Ali Mohammed al-Nimr, giovane 21enne, verrà tra poco crocifisso.

Secondo il governo saudita non c’è più niente da fare: persino l’ultimo ricorso fatto dal giovane è stato rifiutato. L’esecuzione potrebbe avvenire da un momento all’altro.

Ali Mohammed era stato arrestato il 14 febbraio 2012; all’epoca dei fatti aveva 17 anni e stava partecipando ad una manifestazione contro il regime nella sua città. L’unica sua colpa, difatti, è quella di essere sciita e di essersi opposto pubblicamente in piazza contro il potere della famiglia reale Saoud.

Il 27 maggio 2014 arriva la condanna che segue l’arresto, il tribunale speciale di Djedda è chiaro: «decapitato e crocifisso. Il corpo verra esposto in pubblico sino a quando non inizierà a decomporsi». Parole che non sembrano fare parte della nostra epoca e del nostro mondo. Accusato di aver partecipato alla manifestazione, di aver attaccato con molotov le forze di sicurezza e di aver commesso una rapina a mano armata, ma senza aver né ammazzato né ferito nessuno.

L’ultima chiamata è arrivata mercoledì 23 settembre, al papà ha detto di stare bene e che era, per il momento, ancora in vita. I genitori stanno facendo di tutto per mobilitare la comunità internazionale ed il mondo intero, visto che nemmeno l’appello consegnato al Re Salman è riuscito a salvare il figlio. Al momento «ancora non ci sono annunci ufficiali sulla data di esecuzione. Generalmente la famiglia non viene informata» fa sapere Zena Esia dell’European-Saudi Organization for Human Right (ESOHR).
La famiglia ha le idee chiare: «il giovane sta pagando per suo zio, Nimr Baqir Al-Nimr, anch’egli condannato a morte». Lo zio del ragazzo è un religioso sciita, a capo delle rivolte del 2011 nell’est del paese. A quel tempo, pervasi dal sentimento della primavera araba, gli sciiti si ritrovarono in piazza uniti nei movimenti pro-democrazia contro il regime monarchico imposto dalla famiglia reale di Saoud. Quel biennio (2011-2012) creò tensioni forti, tali da generare 24 morti in tutta l’Arabia Saudita, senza cambiare nulla. Gli sciiti al momento sono 18 milioni e subiscono ancora tante discriminazioni.

Il giovane, fanno sapere le ONG – sopratutto la britannica Reprieve – non ha potuto farsi difendere dal suo avvocato ed il processo nel quale è stato giudicato non può definirsi equo e, stando al rapporto stilato da ESOHR, il 21enne sarebbe stato sottoposto a «torture ed insulti» durante gli interrogatori. Paradossalmente tutto questo accade mentre Faisal Trad, ambasciatore saudita all’ONU di Ginevra, lunedì 21 settembre è stato nominato a capo del comitato consultivo del consiglio a tutela dei diritti dell’uomo ovvero, a guida di un gruppo di cinque diplomatici che dovranno scegliere gli esperti che lavoreranno a difesa dei diritti dell’uomo nel mondo. La risoluzione 60/251 emanata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite specifica che «Gli Stati dei Consiglio dei diritti dell’uomo 2016 dovranno rispettare le norme più elementari nella promozione e la protezione dei diritti dell’uomo». Incarico dato all’Arabia Saudita, posto con il più alto numero di prigionieri giustiziati con la pena di morte: secondo le stime delle ONG si parla di 2208 esecuzioni tra il 1985 e il 2015. Amnesty International evidenzia come solo tra il mese di gennaio e di agosto di quest’anno 130 prigionieri sarebbero stati giustiziati.

Quello che spetta ad Ali Mohammed al-Nimr è più di una semplice esecuzione. La crocifissione, infatti, è riservata ai grandi criminali, l’ultimo nel 2013. Il gesto del giovane farebbe capire al governo iraniano di Teheran che non può più appoggiare la minoranza sciita in Arabia Saudita e, quindi, dare un forte messaggio alla guerra che vede contrapposti sciiti e sunniti. Messaggio di sfida indirizzato anche al sanguinario Stato Islamico.

Senza dubbio l’esecuzione alimenterebbe le manifestazioni e gli scontri nel paese e tante rivolte nel mondo occidentale. Al momento l’Onu fa sapere che «Tutte le sentenze che infliggono la pena di morte a persone che, all’epoca dei fatti, erano minorenni sono incompatibili con gli obblighi internazionali dell’Arabia Saudita», tuttavia questo al governo saudita sembra non importare.
Nel frattempo il mondo incrocia le dita ed i messaggi di speranza sono tanti, compreso il nostro: #freeNimr.

Giuseppe Ianniello

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