I Centers for Disease Control and Prevention (Cdc) hanno confermato il legame fra il virus Zika e le anomalie cerebrali, legame che era stato ipotizzato,qualche mese fa, in seguito ai numerosi casi di microcefalia nei neonati, osservati in Brasile.
Numerosi sono stati gli studi condotti per verificare la plausibilità della supposizione, ma prima d’ora gli esperti non si erano sbilanciati, definendo il rapporto causa-effetto “possibile”, ma mai certo.
Oggi, le prove a sostegno dell’ipotesi sono molteplici ed hanno sancito l’evidenza della responsabilità del virus.
Prima fra queste la questione temporale: è stato infatti dimostrato che le gestanti avevano contratto il virus durante i periodi di sviluppo prenatale, nel primo trimestre di gravidanza.
Inoltre, è stato identificato il genoma dell’agente infettivo nel liquido amniotico e nel tessuto cerebrale dei feti e dei neonati affetti da microcefalia.

Trasmissione del virus e patogenesi

Il virus Zika è un virus a RNA a singolo filamento, della famiglia Flaviviridae, isolato per la prima volta in Uganda, nel 1947, da un primate della foresta Zika.
Se l’infezione non ha un decorso asintomatico, essa è caratterizzata da febbre modesta ed eruzione maculopapulare. Sono frequenti anche sintomi come cefalea, dolori muscolari e congiuntivite.
Il virus si contrae prevalentemente tramite punture di artropodi, zanzare del genere Aedes, ma è possibile anche il contagio diretto attraverso saliva e latte materno, per via perinatale (da madre in figlio al momento del parto) e per via sessuale.
E’ inoltre possibile il contagio materno-fetale.
Nel febbraio 2016, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha dichiarato l’epidemia da Zika una Public Health Emergency of International Concern (PHEIC) cioè “un’urgenza di sanità pubblica di portata internazionale”

Una ricerca, pubblicata recentemente su Science, ha rivelato che il virus Zika attacca in modo preferenziale le cellule staminali nervose dei feti, con conseguenti lesioni di considerevole entità.
I danni neurologici riscontrati in 23 bambini brasiliani, nati fra luglio e dicembre 2015 nello stato di Pernambuco, epicentro dell’epidemia, sono molto più gravi di quelli osservati in altre forme di microcefalia.
Lo studio ha evidenziato: la presenza di numerosi depositi di calcio nella corteccia cerebrale, formatisi in seguito alla morte dei neuroni, un volume del cervello notevolmente ridotto, nonché anomalie del cervelletto e del tronco encefalico e danni ai nervi tali da compromettere la trasmissione degli impulsi.
Queste disfunzioni potrebbero essere, secondo i medici, incompatibili con la sopravvivenza.

Elisabetta Rosa

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