Alla fine è successo. La nuova formazione politica dalla suggestiva denominazione di “Podemos” (“possiamo”, “ce la faremo”, in spagnolo) ha ottenuto un risultato trionfale alle elezioni amministrative e regionali del 24 maggio in Spagna.

Sì, se puede”, dunque. E ciò che agli albori del movimento sembrava un’autentica utopia si è realizzato: il partito di Pablo Iglesias è diventato una forza politica di tutto rispetto, con la quale i partiti tradizionali dovranno per forza scendere a patti per governare.

I risultati più clamorosi di questa tornata elettorale sono stati sicuramente quelli giunti da Madrid, dove ha vinto il Partido Popular, tallonato da Ahora Madrid, la lista civica di Podemos, e da Barcellona, dove la lista sostenuta dal partito di Iglesias, Barcelona en Comù, se l’è giocata punto a punto con Pah, il partito di Ada Colau, nuovo sindaco della capitale catalana, la cui preferenza da parte dei barcellonesi rappresenta comunque un voto di rottura rispetto al passato.

Di grande rilievo anche l’affermazione di Ciudadanos (“cittadini”, in spagnolo), formazione politica di destra guidata dal giovane avvocato catalano Albert Rivera, che ha saputo conquistare il cuore degli spagnoli ancora diffidenti rispetto al radicalismo di Iglesias, ma al contempo non più disposti ad affidarsi alla promesse dei partiti tradizionali.

In tutta la Spagna, dunque, soffia forte quel vento del cambiamento che comincia piuttosto a prendere le sembianze di una bufera che minaccia di spazzare via i partiti tradizionali, chiamati adesso più che mani a proporre – e a farlo con la stessa efficacia comunicativa degli avversari – soluzioni nuove a problemi sia antichi che recenti, figli del difficile momento storico ed economico attuale che attanaglia la maggior parte degli stati europei.

Adesso, com’è normale e giusto che sia, viene il difficile per questi homines novi della politica, che tuttavia, anche se meno avvezzi dei colleghi di lunga data ad occupare i posti di potere, non si può certo dire che provengano dal nulla, anzi.

Pablo Iglesias, il leader di Podemos, è un professore di Scienze Politiche presso l’Universidad Complutense di Madrid. Da sempre molto attivo nel mondo dell’associazionismo politico, Iglesias non è mai stato un classico docente in giacca e cravatta né un tipico intellettuale di sinistra, ma piuttosto un ideologo del contropotere, apertamente schierato contro il capitalismo.

Il suo partito, fondato nel gennaio dello scorso anno, ha ben presto raccolto più consensi di quanto fosse ragionevole aspettarsi per dei neofiti della politica, tant’è vero che, dopo pochi mesi dalla sua nascita, in occasione delle elezioni europee di maggio 2014, ha sfiorato l’8 % dei consensi, mandando ben cinque parlamentare a Bruxelles.

Ora questo risultato, ancora più clamoroso, sintomo della necessità di un cambiamento radicale che il popolo spagnolo chiede con sempre maggiore veemenza.

Certo, la politica è fatta anche di meteore, ma non si può fare a meno di notare che l’affermazione elettorale di Podemos, e, in misura più contenuta, quella di Ciudadanos, hanno scardinato il paradigma politico tradizionale, composto da partiti come il PSOE e il PP, che adesso dovranno trovare nuove soluzioni per fare breccia nelle intenzioni di voto degli spagnoli.

Come detto, però, neanche Iglesias e i suoi avranno la possibilità di governare da soli. I risultati di queste elezioni amministrative e regionali hanno chiarito, se mai ce ne fosse stato bisogno, che il futuro della Spagna dovrà obbligatoriamente passare dagli accordi fra i partiti.

La vera novità è che adesso, accanto alla destra e alla sinistra classica, si scorgono nuove forze politiche alternative, di entrambe le fazioni, che intendono mandare definitivamente in pensione gli esponenti di una politica in cui non si riconoscono più.

Carlo Rombolà

 

 

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.