streghe https://reportage.corriere.it/cronache/2016/neopaganesimo-e-donne-il-ritorno-delle-streghe/
Fonte: https://reportage.corriere.it/cronache/2016/neopaganesimo-e-donne-il-ritorno-delle-streghe/

Le testimonianze iconografiche delle streghe risalgono a un lontano passato, quando l’uomo e la donna vivevano nell’immanenza della Grande Dea dai mille nomi, “Inde primigenii Phryges Pessinuntiam deum matrem”, la successiva Diana Paganorum. A lei venivano dedicati rituali sacrificali, associati a varie pratiche apotropaiche per propiziare la fertilità e la procreazione.
In quest’ottica potremmo distinguere le “streghe” in due tipologie: le donne della “fede primitiva” sopravvissute attraverso le tradizioni orali e successivamente nel folklore popolare; e la strega come risultato della letteratura e di processi di demonizzazione e di discriminazioni medievali.

Volendo analizzare l’evoluzione iconografica delle streghe, possiamo quindi stabilire che il punto di partenza è l’immagine delle antiche vestali della dea, donne depositarie di culti sacerdotali o semplicemente legate ad antichi rituali, impegnate a tramandarli di generazioni alle loro sole figlie femmine. Il loro carattere terreno e a tratti mistico (tutto ciò che non avveniva sotto il naso degli uomini doveva pur nascondere qualcosa di sbagliato, estremo, intrigante, proibito) le rendeva delle effettive outsider e così queste streghe ante litteram si sono presto guadagnate un aspetto demoniaco. In più la loro vicinanza alla terra e a ciò che è terreno le ha avvicinate alle prime rappresentazioni della nuda dea della fertilità. Ma le streghe non sono esseri divini e questo sarà ancora più esplicito quando le prime baccanti danzeranno perse in effluvi di alcool.

Nella Casa dei Dioscuri, presso gli scavi archeologici di Pompei, c’è l’affresco “Donna che offre da bere ad un mendicante” o per alcuni, “Uomo presso una fattucchiera” (presso gli antichi romani era chiamata così una donna profondamente versata nei misteri religiosi, da questo derivò, secondo Festo, la voce sagace). La figura qui posta è presa da una pittura di Pompei e ha tutti i caratteri che ancora oggi associamo alle streghe: il cappello, la verga magica, il cane e la caldaia.

“Donna che offre da bere a un mendicante” – Casa dei Dioscuri, Scavi archeologici di Pompei

Soffermiamoci sul suo copricapo. È il tholia (da tholos, tombe di forma cilindrica o circolare): un cappello tipico della moda greco-romana di paglia intrecciata e a punta conica, di uso comune nel mondo contadino del tempo, ed anche oggi, indossato, in molte aree del Sud-est asiatico. Questa sua immagine diventerà man mano suggestiva rispetto a un cappello a cono tronco, poiché si legherà all’iconografia classica di streghe e maghi di varia origine con addosso un capo di vestiario al cui interno potevano nascondersi piccoli oggetti ed erbe a uso medicamentoso.
Di cappelli allungati e conici si trovano testimonianze sin dal 3000 a.C.: avevano semplicemente l’obiettivo di sottolineare il rango elevato del personaggio rendendolo visivamente più alto ed imponente. Risalgono invece all’Età del Bronzo i quattro cappelli d’oro, ritrovati in varie località dell’Europa Centro-Settentrionale: Svezia, Germania, Francia, Svizzera. La loro funzione, e soprattutto quella dei loro possessori, è incerta, forse relativa a pratiche religiose, magiche, curative o di comando, o forse legate ad una qualche culto astronomico. O tutte queste messe assieme, visti i tempi, come era ben sintetizzato dallo stesso copricapo dei faraoni: quello bianco a forma conica allungata proprio del regno del Basso Egitto (Hedjet); quello rosso a forma di cono tronco rovesciato dell’Alto Egitto (Deshert).

Osculum infame

Lo stereotipo delle streghe come adepte del diavolo si affermerà solo nel Quattrocento, dopo l’equiparazione dell’eresia alla stregoneria e la creazione dell’immagine del “sabba”, nata da un compromesso tra cultura dotta e cultura folklorica (come spiega Carlo Ginzburg in Storia notturna. Una decifrazione del sabba). Tutte le donne potrebbero da questo momento nascondere un potere che si rigenera dal pactum diabolicum, per il quale le streghe diventano esecutrici passive della volontà demoniaca. Molte iniziarono a essere condannate al rogo, capri espiatori accusate di minacciare il Cristianesimo con le loro sette o presunte tali. Pubblicato il Malleus Maleficarum, l’immaginario inizierà a omologarsi: le megere si sono fatte sedurre dall’osculum infame, ovvero il “bacio spudorato” che il diavolo offre agli adepti. Da qui, le nuove rappresentazioni artistiche che vedono donne in ginocchio, prostrate davanti al loro Signore, circondate da fuoco infernale o dalle micce che poco dopo le arderanno.

Due secoli dopo, Gaspar Isac nel suo Abominazione degli stregoni, raffigura un gran numero di streghe all’interno di una cucina tra pentacoli, filtri, pentolini, mucchi d’ossa e strani animali. L’iconografia delle streghe si sta avvicinando molto a quella contemporanea poiché queste donne sono definitivamente diventate “anime maledette che van preparando il loro tormento mentre attizzano le fiamme che eternamente ardono” e il loro tormento è tutto limitato alla sfera dell’erotismo e della carnalità.

Il Sabba delle Streghe- Hexensabbat , A. J. Van Prenner.
Maniera Nera e Rotella

Sul finire del ‘600, A. J. Van Prenner realizza Il Sabba delle Streghe- Hexensabbat e raffigura una scena evocativa di momenti orgiastico – compulsavi del sabba. Una moltitudine di donne si accalcano attorno ad un pentolone, vicino al quale una delle streghe dal petto scoperto ne riversa strani ingredienti, mentre un’altra ne mescola il contenuto con la sua scopa. Il fumo che ne consegue si propaga in tutto il dipinto, conferendogli un’atmosfera mistica, confusionaria e ansiogena. Il dinamismo delle figure è nervoso e screanzato. Sullo sfondo, degli uomini fuggono impauriti, mentre una casa in lontananza brucia sotto i loro sguardi. Appare il topos della megera a cavalcioni su Martinello (vezzeggiativo con cui, nel Beneventano medievale, ci si riferiva al spiriti demoniaci), questa volta tramutato in un lupo, mentre un gatto nero ghigna vicino una carcassa animale. Il diavolo (dagli zoccoli caprini), subdolo, si mimetizza nel caos e si impegna a insegnare, indicando cenciosi fogli, i rudimenti della magia a una donna.

Alessia Sicuro

Alessia Sicuro
Classe '95, ha conseguito una laurea magistrale in filologia moderna presso l'Università di Napoli Federico II. Dal 2022 è una docente di lettere e con costanza cerca di trasmettere ai suoi alunni l'amore per la conoscenza e la bellezza che solo un animo curioso può riuscire a carpire. Contestualmente, la scrittura si rivela una costante che riesce a far tenere insieme tutti i pezzi di una vita in formazione.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.