Murakami, Norwegian Wood
Fonte: http://www.playersmagazine.it

Murakami Haruki aveva trentasette anni quando, nel marzo 1987, finì di scrivere il suo capolavoro, Norwegian Wood. Ci mise soltanto tre mesi: scrisse i primi capitoli in una villa sull’isola greca di Mykonos, poi si spostò in Sicilia e infine in un residence alle porte di Roma, dove completò quello che lui stesso definisce un «Romanzo molto personale. (…) Un libro che chiedeva di essere scritto più di quanto io stesso mi rendessi conto».

Murakami, Norwegian Wood
Fonte: Basikaraoke.me

Pubblicato da Murakami in due volumi, Norwegian Wood scoppiò come uno dei più grossi eventi letterari della fine degli anni ’80, perlomeno in Giappone, dove tutta una generazione di giovani cresciuti leggendo Fitzgerald e Dickens, ascoltando i Beatles, i Doors, Bob Dylan e bevendo Coca-Cola, attendeva il consolidarsi di nuovi punti di riferimento letterari più vicini al proprio mondo, sempre meno legato alle millenarie tradizioni nipponiche e sempre più in sintonia con i nuovi modelli culturali d’oltreoceano. Era una generazione che cercava riscatto e che non comunicava più con quella dei propri genitori, ancora segnata dalla tragica conclusione della Seconda Guerra Mondiale.

Murakami, che aveva vissuto in prima persona tutto quel fermento fin dagli anni ’60, ne divenne il portavoce maggiore, gridando con forza la sua appartenenza a un nuovo Giappone. Lo aveva fatto coi suoi primi quattro romanzi, e lo fece ancora meglio con Norwegian Wood, nel quale per la prima volta scelse di allontanarsi dalla sua consueta vocazione per il surreale ed esplorare i sentimenti umani da un punto di vista nuovo. Ciò che ne venne fuori fu un romanzo di formazione realistico, sentimentale, impregnato di malinconia e musica fin dal titolo. Una nostalgica carezza del Murakami adulto al se stesso fragile dei tempi dell’università, per proteggerne il ricordo e forse scongiurarne il ritorno. Tanto Occidente, sì, ma preso e fatto proprio dai personaggi, che non ne fanno una semplice vetrina da osservare incantati bensì lo plasmano secondo la propria essenza e lo assorbono in profondità.

Murakami, Norwegian Wood
Fonte: Leomajor.it

Lo si intuisce fin dalla prima scena del romanzo presentata da Murakami, dove il trentasettenne protagonista Toru Watanabe, in viaggio in aereo verso l’Europa, sente alcune note di Norwegian Wood dei Beatles e si immerge in un potente flusso di ricordi che dura tutto il romanzo. Viaggiando indietro nel tempo ritorna così al 1968 e si rivede ai tempi dell’università. Estraneo all’ambiente del suo collegio, Watanabe studia teatro senza troppa passione, vive una vita semplice e passa le sue giornate perlopiù in solitaria, studiando in biblioteca fra una lezione e l’altra dato che non ha niente di meglio da fare. La domenica invece la passa in giro per Tokyo, camminando senza meta. Proprio in una di queste passeggiate incontra Naoko, un’amica che non vede più da qualche anno, da quando era morto suicida Kizuki, fidanzato di lei e migliore amico di lui. Da questo incontro nasce una frequentazione fra i due, che iniziano a passare insieme le domeniche. Toru scopre così che Naoko è molto fragile psicologicamente e soffre di allucinazione uditive. Se ne innamora. Ma quello che nasce fra i due è un rapporto inevitabilmente segnato dal tabù del suicidio di Kizuki. Come se non bastasse, poco dopo aver fatto l’amore per la prima volta, Naoko finisce ricoverata in un istituto di cura per malattie mentali fuori Tokyo, e i due smettono di vedersi. Per tutto il libro sarà un rapporto straziante, fatto di lunghe attese, lettere su lettere e pochissimo tempo per vedersi.

“Forse noi due ci cercavamo molto di più di quanto noi stessi pensassimo. E così abbiamo finito per prendere la strada più lunga e più contorta. Forse io non avrei dovuto fare quello che ho fatto. Ma non ho potuto farne a meno. E volevo dirti che la sensazione di intimità e tenerezza che ho provato per te è stata un’emozione che non avevo mai sentito prima nella mia vita”

Murakami, Norwegian Wood
Fonte: Wikipedia.it

Aspettando notizie da Naoko, nel romanzo la vita di Watanabe va avanti quasi estranea al mondo esterno, fra una sfogliata al Grande Gatsby, un disco di Miles Davis, e qualche serata in compagnia di Nagasawa, un suo coetaneo con la fissazione per il sesso che tradisce a ripetizione la fidanzata Hatsumi. Fra i due apparentemente non c’è nessun punto in comune: Nagasawa ricco, pieno di sé, sfacciato. Watanabe umile, insicuro e introspettivo. La rivolta portata avanti dagli studenti del collegio non lo tocca minimamente. Con l’amico rimorchia ragazze senza alcun trasporto, ma quando la vita trasuda piattezza da ogni poro perché porsi limiti? Perché dire no a qualcosa o qualcuno?

“Non riuscivo a vedere niente né avanti né dietro di me (…) Gli altri andavano avanti, li guardavo avanzare spediti mentre mi trascinavo faticosamente verso il fango (…) La gente invocava riforme di questo e di quello, e sembrava che le riforme fossero proprio lì, dietro l’angolo. Ma era tutta una messinscena priva di qualsiasi concretezza e significato. Io vivevo alla giornata, senza quasi sollevare la testa”

A rimettere al mondo Watanabe ci pensa Midori, una ragazza che studia teatro con lui e che si inserisce nella sua vita in un lampo. Femminista, piena di energia, di domande e di passioni. Ama provocarlo e punzecchiarlo sui suoi punti deboli. Anche lei ha vissuto da vicino la morte, quella della madre, e vedrà morire anche il padre di tumore durante il libro. Se Naoko rappresenta la fatica di vivere, Midori rappresenta l’opposto. E Watanabe è attratto da entrambe. Con la prima, però, c’è un patto di cuore, laggiù nel profondo, che niente può spezzare. Così, quando lei si rifà viva, per Watanabe ogni altra cosa smette di esistere e va a trovarla per qualche giorno. Per tutto il romanzo, ogni volta che ritorna in scena Naoko è come se il mondo smettesse di girare per un po’, e si finisce schiavi di ciò che la sua anima delicata porta in serbo. Naoko è imprevedibile, tormentata, fragile. Così fragile che non si può smettere di preoccuparsi per lei, come se si presagisse la tragica fine a cui il suo male la porterà. Nemmeno Reiko, sua amica intima nella casa di cura, riuscirà a salvarla dal suicidio.

Fonte: Corriere.it

Sono amore e morte a scandire tutto il romanzo di Murakami, “Norwegian Wood”, quasi a volerci ricordare che non esista uno senza l’altra. Intorno alla morte di un parente o di un amico i personaggi si stringono e cercano di trasmettersi il calore necessario ad andare avanti. E ci riescono. Nei suoi due anni di vita descritti nel romanzo, Watanabe si forma come uomo, e impara che solo attraverso la sofferenza già vissuta si può combattere la nuova sofferenza, utilizzando come arma l’amore che prima non si era capaci di apprezzare e ora sì.

“La morte non era più qualcosa di opposto alla vita. La morte era già compresa intrinsecamente nel mio essere, e questa era una verità che, per quanto mi sforzassi, non potevo dimenticare”

Ogni personaggio di “Norwegian Wood”, e in particolare il protagonista, sembra alla ricerca di un amore con la “A” maiuscola, che vada oltre le forme e l’attaccamento. Non un amore indirizzato a qualcuno in particolare ma piuttosto un calore umano da ricercare dove capita e dove c’è. Non esiste la gelosia in Norwegian Wood. Ogni personaggio di Murakami ha piena consapevolezza di quanto l’arte di vivere sia delicata, e ogni forma di amore vada accettata e data a chiunque ne possa giovare. E allora il sesso, seppur molto presente, smette di essere un fine e diventa soltanto una porta di accesso come le altre verso l’amore totale.

Murakami, con Norwegian Wood, sembra quasi voler prendere la rivoluzione culturale dei ’60, impregnata di ottimismo ed entusiasmo, per portarla con sé verso luoghi più profondi dove si possa prendere piena coscienza dell’esistenza, abbracciando non solo i suoi aspetti positivi ed entusiasmanti ma anche quelli più bui e misteriosi. Seguendo il procedere di Watanabe verso la vita adulta non sappiamo chi diventerà o quale lavoro farà. Sappiamo però che in quei due anni fra il ’68 e il ’70 ha imparato a stare al mondo e che in qualche modo la sua strada la troverà.

“Comincio a sentire le responsabilità. Io non sono più quello che tu hai conosciuto. Ho vent’anni ormai. E devo pagare il prezzo per continuare a vivere

Daniele Benussi

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