nostalgico”, ma non solo: Leggere Lolita a Teheran è anche un’intensa e sudata autobiografia, un testo letterario prezioso, dove si fanno largo e dialogano le voci di diverse donne, tra cui Sanaz, Mahshid, Manna, Yassi , Nima, Mitra e Azin, insieme a Lolita di Nabokov, Gatsby di Fitzgerald, James e Austen. Un piccolo manuale di storia, che fa riemergere i tratti di un Iran ridente e gioioso, macchiato e distrutto dagli anni della rivoluzione, tra il 1978 e il 1979. Dove il paese da monarchia si trasforma in una repubblica islamica sciita, la cui costituzione si ispira alla legge coranica. Dove le donne, così come i loro diritti, sfumano sotto una tunica nera: il presente è buio, incerto e violento, e il futuro, nebuloso e difficile da immaginare, soprattutto, restando qui.

E in questo quadro, Azar Nafisi, figlia di Ahmad Nafisi, ex sindaco della città e di Nezhat Nafisi, prima donna ad essere eletta al parlamento iraniano, affida alla penna parte della sua vita in un misto tra realtà e fantasia. Nafisi nasce a Teheran nel 1948, studia tra l’Inghilterra e gli Stati Uniti, consegue una laurea in letteratura inglese e americana in Oklahoma, per poi decidere di tornare in madrepatria, nel 1979, dove insegnerà Letteratura inglese presso l’Università Allameh Tabatabai di Tehran, fino al 1981, l’anno dell’esclusione. Rientrerà in ruolo solo nel 1987, spinta dall’amore e la passione per quelle aule, per quella professione. Dirà addio, al suo paese, in modo definitivo, qualche anno dopo, nel 1995: l’ambiente è troppo pesante, insegnare letteratura occidentale in un contesto di censura e violenza, non è più possibile.

Ed ecco allora che, in tale contesto, nasce la sfida di Leggere Lolita a Teheran: mentre le strade e i campus diventano teatro di violenze tremende, Azar Nafisi, si cimenta in un’impresa fra le più ardue: spiegare a ragazzi e ragazze esposti in maniera crescente alla catechesi islamica una delle più temibili incarnazioni dell’Occidente: la sua letteratura. Una sera a settimana Sanaz, Mahshid, Manna, Yassi, Nima, Mitra, Azin, e Nafisi si ritrovano per dialogare e confrontarsi sui grandi romanzi della letteratura. Come Lolita, il grande Gatsby, Orgoglio e pregiudizio, Cime Tempestose, Daisy Miller e Piazza Washington di Henry James, ma anche Invito a una decapitazione, Le Mille e una notte. Letti, analizzati, studiati e interiorizzati: i libri diventano casa, le pagine strade nuove da percorrere. Ben presto, le ragazze, guidate dalla professoressa Nafisi, entrano in contatto con un mondo che si rivela più reale del previsto, non poi così lontano dalle strade polverose, deserte e malinconiche di Teheran.

Malinconia infatti, il filo conduttore di tutto il romanzo Leggere Lolita a Teheran. Quel sentimento, a volte sussurrato, altre volte urlato, che invade la testa e il cuore della scrittrice. Dove sono i diritti civili di di cui godevano gli iraniani sotto lo Scià? E la rivoluzione che sembrava indirizzata ad una maggiore democratizzazione del paese era forse solo un fallimento? E le “sue ragazze”, che futuro potevano, ora, sognare?

“La principale differenza tra queste ragazze e quelle della mia generazione era che noi sentivamo di aver perduto qualcosa e ci lamentavamo del vuoto che si era creato nella nostra vita quando ci avevano rubato il passato trasformandoci in esuli nel nostro paese. I loro ricordi invece erano fatti di desideri irrealizzati, di cose che non avevano mai avuto. E questa mancanza questo struggimento per le cose più normali, conferiva alle loro parole una luce malinconica, vicina alla poesia”, scrive Nafisi.

In Leggere Lolita a Teheran, solo la poesia, la letteratura, le parole nella sua forma più alta, diventano dunque quell’ancora, quel rimedio allo “struggimento per le cose normali”, più di quanto, forse, un individuo sia in grado d’immaginare. Fino a farsi quasi da specchio, in cui riflettersi e riflettere.

“Ciò che in Iran avevamo in comune con Fitzgerald, anche se allora non ce ne rendevamo conto, era proprio il sogno, che divenne la nostra ossessione e finì per prendere il sopravvento sulla realtà, un sogno bello e terribile, impossibile da realizzare, in nome del quale, si poteva giustificare e perdonare qualsiasi ricorso alla violenza”. Ma i “sogni sono ideali perfetti, compiuti in se stessi. Come si può sovrapporli a una realtà imperfetta, incompleta, in perenne mutamento? Si farebbe la fine di Humbert, che distrugge l’oggetto dei propri sogni, o di Gatsby, che distrugge se stesso”, rivela Nafisi.

Ecco allora che, chiosa la scrittrice, “quel giorno intuii che il nostro destino era sempre più simile a quello di Gatsby. Lui aveva cercato di realizzare il suo sogno facendo rivivere il passato, e alla fine si era reso conto che il passato era morto e sepolto, il presente soltanto una finzione, e che non c’era futuro. Non somigliava forse alla nostra rivoluzione, scoppiata in nome di un nostro passato collettivo e che nel nome di uno sogno aveva distrutto le nostre vite?”

Marta Barbera

Marta Barbera
Classe 1997, nata e cresciuta a Monza, ma milanese per necessità. Laureata in Scienze Umanistiche per la Comunicazione, attualmente studentessa del corso magistrale in Editoria, Culture della Comunicazione e della Moda presso l'Università degli Studi di Milano. Amante delle lingue, dell'arte e della letteratura. Correre è la mia valvola di sfogo, scrivere il luogo dove trovo pace.

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