Sinn Féin
Membri del partito Sinn Féin che manifestano per chiedere accesso libero alle cliniche per consentire l'aborto.

Il 5 maggio, nel 41esimo anniversario della morte del celebre attivista cattolico e politico nordirlandese, Bobby Sands, si sono tenute le elezioni amministrative all’interno del Regno Unito. La maggiore attenzione era rivolta agli exit poll che sarebbero usciti nelle sei contee della “provincia” britannica dell’Irlanda del Nord. Qui, infatti, la maggior parte dei sondaggi di opinione davano il partito indipendentista irlandese, lo Sinn Féin, come vincitore indiscusso della tornata amministrativa. Successo che avrebbe aperto così a scenari rivoluzionari per l’Irlanda del Nord, fino addirittura alla riunificazione dell’isola attraverso un referendum.

Ad elezioni concluse e schede oramai scrutinate, l’affluenza è stata del 63,6%, leggermente inferiore a quella delle elezioni del 2017. Attenendoci ai dati riportati dalla BBC, lo Sinn Féin si è affermato con il 29,00% (+1.1% rispetto alle precedenti elezioni) come partito più votato alle amministrative nordirlandesi. Si è imposto come seconda forza della provincia, il partito unionista e leale alla corona britannica del Democratic Unionist Party, che ha fatto rilevare il 21,3% (perdendo il 6,7% rispetto la scorsa tornata elettorale). Al di là di ogni più rosea previsione è invece andato l’Alliance Party of Northern Ireland, che ha ottenuto il 13,5% (ovvero +4,5% rispetto ai risultati precedenti). Andiamo dunque a capire chi sono questi tre attori politici che hanno dominato la scena elettorale.

Una vittoria storica per lo Sinn Féin

Dopo 101 anni di storia del Paese, l’Irlanda del Nord è sul punto di inaugurare una nuova era a livello politico, perché lo Sinn Féin è diventato il primo partito nazionalista ad avere la maggioranza nell’Assemblea nordirlandese. Questo partito d’ispirazione progressista che rappresenta la comunità cattolica ha condotto una campagna elettorale incentrata sul potere d’acquisto delle persone e sulle conseguenze della Brexit. In questo modo è riuscito a raggiungere quota 27 seggi su 90 disponibili, confermano il significativo risultato ottenuto nelle elezioni del 2017.

Per la prima volta nella storia, il partito può ora impegnarsi a formare un nuovo governo di coalizione in quanto prima forza politica. Dopo aver ottenuto i numeri per diventare il nuovo Primo Ministro dell’Ulster, la vicepresidente dello Sinn Féin, Michelle O’Neill, senza nascondere la sua soddisfazione ha dichiarato con profondo orgoglio che «Oggi si inaugura una nuova era che credo offra a tutti noi l’opportunità di reimmaginare le nostre relazioni in questa società sulla base dell’equità, dell’uguaglianza e della giustizia sociale».

Dal lontano 1905, anno della sua fondazione, lo Sinn Féin ha avuto come principale obiettivo quello di raggiungere l’indipendenza e la piena sovranità nazionale irlandese. Tuttavia solamente dopo queste elezioni, tale partito è riuscito a invertire i rapporti di forza esistenti all’interno della società nordirlandese, che esistevano dalla pace del Venerdì Santo (o Good Friday Agreement) del 1998. Per i nazionalisti dello Sinn Féin questo risultato rappresenta perciò una potenziale opportunità per rilanciare con forza il progetto di riunificazione dell’isola, a discapito dell’unione politica con la Gran Bretagna.

In ogni caso, il risultato di queste elezioni non riguarda solamente il futuro, ma anche il presente dello Stato. Il primo obiettivo dello Sinn Féin non è infatti quello di indire un referendum per l’unificazione dell’isola, ma è risolvere le questioni vicine alla vita quotidiana delle persone: sanità, disoccupazione, questione abitativa e, infine, aumento del costo della vita. Per questo motivo, O’Neill vuole ristabilire al più presto il funzionamento della Stormont House: «C’è l’urgenza di restaurare un Esecutivo e ricominciare a rimettere i soldi nelle tasche delle persone, per iniziare a sistemare il servizio sanitario. La gente non vede l’ora».

Sapendo dunque che il referendum sulla riunificazione dell’isola d’Irlanda è al momento un elemento fortemente divisivo all’interno della società nordirlandese, lo Sinn Féin si guarda bene dal promuovere immediatamente il suo principale intento. Il Partito è infatti consapevole che l’attività di governo gli può consentire di creare nuove alleanze che possono aumentare il suo consenso alle prossime elezioni amministrative. Se poi si considera che la popolazione cattolica continua demograficamente a crescere, si può ipotizzare che questo non è ancora il momento per proclamare un referendum, ma quello di consolidare la propria vittoria per condurre la società nordirlandese verso una futura unificazione.

La rovinosa sconfitta del Democratic Unionist Party

Da quando è stata creata l’Irlanda del Nord nel 1921, la maggioranza dei seggi è sempre andata a un partito unionista, sostenitore dell’appartenenza di questo territorio al Regno Unito. Tuttavia, la scorsa settimana lo Sinn Féin ha interrotto l’andamento a senso unico del voto e messo definitivamente fine al predominio elettorale delle formazioni unioniste protestanti. Dopo aver controllato la scena politica negli ultimi vent’anni, il Democratic Unionist Party (DUP) ha perso 3 seggi rispetto le precedenti elezioni, ottenendone 25 a fronte dei 90 disponibili: in questo modo, la maggior forza politica unionista della provincia è diventata il secondo partito più rappresentato nel parlamento dell’Ulster.

Il trionfo dello Sinn Féin è destinato a mettere a dura prova i precari equilibri di condivisione del potere esistenti in Irlanda del Nord. Gli Accordi del Venerdì Santo stabiliscono infatti che le istituzioni nordirlandesi devono funzionare in base al principio del consociativismo (power-sharing), che vuol dire che il governo deve essere necessariamente formato da esponenti di entrambi gli schieramenti, riuniti in una coalizione. Questo è un punto imprescindibile nell’ambito del processo di pace volto a garantire una gestione delle responsabilità condivisa dalle due comunità religiose. In virtù di ciò, quindi, pur avendo vinto, Michelle O’Neill non può diventare Primo Ministro a meno che il DUP non nominerà la carica di Vice Primo Ministro.

Questo meccanismo costituzionale sta così permettendo al DUP di tenere sotto scacco l’Assemblea di Stormont. Tale partito si sta infatti rifiutando con ostinazione di nominare il Vice Primo Ministro per sostenere un governo di coalizione. In merito, Paul Givan ha affermato che solamente comportandosi in questo modo il loro messaggio sarà chiaro: «è arrivato il tempo di agire, le parole non sono più sufficienti». L’intenzione del DUP sembra quindi essere quella di non costituire un esecutivo fino a quando non saranno risolte le preoccupazioni degli unionisti in merito al protocollo sull’Irlanda del Nord inserito nell’accordo post Brexit.

Inoltre, le formazioni unioniste sostengono che non è possibile indire alcun referendum sull’unificazione dell’isola. Dal 1998 il blocco unionista e quello nazionalista si equiparano in termini di elettorato, con quello unionista che rimane ancora leggermente in vantaggio. Le ultime elezioni dimostrano, in effetti, che esiste ancora una situazione di sostanziale equilibrio tra i partiti: le formazioni unioniste si sono assicurate il 40% dei voti, mentre quelle nazionaliste hanno ottenuto il 39,6%. Pertanto i voti persi dal DUP non sono andati allo Sinn Féin, ma verso altri partiti unionisti come l’Ulster Unionist Party (UUP) e il Traditional Unionist Voice (TUV).

L’Alliance Party irrompe sulla scena politica

Queste amministrative suggeriscono così un inasprimento delle divisioni tra nazionalisti e unionisti. Tuttavia, leggendo più attentamente i risultati e comparandoli con quelli delle scorse elezioni, è possibile sostenere il contrario. Nel 2017, l’insieme dei partiti unionisti si era garantito il ​​44% dei voti, ma in queste elezioni sono scesi al 40%. Da parte loro, la totalità dei partiti nazionalisti fece registrare il 40,4%, mentre ora hanno ottenuto il 39,6%. Al centro di questo calo di preferenze degli unionisti e dei nazionalisti, c’è l’ascesa dell’Alliance Party of Northern Ireland (APNI), il maggior partito politico interconfessionale dell’Irlanda del Nord.

Quando è stato fondato nel 1970, l’Alliance Party era espressamente un partito unionista, che faceva riferimento a fattori socioeconomici per argomentare l’unione dell’Irlanda del Nord con la Gran Bretagna. Nel corso degli anni, tuttavia, questo attore politico ha assunto posizioni sempre più liberali, distanti dalle divisioni etniche che dilaniavano la società nordirlandese. Ne consegue che la base elettorale del partito è composta principalmente da elettori moderati della classe media di entrambe le confessioni, ovvero sia cattolici che protestanti.

La recente ondata di sostegno dell’Alliance Party potrebbe così indurre a riscrivere le regole della competizione politica: la posizione di questo partito non allineato, infatti, sta mostrando tutta l’inadeguatezza dell’attuale accordo di condivisione del potere promosso dall’Accordo del Venerdì Santo. Se così, per ipotesi, l’Alliance arrivasse secondo o primo in una futura elezione, le regole attuali stabiliscono che non sarebbe in grado di assumere questi incarichi, poiché questo sistema prevede che solamente i partiti nazionalisti e unionisti possono ricoprire le posizioni di leadership di Primo Ministro e Vice Primo Ministro.

In linea con la sua posizione equidistante, l’Alliance Party ha affermato fermamente che gli interessi dell’Irlanda del Nord sono meglio soddisfatti nel momento in cui si è membro dell’Unione Europea. Ma a differenza dei nazionalisti e repubblicani dello Sinn Féin, questa formazione politica ritiene essenziale che l’intero Regno Unito resta parte del mercato unico e dell’unione doganale. Una posizione che tuttavia non è stata ancora rivista dopo l’attuazione del Protocollo sulla Brexit, ovvero un accordo di recesso che ha realizzato un confine rigido nel Mare di Irlanda, il quale divide economicamente l’Irlanda del Nord dal resto del Regno Unito.

Questa situazione costringe l’Alliance Party a prendere quanto prima una chiara posizione sulla questione costituzionale dell’Irlanda del Nord. Anche se la sua leader Naomi Long dichiara che ci sono problemi più urgenti da risolvere rispetto all’assetto costituzionale, una mancata presa di posizioni in merito non fa altro che legittimare lo status quo dell’Irlanda del Nord che la vede essere una provincia inglese. Dunque, la riunificazione dell’isola rimane senza alcun dubbio la questione più importante che contraddistingue le sei contee nordirlandesi.

Gabriele Caruso

Gabriele Caruso
Laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, mi occupo soprattutto di indagare la politica italiana e di far conoscere le rivendicazioni dei diversi movimenti sociali. Per quanto riguarda la politica estera, affronto prevalentemente le questioni inerenti al Regno Unito.

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