Le anticipazioni del rapporto Svimez 2015 ci presentano un quadro desolante della condizione del Mezzogiorno.  La crisi multiforme che attraversa il Paese, il Sud Italia e le vite di ciascuno di noi – economica, politica, sociale, democratica – ci impone una riflessione profonda sul modello di sviluppo, sul fallimento di quello attuale e sulle possibilità di cambiare segno all’economia. In un tale contesto aumentano gli spazi per i profitti e l’arricchimento individuale a danno della società, aumentano le disuguaglianze, si ampliano gli affari delle mafie e dei network di potere. La camorra trova terreno fertile dentro una tale condizione strutturale di “sottosviluppo”, intensificando i profitti e allargando gli spazi di infiltrazione e inquinamento, attraverso l’imposizione della violenza e la pratica della corruzione.

In Campania, negli ultimi anni, abbiamo visto aumentare le aree del disagio, sono aumentati gli inoccupati e i disoccupati, è peggiorata la condizione giovanile. L’emigrazione, soprattutto quella giovanile, resta un tratto caratteristico:  dalla sola città di Napoli nel periodo che va dal 2000 al 2009 sono 108.000 le partenze (su un totale di 500.000 dal Sud), secondo un’analisi della CGIA di Mestre, la disoccupazione “reale” presente in Campania è al 51,1%, la dispersione scolastica è del 22,2% con picchi del 40 e del 50% in alcune aree della regione, i giovani che non studiano e non lavorano sono più di 620 mila (39,8% della popolazione). L’assenza di politiche per lo sviluppo, la diminuzione del lavoro e la cancellazione progressiva delle  politiche sociali e di protezione universale peggiorano la situazione.

In questi anni il movimento antimafia ha concentrato l’attenzione sul rapporto tra economia e mafie, sulla necessità di affermare un nuovo modello di sviluppo fondato sulla condivisione e sulla partecipazione che punta all’uguaglianza e alla giustizia sociale. Solo dentro una nuova economia possiamo immaginare una società libera dalle mafie e dalla corruzione, attenta alla cura delle persone e delle relazioni, capace di produrre conoscenza e affermare i valori della solidarietà e della cooperazione. Proprio dentro la complessità di questa crisi stanno nascendo esperienze di nuove pratiche, a partire dalla sharing economy, e si sta producendo innovazione sociale. Esperienze spesso isolate o sottovalutate ma che si inseriscono in un solco capace di cambiare di segno alle politiche economiche attuali. Un nuovo modo di pensare e agire dentro un’economia della condivisione capace di mettere al centro il benessere e le persone dentro una dinamica di giustizia sociale. Libera Campania, a partire dalle campagne per rendere illegale la povertà (Miseria Ladra) e per la promozione di un welfare universale (Reddito di dignità e Libera il welfare), ha messo in evidenza la necessità non solo di denunciare e contrastare le mafie e la corruzione a partire dai territori ma anche di praticare un nuovo modello di sviluppo a partire dai beni confiscati.

Già – Giovani innovazioni”, la summer school di Libera Campania parte da tali presupposti. Tema della scuola estiva, giunta quest’anno alla terza edizione, è “Libera il welfare: i beni confiscati per l’inclusione sociale”.  

La scelta di dedicare la scuola di formazione di Libera a tale oggetto di analisi è motivata dal fatto che noi di Libera siamo dell’idea che senza un progetto di welfare universale e inclusivo non si può praticare una nuova idea di sviluppo sostenibile.

Immaginiamo il welfare come fondamento di un nuovo modello di sviluppo. In questo scenario, i beni confiscati e i processi di riutilizzo sociale assumono un valore ancor più vitale perché rappresentano i luoghi dove è possibile la costruzione di relazioni, di promozione di processi di condivisione e cooperazione insieme a quelli di partecipazione: tutti elementi decisivi dentro una logica di una economia solidale. I processi di destrutturazione del welfare in questi anni hanno contribuito alla divisione della società, alla contrapposizione tra le persone, indebolendo le relazioni sociali e promuovendo un’idea profondamente individualistica. Il welfare diventa dunque elemento preliminare dello sviluppo. Sui beni confiscati alle mafie si producono beni e servizi dentro una logica di cooperazione e condivisione. Vogliamo partire proprio da qui, pensando che ci siano spazi per mettere a sistema le esperienze che insistono nella nostra regione.

Il welfare nel nostro Paese è stato orientato su un assetto conservativo e lavorista (interviene quando il lavoro non c’è più), frammentato e disarticolato senza un coordinamento preciso. Un modello minimo di protezione sociale che è stato destrutturato nel corso degli ultimi anni, soprattutto con l’acuirsi della crisi, ricorrendo all’alibi delle scarse risorse. In realtà, la frammentazione dei provvedimenti e il continuo richiamo alla necessità di privatizzare i servizi hanno peggiorato lo stato sociale nel nostro Paese con la logica conseguenza del ritorno della povertà (16 milioni di poveri tra relativi e assoluti).

Questo welfare tradizionale e insufficiente crediamo che vada sostituito da un lato, con un reddito di dignità e dall’altro, con nuovi servizi e processi collettivi, strumenti capaci di promuovere l’autonomia delle persone e degli attori coinvolti nelle politiche sociali. Un welfare universale, che parte dai beni confiscati alle mafie, capace di promuovere mutualismo e solidarietà dentro processi di partecipazione. Non solo le politiche sociali statali o comunali (da rinnovare e reinventare) né tantomeno il sistema sostanzialmente privatizzato di questi anni. Per immaginare tale sconvolgimento, un nuovo corso capace di rispondere alle esigenze delle persone, Libera Campania promuove la scuola estiva “Già – Giovani innovazioni”. Attraverso lo studio e la lettura del territorio possiamo immaginare e iniziare a praticare il nuovo corso. Insieme.

Angelo Buonomo

Libera Campania

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