"To see a lonely heart", Giulio Larovere. Fonte: Ufficio Stampa Marta Scaccabarozzi
"To see a lonely heart", Giulio Larovere. Fonte: Ufficio Stampa Marta Scaccabarozzi

“To see a lonely heart” è il nuovo singolo del cantautore e attore milanese Giulio Larovere, in uscita già da dicembre in digital download e su tutte le piattaforme streaming. Tale inedito appartiene ad un concept album molto caratteristico, “Road sweet home”, basato sul libro autobiografico dello statunitense John Knewock, che a soli 20 anni ha iniziato un viaggio “on the road” negli States documentando tutto ciò che ha vissuto, giorno dopo giorno. Si tratta di circa trent’anni di vita hippie, avventure ed emozioni. Il brano è stato preprodotto da Giuliano Dottori (Jacuzi Studio Milano) che ha dato un notevole contributo nel tradurre al meglio le parole in musica e coprodotto, registrato, mixato e masterizzato da Larsen Premoli (RecLab Studios Milano), che ha ricreato la tipica atmosfera anni ’60. Lo stile new folk e vintage trasportano l’ascoltatore indietro nel tempo e gli permettono di rivivere sensazioni, paure e desideri del protagonista. In particolare, si riflette sul desiderio di libertà che si scontra con il desiderio di dare e ricevere amore.

 “Tre anni fa mi è stata raccontata una storia che mi ha colpito profondamente, forse perché aveva tutte le caratteristiche per essere la storia di ognuno di noi – commenta Giulio a proposito del progetto “Road sweet home” – quella di John Knewock, narrata in un diario fatto di poesie, racconti e anche canzoni. La differenza è che in questa storia un uomo ha avuto il coraggio di perseguire l’amore per la vita e celebrarla a tal punto da portarlo a fare delle scelte radicali, a rifiutare la religione e le sue incomprensibili ambiguità, ripudiare la guerra e le sue atrocità e dissociarsi dal concetto di “moralità” falsa e puritana.” Così nasce “To see a lonely heart”.

Giulio Larovere, To see a lonely heart. Fonte immagine: Ufficio Stampa Marta Scaccabarozzi official.

Abbiamo approfondito insieme a Giulio questa incredibile storia: “To see a lonely heart”. Ecco cosa ci rilascia ai nostri microfoni;

Ciao Giulio, ti diamo un caloroso benvenuto. Il tuo brano “To see a lonely heart” ci ha subito colpito ed emozionato. Ci racconteresti più nel dettaglio com’è che sei venuto a conoscenza di questa storia vera? E soprattutto, quali sono state le tue prime impressioni e quando hai realizzato che questa storia meritava di essere raccontata e diffusa in questo modo.

«Faccio improvvisazione teatrale da una decina d’anni durante i quali ho incontrato tante persone meravigliose. Una tra queste è Paola, una delle allieve del Teatro del Vigentino con la quale è nata una profonda amicizia e connessione che è diventata sempre più forte col passare del tempo. Circa tre anni fa, Paola mi ha parlato dell’esistenza di questo libro-diario di viaggio contenente racconti, poesie e CANZONI e mi ha raccontato la storia del suo amico John, che mi ha colpito profondamente. Di John mi ha colpito il coraggio di perseguire l’amore per la vita e celebrarla a tal punto da portarlo a fare delle scelte radicali. I suoi racconti, le sue poesie, le sue canzoni ne sono una testimonianza concreta. Negli anni successivi ho avuto la fortuna di ascoltare anche i racconti delle altre persone che hanno conosciuto John e ho sentito che quell’energia non poteva rimanere chiusa nel suo “diario di viaggio” ma doveva continuare la sua strada.

Pensi che sia proprio il tratto di veridicità dell’opera a rendere “To see a lonely heart” tanto emozionante?

«Penso di sì. Lo penso di tutte le canzoni dell’album.
Sapere che dietro ogni canzone c’è un pezzo della vita reale di un uomo e che c’è un pezzo del suo viaggio e delle sue esperienze gli conferisce, a mio avviso, una valenza maggiore. La canzone probabilmente mi piacerebbe comunque ma, il fatto che sia una “parte del tutto” me la fa gustare in maniera diversa.


Le registrazioni di ogni singolo strumento sono state effettuate con amplificatori a valvole, strumentazione analogica, organo hammond, piano Rhodes originale anni ’70 etc., è stato difficile per voi riprodurre tutto ciò come se avessimo fatto per davvero un salto nel tempo?

«L’idea è stata fin da subito quella di ricreare le sonorità di quegli anni in cui John ha vissuto e scritto i suoi diari di viaggio.
Senza l’aiuto di Larsen Premoli e del suo staff in RecLab Studios non sarebbe stato possibile, per un indipendente, permettersi una produzione del genere. Larsen ha messo a completa disposizione tutta la strumentazione presente nel suo studio… tutta roba originale anni ’60-’70 che è stata microfonata con cura e dedizione e che sarebbe stato molto difficile, oltre che esageratemente costoso, reperire e noleggiare. Inoltre, a nostro avviso, le parole scritte nel diario (che sembravano scritte apposta per essere musicate) e gli anni e i luoghi nei quali sono stati scritti, potevano dare il loro meglio solo ricreando quel tipo di atmosfera.


Quali sono state le difficoltà riscontrate in produzione o post-produzione di “To see a lonely heart”?

«Mi sento di poter affermare che l’unica difficoltà è stata, da parte di Larsen, quella di dover tener conto di tutte le annotazioni che ogni musicista (sei in tutto, me compreso) aveva da segnalare relativamente alle proprie tracce registrate. Fortunatamente è una persona dotata di grande pazienza – ride. Sono sicuro che fosse però contento del fatto che, durante ogni fase della produzione, del mixing e del mastering, io fossi lì seduto accanto a lui, dal primo giorno all’ultimo, ad ascoltare e, in ultima analisi, a proporre le mie idee. Ci siamo confrontati molto, specialmente nelle fasi finali e devo dire che è stato davvero disponibile ed ha accolto le mie opinioni mettendosi davvero “al servizio” di questo progetto che, fin dall’inizio, ha trattato con cura e dedizione credendoci fino in fondo.»

Sappiamo che nella tua vita ci sono sempre state due grandi passioni: la musica e il teatro. In che misura l’una prevale l’altra?

«Più precisamente un’improvvisatore teatrale, che dopo 8 anni di gavetta, ora ho anche la fortuna di insegnare agli allievi del Teatro del Vigentino, dove mi sono formato grazie alla mia maestra Isabella Cremonesi.
La musica e il teatro, per quanto mi riguarda sono complementari. Non potrei fare a meno di nessuna delle due. La musica è sempre stata la mia più grande passione ma non mi sento di dire che prevalga sul teatro. Sono due mondi diversi che amo profondamente. L’improvvisazione teatrale mi ha insegnato ad essere più a mio agio su un palco, davanti ad una telecamera (utilissimo per le puntate della “docu-serie”), a non aver timore a parlare in pubblico e a cercare di coinvolgere gli spettatori.

L’improvvisazione ti insegna a dire dei “SI” e dei “SI, E…” insomma ad accogliere le proposte, ad accettare gli altri e a proporre a tua volta nuove idee per far proseguire la storia. Se ci si riflette, la vita stessa è “improvvisazione”. Affrontiamo giorno per giorno quello che ci si para davanti. Vi Immaginate se incontrassimo solo dei “NO” e delle porte chiuse? Andare avanti diventerebbe davvero complicato. Grazie all’improvvisazione teatrale ho detto “SI” alla mia nuova vita quindi mi sento di affermare che mi ha risvegliato e mi ha dato la spinta che mi mancava per mollare tutto e seguire le mie passioni.»

Quando hai iniziato ad avvicinarti al mondo della musica?

«La mia fortuna è che i miei genitori mi hanno fatto provare tante cose fin da piccolo. Penso che a loro bastasse vedere uno scintillìo nei miei occhi e facevano il tentativo.
Una domenica pomeriggio hanno notato il mio rapimento mentre ascoltavo un loro amico che suonava. Dopo poco è comparsa in casa nostra una chitarra e da quel giorno non ho mai smesso. Avevo meno di 10 anni.

Aggiungo anche che nelle rispettive famiglie dei miei la musica è sempre stata molto presente con varie correnti di pensiero: qualcuno ascoltava Guccini e Bennato, qualcuno i Deep Purple e i Led Zeppelin, mio padre Pink Floyd, Beatles, De Gregori Battiato e mia madre Battisti, Dalla, Elton John e twist e rock ‘n roll (che mi ha insegnato anche a ballare). Ultima cosa, non in ordine di importanza, mio zio Nazareno Larovere è stato il chitarrista dei Profeti. Tutto questo per dire che alla musica non mi ci sono avvicinato, ne ero già immerso alla nascita!»

Quali sono i cantanti che nel corso degli anni ti hanno ispirato musicalmente?

«All’epoca del “Grunge” avevo 16 anni e ne ho fatto una gran scorpacciata, insieme ai diametralmente opposti Vasco, Negrita e Ligabue. I Pearl Jam sono una delle mie band preferite e Eddie Vedder, con la colonna sonora di “Into the wild” mi ha davvero colpito (tra l’altro, penso che la storia di John abbia molte similitudini con quel film).
Oltre agli artisti che ho citato nella risposta precedente, mi piacciono molto Ben Harper, Counting Crows, The Black Crowes, Bruce Springsteen, Ray La Montagne, Kelly Joe Phelps, Chris Stapleton, James Taylor, Ed Sheeran, Mr. Big, The Winery Dogs, AC/DC, Jet, Spin Doctors, Killers, Queen, Muse, Foo Fighters, Donavon Frankenreiter, Michael Kiwanuka, The War on Drugs, Brunori, Fabi/Silvestri/Gazzé e anche tanto pop internazionale Bruno Mars, Justin Timberlake, James Morrison, Robbie Williams, Coldplay… e tantissimi altri!
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L’anno 2020-21 è sicuramente un anno particolare, ricco di buoni propositi sulla scia del 2019 e dell’esperienza della pandemia. Quali sono i tuoi piani attualmente?

«La pandemia ha ridimensionato la mia vita e mi ha fatto riscoprire molte preziosissime cose semplici. Penso alla frase “se non ti uccide, ti fortifica”. A novembre ha preso anche me, con sintomi lievi e sono stato fortunato rispetto ai tanti che hanno avuto situazioni ben peggiori o che, addirittura, non ce l’hanno fatta. Di certo mi ha insegnato a trovare nuove strade, re-inventarmi, imparare nuove tecnologie e non smettere mai di aggiornarmi, di studiare e di essere curioso!
Mi ha anche ricordato che, come dicono i saggi, “è inutile costruire una casa su un ponte” quindi ho tanti progetti e idee ma, visto quello che abbiamo passato, mi concentro sul “breve termine” e porto a casa gli obiettivi un passo alla volta. I prossimi passi sono quelli di completare la pubblicazione di tutte le puntate della docu-serie “ROAD SWEET HOME” che escono ogni giovedì sul mio profilo Instagram e sulla mia pagina Facebook e di spedire, appena possibile, le ricompense del crowdfunding a tutti coloro che hanno contribuito a questo mio progetto e che ringrazio dal profondo del cuore.
Il 28 Gennaio uscirà il secondo singolo con relativo videoclip e, a febbraio, una volta concluse tutte queste fasi, uscirà il disco completo. Con la speranza di ritornare presto a lavorare a pieno regime e ripartire con un altro disco, questa volta in italiano.
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Sabrina Mautone

Sabrina Mautone
Sabrina Mautone nasce a Napoli il 18/05/96 e vive a Milano. Giornalista pubblicista laureata in Lingue Moderne presso la Federico II e specializzata in Comunicazione e Cooperazione Internazionale per Istituzioni ed Imprese presso l'Università Statale di Milano. Con un master post-lauream in Giornalismo Radio-Televisivo a Roma, lavora da freelancer e segue eventi in Italia e all'estero.

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