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Ecco le nostre #EvidenzeStrutturali verso la Giornata contro la Violenza sulle Donne. Malattie invalidanti, dolorose e spesso estremamente costose da curare, come la vulvodinia, la neuropatia del pudendo o la fibromialgia, colpiscono prevalentemente donne e persone biologicamente assegnate al sesso femminile alla nascita senza che vengano riconosciute dallo Stato e dal Servizio Sanitario Nazionale. Anche le tutele per le persone che soffrono di endometriosi sono parziali e i tempi per arrivare ad una diagnosi sono lunghissimi.

Scendendo in piazza in varie città italiane, il movimento Non Una di Meno chiede a gran voce di rendere visibili queste malattie croniche e maggiori tutele per chi soffre di endometriosi, puntando il dito contro la “medicina patriarcale”. I ritardi nella diagnosi, la normalizzazione dei dolori femminili e la poca formazione del personale medico sono dovuti principalmente a fattori culturali e sociali. Non a caso, i costi per le visite specialistiche, i farmaci e le ore perse di lavoro sono tutte a carico delle donne.

Il dolore delle donne: sottovalutato e negato

Le storie delle donne a cui è stata diagnosticata una di queste malattie invisibili delineano percorsi fin troppo simili: anni di visite specialistiche, dolori che diventano insostenibili, sintomi sottovalutati dal personale medico, anche quando si tratta di patologie molto invalidanti.

“È solo la tua testa, devi rilassarti”

“Vedrai che quando avrai una gravidanza non avrai più dolore”

 “Sono normali dolori del ciclo di una donna”.

Quante volte una donna si è sentita ripetere queste frasi quando si è rivolta a medici e specialisti a causa di problemi ginecologici? Nonostante la negazione del dolore altrui dovuta a retaggi patriarcali, i dolori cronici femminili sono spesso dovuti a malattie serie come l’endometriosi, la vulvodinia o altre patologie difficili da diagnosticare. Solo dopo anni si arriva ad una diagnosi chiara e i costi per le donne sono altissimi, soprattutto quando i sintomi della malattia rendono difficoltosa la frequenza a scuola o a lavoro, interferendo pesantemente sul normale svolgimento delle attività quotidiane.

La vulvodinia, la neuropatia del pudendo e la fibromialgia non sono riconosciute dal Servizio Sanitario Nazionale. Non sono dunque previste esenzioni, tutele lavorative, invalidità o sostegni economici per chi ne soffre. L’endometriosi è invece parzialmente riconosciuta: l’esenzione e i giorni di malattia possono essere richiesti da coloro che hanno una diagnosi di endometriosi al terzo o quarto grado. I trattamenti spesso costosi non sono dunque accessibili a tutte le persone con diagnosi di endometriosi.

Perché queste malattie prevalentemente femminili sono invisibili? I movimenti femministi parlano a tal proposito di “medicina patriarcale”, proprio a rimarcare l’inevitabile influenza culturale e sociale sulla medicina, non del tutto scevra delle credenze religiose e dai tabù culturali, secondo le quali la donna deve sostenere nel corso della sua vita i dolori legati alla propria femminilità. Un dolore purificatore come quello del parto (“partorirai con dolore”) viene esteso a dolori cronici di vario tipo, specialmente se legati alla sfera sessuale o al ciclo mestruale.

Le malattie che colpiscono l’apparato riproduttivo femminile sono sempre poco studiate, mentre i trial clinici volti a studiare l’efficacia di farmaci e terapie elevano a misura universale i corpi maschili bianchi. La Food & Drug Administration nel 1977 escluse da tutti i trial clinici di fase 1 e 2 le donne in età fertile per tutelare la sua capacità produttiva, come scrive Antonella Viola su La Stampa, evidenziando gli effetti nefasti in termini di sicurezza ed efficacia dei farmaci sulla popolazione femminile. Il controllo sul corpo femminile continua: un involucro di cui tutelarne la funzionalità solo per scopi meramente riproduttivi.

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Vulvodinia, endometriosi, fibromialgia e neuropatia del pudendo

La vulvodinia viene diagnosticata in media dopo 4,5 anni e colpisce circa 1 donna su 7 nel corso della vita. Questi dati sono ovviamente sottostimati, in quanto non esiste una raccolta dati a livello regionale o nazionale. I sintomi includono un bruciore vulvare costante (sensazione di spilli, tagli, scariche elettriche e abrasioni), dolore durante i rapporti sessuali, cistiti e vaginiti ricorrenti, ma non è stata ancora individuata una causa.

La neuropatia del nervo pudendo è un’alterazione della funzionalità delle terminazioni nervose che trasmettono il segnale di dolore a seguito di uno stimolo innocuo o in assenza di tale stimolo. Questa patologia può arrivare a colpire diverse parti della regione pelvica.

La sindrome fibromialgica ha cause oggi non conosciute, ma si tratta di una malattia cronica e una forma di reumatismo che causa dolore muscoloscheletrico, insieme a rigidità muscolare, cefalea tensiva, astenia, disturbi cognitivi e dell’umore. Nel nostro Paese si stima che 1,5-2 milioni di persone soffrono di fibromialgia e il 2,7% della popolazione mondiale, con un rapporto maschi-femmine di 1:3. Non esistono terapie capaci di portare alla guarigione, ma solo cure palliative molto costose per limitare i sintomi e piani terapeutici multidisciplinari.

L’endometriosi ha un’incidenza di una persona su 10 assegnate femmine alla nascita (3 milioni di persone solo in Italia) e viene diagnosticata dopo 7 anni e mezzo di media dall’apparizione dei sintomi. Si tratta di una malattia infiammatoria cronica progressiva e potenzialmente invalidante. I sintomi dolorosi sono dovuti alla presenza di tessuto simil-endometriale localizzato nella cavità pelvica e addominale (o raramente anche in altre sedi più distanti). Esistono trattamenti come terapie ormonali, interventi chirurgici e supporto psicologico che possono aiutare a gestire i sintomi (mestruazioni dolore e abbondanti, dolore alla defecazione e/o alla minzione, dolore durante e dopo i rapporti sessuali penetrativi, dolore pelvico generalizzato e persistente, disturbi gastro-intestinali, stanchezza cronica e infertilità).

Queste patologie sono caratterizzate da un comun denominatore: il ritardo diagnostico, soprattutto se il paziente appartiene alla comunità LGBTQI+ o possiede un background etnico o culturale minoritario. Riconoscere la vulvodinia – così come le altre malattie croniche- e colmare la mancanza di formazione da parte del personale medico consentirebbe di eliminare progressivamente le discriminazioni di genere in ambito sanitario, il gaslighting medico (quando gli operatori medico-sanitari attribuiscono la malattia o i sintomi del paziente a fattori psicologici) e la normalizzazione del dolore femminile. 

Rebecca Graziosi

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