Il 24 febbraio, nelle sale cinematografiche italiane è stato proiettato “Belfast”. Distribuito da Universal Pictures, questo film girato in bianco e nero, in modo da rendere l’ambiente più prosaico ed epico, racconta l’infanzia del regista, sceneggiatore e produttore Kenneth Branagh, nato nel 1960 da una famiglia protestante della classe operaia nordirlandese. Ad accendere i riflettori su “Belfast” ci hanno pensato l’incasso momentaneo di 1.240.000 euro complessivi e le sue 7 candidature agli Oscar.
Il film “Belfast” prende il nome dall’omonima capitale dell’Irlanda del Nord, una delle quattro province che danno vita al Regno Unito. Dopo cinquant’anni, attraverso questo film, il regista prova a rendere pubblico il suo difficile trascorso di vita di quando era bambino. Ambientato infatti nel 1969, la pellicola racconta il periodo drammatico e violento che ha vissuto la famiglia di Branagh e più in generale l’intera società nordirlandese. Il “piccolo” Branagh di nome Buddy, interpretato da Jude Hill, cresce durante gli anni di una sanguinosa guerra civile “a bassa intensità” combattuta tra la comunità cattolica e quella protestante, maggioritaria nella provincia. Questo tragico periodo, durato trent’anni, è passato alla storia come i “Troubles”.
Il film racconta le difficili condizioni in cui all’epoca viveva una famiglia protestante dell’Ulster. Visto l’alto tasso di disoccupazione che a quel tempo caratterizzava l’Irlanda del Nord, il padre di Buddy è costretto infatti a fare il pendolare andando a lavorare in Inghilterra, dove era più facile trovare un impiego e dove la paga era significativamente migliore. La madre di Jude, che appartiene alla classe operaia di Belfast, è forse il personaggio più interessante. Una donna tanto amorevole quanto severa con i suoi figli e molto legata alle tradizioni irlandesi, al quartiere popolare in cui è cresciuta e alla vasta rete di familiari e amici che la circondano.
Il protagonista Buddy, ed il fratello maggiore Will, sono i due ragazzi che si ritrovano attivamente coinvolti delle rivolte di Belfast. Will viene infatti reclutato per portare bottiglie di latte vuote ai paramilitari protestanti, con le quali producevano bombe incendiarie, ad insaputa del ragazzo. Buddy invece entra in una delle organizzazioni paramilitari protestanti, formata da giovani che assaltavano quartieri e negozi appartenenti alla comunità cattolica. Infine, in rilievo ci sono i nonni paterni di Buddy, due persone anziane sempre presenti e disposte a venire in soccorso della propria famiglia.
Per tutto il film Buddy riflette continuamente sulla retorica dello scontro di religione, che per il regista Kenneth Branagh è la chiave di lettura della guerra civile nordirlandese. Ad inizio del film, Buddy prova infatti a riflette sul messaggio che il prete cattolico ha voluto trasmettere durante la messa rispetto alla metafora della biforcazione. Dopo sviluppa sentimenti per Catherine, una compagna di classe di fede cattolica. In questo modo, il bambino incomincia a chiedersi se la sua fede protestante possa essere compatibile con quella diversa professata dalla ragazzina dei suoi sogni. Un dubbio che allargato alla società civile, intende sollecitare una riflessione sulla convivenza tra persone – e quindi comunità – di fede diversa.
Il film “Belfast” prova perciò a mostrare il modo in cui la fede deve essere concepita per promuovere la convivenza tra religioni differenti. Di fatto, il film mette spesso in contrapposizione il padre di Buddy e un giovane paramilitare, entrambe di fede protestante. Il giovane paramilitare concepisce la propria religione come fattore di intolleranza verso la fede cattolica, tanto da indurlo a organizzarsi in gruppo e perseguitare la comunità che la professa. Il padre di Buddy concepisce invece la propria religione come elemento personale, in modo da poter andare di comune accordo con gli abitanti cattolici del quartiere popolare in cui vive.
Uno dei dialoghi più importanti che fa emergere questa posizione del regista è quello che si svolge verso la fine del film, quando Buddy rivolge un dubbio al padre in merito alla ragazzina di fede cattolica: «Papà, pensi che io e quella ragazza abbiamo un futuro?». Il padre risponde: «Beh, perché diamine no?». Buddy: «Lo sai che è cattolica? ». Il padre: «Quella ragazza può essere una praticante indù, o una battista del sud, o un anticristo vegetariano, ma se è gentile ed è giusta, e voi due vi rispettate, lei e la sua gente sono i benvenuti a casa nostra ogni giorno della settimana».
Si evince così dal messaggio voluto trasmettere dal film “Belfast”, che solamente un’interpretazione privata della religione avrebbe consentito di pacificare la società nordirlandese. Il regista Kenneth Branagh prova infatti a spiegare che la religione non deve essere vista come dottrina pubblica, ma al contrario come semplice culto personale, relegato al proprio foro interiore. Branagh non nega quindi la propria religione, ma la confina alla sfera privata per non permettere a concezioni sacre di avere una qualche ingerenza nei rapporti personali e di pubblico dominio.
In questo modo, Kenneth Branagh non fa altro che provare a posizionarsi dalla parte giusta della storia nordirlandese, ovvero tenta di smarcarsi dalle sue origini protestanti e a scrollarsi così di dosso le colpe del conflitto, ma non gli riesce per il motivo che ora vedremo. In Irlanda del Nord, la religione era l’elemento principale su cui venivano formulate le diseguaglianze all’interno della società. Essere protestanti voleva dire infatti avere dei privilegi nei confronti dei cattolici, tanto in ambito sociale quanto in quello economico. Non si può ridurre perciò la differenza di credo a culto prettamente individuale, perché l’identità religiosa era motivo di penalizzazione materiale, che a seconda dei casi favoriva o penalizzava le persone nella vita quotidiana.
Nel difendere e legittimare questo sistema di potere, la comunità protestante è stata responsabile della discriminazione ai danni dei cattolici. Seppur in modo inconsapevole, le persone di fede protestante non potevano in effetti evitare di godere di queste condizioni materiali che favorivano e agevolavano il loro modo di vivere. Per questo motivo, la comunità cattolica mise apertamente in discussione le forme di conoscenza e l’ordine sociale che davano vita al sistema discriminatorio. Il conflitto nordirlandese non è perciò scaturito da un modo sbagliato di alcune persone di intendere e praticare la propria fede religiosa, ma si è trattato della contestazione dell’organizzazione e del funzionamento della società a maggioranza protestante.
Dunque, il film “Belfast” si vede con piacere grazie ai bravissimi attori che interpretano i personaggi, ma il suo messaggio è alquanto discutibile. Se poi si considera che le forze dell’ordine nordirlandesi vengono mostrate come coloro capaci di trascendere la loro religione in nome del loro ruolo di forza pubblica, si evince che la narrazione della guerra civile nordirlandese è stata fatta da un regista di fede protestante che non ha mai subito discriminazione.
Gabriele Caruso