La vita è bella

I bambini, nei lager nazisti, andavano spesso a morire stringendo al petto i loro giocattoli; si avviavano alle camere a gas allegri, come fosse un gioco, con i giocattoli in mano e con la voglia di usarli. Quasi per rivendicare il loro essere bambini, ed è quasi confortante che davanti a una morte imposta e ingiusta un bambino giochi.

È la lezione di Jacques Brèl ne Le moribonde quella che davanti la morte bisogna “danzare, ridere, divertirsi da matti”, perché è l’unico mezzo che abbiamo per batterla. I bambini che giocano in uno dei luoghi più spaventosi della storia dell’umanità rende – in piccolissima parte – giustizia, perché significa che la loro voglia di vivere è stata più forte della voglia di distruggere del mostro nazista; e che quindi, questo, non può dirsi vincitore.

Questo piccolo grande particolare, dei bambini che andavano alla morte giocando, ce lo raccontava Rubino Romeo Salmonì, testimone dei campi di sterminio nazisti; uomo a cui si è ispirato Roberto Benigni per il film La vita è bella.
Il film ci insegna esattamente questo: la morte – soprattutto quella ingiusta, il cui unico fattore scatenante è la sopraffazione umana – si vince con il sorriso, e con la soddisfazione di dimostrare a chi te la impone che il suo odio non batte il tuo amore.

Una canzone che sa esprimere con dovizia questo concetto è Non mi avete fatto niente di Ermal Meta e Fabrizio Moro, vincitrice al Festival di Sanremo nel 2018; questa nasce da una lettera di Antoine Leiris, marito di una delle vittime della strage del Bataclan, che recita così: “Allora no, non vi farò il dono di odiarvi. Voi lo avete ben cercato, ma rispondere all’odio con la rabbia sarebbe cedere alla stessa ignoranza che fa di voi ciò che siete. Voi volete che io abbia paura, che io guardi i miei concittadini con occhio diffidente, che io sacrifichi la mia libertà per la sicurezza. Perso. Avete già perso”.

Nei campi di sterminio non ha vinto sui nazisti, solo, chi è sopravvissuto, ma soprattutto chi non si è fatto piegare moralmente e ha mantenuto, nonostante tutto, la testa alta; perché l’intento dei nazisti era quello di cancellare la dignità e l’umanità di quelle persone, e solo successivamente le persone in sé. A vincere sul mostro nazista – come sono riusciti Liliana Segre, Sami Modiano e Rubino Romeo Salmonì – è riuscito anche il personaggio fittizio di Guido Orefice (interpretato da Roberto Benigni), padre del piccolo Giosuè. Il suo personaggio, anche perdendo la vita, insegna nel luogo dell’orrore la dignità al figlio, e regala a noi la lezione che l’odio si vince solo con e attraverso i valori.

E il titolo del film, a quanto pare, ha una storia importante, una di quelle storie scritte a matita sopra il vento della storia: Lev Trockij, in attesa degli assassini incaricati da Stalin, si aggira per la sua casa, a un certo punto vede sua moglie in giardino che sta curando le rose, e scrive “Nonostante tutto, la vita è bella”.

Gabriele Bartolini

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