Il caso dei marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due Fucilieri della Marina Italiana arrestati in India con l’accusa di aver ucciso due pescatori scambiati per pirati nel corso di un servizio antipirateria su una petroliera italiana, la Enrica Lexie, è ancora lontano dalla sua conclusione, sebbene diversi passi avanti siano stati fatti, per lo meno da un punto di vista strettamente processuale.
Infatti la Suprema Corte indiana (paragonabile alle nostra Cassazione), competente a decidere anche sulle questioni pregiudiziali attinenti alla competenza giuridica, ha osservato che il locus commissi delicti, ossia la zona geografica esatta dove il reato si è consumato, sarebbe da individuare intorno alle venti o trenta miglia dalla costa dello stato del Kerala.
In questo senso, è stata data ragione ai legali degli italiani, i quali hanno sempre sostenuto che l’incidente non fosse avvenuto in acque territoriali indiane, bensì in alto mare (o mare internazionale), laddove le autorità del Kerala non sarebbero potute intervenire, per carenza di potere.
Tuttavia, e nonostante il favore con cui la decisione è stata accolta in Italia, l’uso del condizionale è ancora d’obbligo, poiché le istituzioni indiane hanno costituito a New Delhi un Tribunale Speciale, deputato ad accertare una volta per tutte il luogo dove il reato è stato commesso e, successivamente, qualora venisse riconosciuta la giurisdizione indiana, entrare nel merito del processo.
Definizione delle acque secondo il diritto internazionale
Ma perché tanto puntiglio nel calcolare le miglia marine? Cosa cambia, per il diritto internazionale, se un delitto viene commesso a venti invece che a trenta miglia dalla costa di un Stato?
Per rispondere a queste domande, bisogna fare chiarezza sui concetti di mare territoriale, alto mare o mare internazionale e, soprattutto, zona contigua.
Il mare territoriale, ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione della Nazioni Unite sul Diritto del Mare (firmata a Montego Bay, Giamaica, 10 dicembre 1982), si estende sino alle 12 miglia marittime ed è sottoposto alla piena sovranità dello stato costiero.
L’alto mare (o mare internazionale), inteso come «spazio marino sottratto al controllo, totale o parziale, di un singolo stato» (art. 86 della Convenzione) è individuato in quelle zone marine non incluse nel mare territoriale, nelle acque interne di uno Stato o in quelle arcipelagiche di uno Stato-arcipelago o in quelle aree non incluse nella cosiddetta zona economica esclusiva, ossia quell’area, estendibile sino a 200 miglia marine, entro cui «lo Stato costiero può esercitare il controllo esclusivo su tutte le risorse economiche della zona, […]» (art. 56).
Con zona contigua al mare territoriale si intende, invece, quella «zona, compresa fra le 12 e le 24 miglia marittime, entro cui lo Stato costiero può esercitare la propria sovranità al fine di prevenire la violazione delle proprie leggi in materia di polizia doganale, fiscale, sanitaria o di immigrazione, nonché di reprimere le violazioni alle medesime leggi o regolamenti, qualora siano state commesse nel suo territorio o nel suo mare territoriale» (art. 33).
La legge penale indiana si può applicare nel caso dei due marò?
Ai fini dell’individuazione della legge applicabile, basterà dunque accertare che le due imbarcazioni, al momento del fatto, si trovassero o meno nella zona contigua al mare territoriale indiano? La risposta, anche in questo caso, è tutt’altro che agevole.
Posto che il locus commissi delicti venga individuato nella zona contigua all’area di sovranità dello Stato indiano, l’articolo sopra citato non si riferisce, quando enuncia i poteri dello Stato sovrano, anche alla prevenzione della violazione delle leggi penali. Da ciò consegue che, in materia, il regime applicabile sia quello del mare internazionale, ovvero siano le norme contenute all’interno della Convenzione (che rimandano al diritto italiano) e non quindi, come si era paventato all’inizio della vicenda, il diritto penale indiano.
Non è finita. C’è una norma di diritto internazionale consuetudinario, infatti, che accorda l’immunità penale a qualsiasi organo dello Stato la cui condotta possa considerarsi a tutti gli effetti come un atto di tale Stato.
In altre parole, anche qualora due Fucilieri della Marina Italiana avessero commesso un atto qualificato come reato, godrebbero della cosiddetta immunità funzionale se l’atto stesso sia stato eseguito nell’ambito di funzioni riconducibili alla volontà dal governo centrale.
Tale consuetudine può trovare giusta applicazione in questo caso, anche e soprattutto alla luce dell’adozione, in campo internazionale, di speciali misure volte a contrastare il fenomeno della pirateria (art. 100 della Convenzione di Montego Bay), nell’ambito delle quali i due militari agivano in rappresentanza del Governo Italiano: in quel caso, la giurisdizione competente a giudicare i due fucilieri sarebbe quella italiana.
Al momento non si può dire cosa deciderà il Tribunale di New Delhi, certo è che la vicenda ha coinvolto emotivamente sia l’opinione pubblica che – meno emotivamente – quella politica (la scorsa settimana l’ex ministro Ignazio La Russa ha dichiarato di aver pensato di candidare in Parlamento i due Marò).
Comunque vada a finire, ed augurando comunque il meglio ai due ragazzi tuttora agli arresti, rimane il fatto che due persone innocenti (erano pescatori, non pirati) sono morte per mano di due militari italiani che dicono di aver agito nell’esercizio delle loro funzioni e non – secondo l’opinione delle autorità locali – come Security Contractors (volgarmente: mercenari) a bordo di una nave italiana.
Carlo Rombolà