L'altra casa di Simona Vinci: una storia gotica, tra piacere e repulsione
Paul Cézanne, Alberi e case. Fonte: https://www.deartibus.it/drupal/content/alberi-e-case-0

«Il gusto per la paura precede quello per l’amore»; quello per la promiscuità precede quello per l’identificazione; il gusto per lo spaesamento precede quello per il proprio cammino. È così nel romanzo L’altra casa, edito Einaudi nella collana Stile Libero Big, lo scorso 9 novembre. L’autrice, Simona Vinci (Milano, 1970), è stata insignita del Premio Super Campiello nel 2016 con La prima verità, e pubblica con Einaudi dal 1997.

L’altra casa non è un luogo fittizio: si tratta di villa Giacomelli e si trova a Budrio, in provincia di Bologna. Lo stesso vale per alcuni dei personaggi: il mezzosoprano Giuseppina Pasqua, che ha abitato la villa all’inizio del secolo scorso assieme al marito baritono Astorre Giacomelli; la nipote Carmelita Nissim e sua figlia Rina; il matematico, filosofo ed esoterista Arturo Reghini e la fisica Camilla Partengo, che invece abitarono villa Giacomelli durante la Seconda Guerra Mondiale, così come il custode Primo Faustini-Fustini, che si è occupato del giardino per molti decenni. Come il titolo lascia presagire, quello di Simona Vinci è un romanzo gotico, che ruota intorno alla stranezza vivente della villa settecentesca in cui è ambientato.

È il 2019, il soprano trentanovenne Maura Veronesi è reduce da un intervento alla tiroide, che ha imposto un rallentamento alla sua carriera da cantante. Il suo agente Fred, con il quale ha una relazione, l’ha coinvolta in un evento culturale a villa Giacomelli, programmato per il mese di settembre. L’evento è dedicato al repertorio di Giuseppina Pasqua legato a Giuseppe Verdi, con cui la cantante intrattenne rapporti di stima e amicizia, oltre che professionali. È prevista la collaborazione di un importante quartetto d’archi e Maura dovrà interpretare alcune arie, accompagnata dalla pianista russa Ursula Hirtsch, moglie di Marco, imprenditore e conoscente di Fred. È per questo che, nel mese di maggio, Maura e Ursula si trasferiscono nella villa: compito di Maura sarà quello di raccogliere informazioni biografiche su Giuseppina Pasqua, mentre intraprenderà un percorso di riabilitazione vocale con una logopedista; Ursula, invece, dovrà occuparsi di gestire la vita domestica. Insieme, le due donne cominceranno le prove per la rassegna di pochi mesi dopo. A parte il custode, che abita in una delle costruzioni adiacenti alla villa, Maura e Ursula ne sono le uniche inquiline: la proprietaria è un medico di più di ottant’anni che non l’ha mai abitata stabilmente. La solitaria permanenza di Ursula e Maura a villa Giacomelli è segnata da un crescendo di eventi inspiegabili e grotteschi, che le lasciano in completa balia dell’agentività della casa.

L'altra casa
 Simona Vinci
Simona Vinci. Fonte: https://www.bresciatoday.it/eventi/cultura/un-libro-per-piacere-2018-castel-mella.html

L’altra casa è inquietante perché, come ogni casa, è un luogo liminale, ma le sue mura sono cedevoli e porose. Baluardi contro l’esterno, le case disegnano i confini, dispiegano gli spazi: è attorno alla loro delicata intimità che “il fuori” si costituisce. Le case segnano perimetri protetti, ed è solo a certe condizioni che si lasciano attraversare; sono, prima di tutto, luoghi di permanenze: sopravvivono ai loro inquilini, di cui è difficile rimuovere tutte le tracce. Quelle infestate sono case che hanno perso quel che le rende tali: sono involucri facili da profanare, sempre esposti al pericolo dell’intrusione; il fantasma, con la sua abilità di attraversare le pareti, è per la casa la minaccia per eccellenza, l’incubo che vi è immediatamente relato. Haunt in inglese sta ad indicare l’ambiente domestico, così come quel che lo infesta. Quello della casa infestata è un topos ricorrente del gotico, specialmente di quello vittoriano: «la seconda metà del diciannovesimo secolo è infatti quella in cui vengono poste le basi per la moderna psicanalisi. La connessione tra questi due mondi (casa infestata e psiche) è stata esplicitata dal più celebre degli scrittori gotici di metà Ottocento, Edgar Allan Poe, quando a proposito di Roderick Usher (dal racconto Il crollo della casa degli Usher) parla di “una mente infestata dai fantasmi – un cervello turbato”. La fascinazione vittoriana per il lato oscuro della mente, probabilmente legata al ritorno del rimosso in una società in cui la repressione sessuale aveva raggiunto picchi senza precedenti, sembra andare di pari passo con la diffusione pandemica dei fantasmi nella letteratura tardo-ottocentesca»1.

La villa Giacomelli del romanzo L’altra casa è una casa infestata e, come tale, “l’esterno” la anima e attraversa, lungi dal restarne confinato fuori. Come nel palazzo de La maschera della morte rossa di Edgar Allan Poe, le camere della villa prendono il nome dai loro colori e a nulla servono contro gli ospiti indesiderati. L’edificio poggia su una falda acquifera: affonda lentamente nelle viscere argillose del giardino, tanto da necessitare regolari iniezioni di resine sintetiche; sul lato strada, invece, dei tagli nel muro perimetrale l’hanno reso “zoppo”. Le pareti della casa sembrano esser fatte di “materia biologica viva”: mura viscide e semoventi, nelle quali non è difficile affondare. «L’anima di questa casa è vegetale, sai?», chiede l’architetto Mia Misgur, e da allora Maura non riesce a non immaginarne la vita pulsante delle intercapedini, i fluidi organici dei pavimenti, il cuore che batte, in un punto imprecisato delle fondamenta. La villa è un pullulare di insetti che le zanzariere non riescono ad arginare: cimici, falene, zanzare brulicano liberamente assieme agli spettri, che spariscono nelle pareti raschiandole dal di dentro. La casa è simile ad un fluido animato, che ostacola e asseconda i personaggi che la abitano: niente è mai come dovrebbe essere, e lo spazio che separa le umane aspettative dai fatti si riempie di orrore.

Ne L’altra casa c’è sempre «qualcosa dove non dovrebbe esserci niente» o «niente dove dovrebbe esserci qualcosa»2: gli escrementi, le sedie vuote; “fallimenti di assenza” e “fallimenti di presenza” attorno ai quali si radunano domande senza risposta, agenti senza corpo. È l’eerie una delle componenti essenziali del romanzo, la sensazione pervasiva di una presenza invisibile, un’agentività non umana. La villa, sin dalle prime pagine, è un corpo vivente con delle intenzioni, che a tratti si rivelano essere anonime – e per questo inquietanti oltre ogni misura – a tratti si ricongiungono ai loro proprietari, attraversando il tempo e lo spazio. «Nel momento stesso in cui ho messo piede per la prima volta in quell’edificio ho capito che qualcosa mi sarebbe per sempre sfuggito: non si trattava soltanto di calcoli, misurazioni, approfondimenti sui materiali, c’era un altro elemento che dovevo prendere in considerazione. Il tempo, certo. Ma qui c’erano le intenzioni. […] Le intenzioni di quelli che c’erano prima dell’idea della casa, e le intenzioni di quelli che sono venuti dopo»3. “Quelli che c’erano prima” sono distanti e vicini allo stesso tempo: l’inquietudine è anche, e soprattutto, una questione di prossimità non richieste, avvicinamenti scomodi e indesiderati. Il weird è frutto di giustapposizioni “scorrette” e aspettative tradite4; uno strappo all’ordine abituale delle cose, come uno squarcio su un muro, una camera fuori posto, piccioni decapitati in una ciotola da cucina. Il primo incontro di Maura con Mia – segnato dall’improvvisa aderenza dei loro corpi, dall’odore di sebo misto a sapone, dal rifiuto –, sembra anticipare il rapporto che la cantante stabilirà con la casa: gioco di repulsione e attrazione, di timore e piacere. «Si era abituata al battito e alla calda, umida cedevolezza. Non provava più paura né disgusto, solo un piacevole calore che le si allargava nei muscoli, lungo i nervi e le ossa, fino a raggiungere gli organi interni»5. Prima il gusto per la paura, poi quello per l’amore.

Con sottile e crescente piacere Maura si abbandona alla casa. Il significato di “weird” affonda le sue radici in quello di “fato”, “destino”: un potere che sfugge ai reindirizzamenti, magico nella sua imperscrutabilità. È quasi in modo destinale che Maura e Ursula sono “agite” dalla casa, rinunciando all’ultima parola sul corso delle loro vite, ciascuna in modo diverso: la cantante non ha mai davvero vissuto con autonomia; la pianista lo ha fatto fino allo stremo. Sono entrambe “menti infestate dai fantasmi” e la permanenza nella casa le mette di fronte a tutti i non detti delle rispettive vite.
Nel mescolarsi dei piani temporali, i personaggi sembrano abitare la villa in eterno o, al contempo, essere sempre stati lì. Non è un caso che talvolta il romanzo di Simona Vinci sembri strizzare l’occhio all’Overlook Hotel di Shining, dove il tempo lineare è sostituito da quello di un’eterna ripetizione della violenza: il custode della villa «era sempre stato lui […] in tutti i tempi»6. Villa Giacomelli è l’altra casa nella sua estraneità: chi vi entra può ritrovarsi o non uscirne mai più.

Siria Moschella


1 Gianluca Didino, Essere senza casa, minimum fax 2020, p. 116.
2 Mark Fisher, The Weird and the Eerie. Lo strano e l’inquietante nel mondo contemporaneo, minimum fax 2018, p. 72.
3 Simona Vinci, L’altra casa, Einaudi 2021, p. 344.
4 Mark Fisher, The Weird and the Eerie. Lo strano e l’inquietante nel mondo contemporaneo, minimum fax 2018.
5 Simona Vinci, L’altra casa, Einaudi 2021, p. 199.
6 Ivi, p. 216.

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