Perché la Tunisia non può essere un Paese sicuro per i rifugiati
Fonte: Wikipedia Commons

La Tunisia non è un Paese sicuro per le persone che vengono soccorse in mare. È quanto messo in evidenza nella recente dichiarazione congiunta ad opera delle principali ONG impegnate nei salvataggi e associazioni di diritti dei rifugiati. Lo Stato tunisino in questi ultimi mesi è andato incontro ad un preoccupante aumento dei casi di violenza e discriminazioni nei confronti della popolazione nera, dei rifugiati e di chiunque venga considerato un oppositore politico. Come si legge nel comunicato, sono diverse le organizzazioni sia tunisine che internazionali ad aver denunciato quanto sta accadendo nel Paese, in cui «gli arresti di critici e oppositori politici, i processi militari di civili, la repressione in corso della libertà di espressione e le minacce alla società civile» si fanno sempre più allarmanti. Le ONG si sono direttamente rivolte all’Unione Europea e agli Stati membri, nella speranza che venga posta fine a qualsiasi accordo con la Tunisia per il controllo delle migrazioni. L’Italia, in particolare, è stata condannata per le continue estradizioni di persone che vengono soccorse in mare – andando a violare apertamente i diritti umani internazionali, oltre che il diritto del mare. Nel Paese, inoltre, è stato registrato un notevole aumento delle espulsioni dei cittadini tunisini.

Questo non è nemmeno il primo tentativo di smuovere l’Italia e l’Unione Europea dall’idea che la Tunisia possa rappresentare uno Stato terzo sicuro. Solamente un anno fa, in occasione della Giornata mondiale del rifugiato, un gruppo di richiedenti asilo ha lanciato un appello alla comunità internazionale direttamente dalla capitale, Tunisi. Le loro dichiarazioni sono state riportate in un articolo di Melting Pot. I richiedenti asilo non hanno esitato a puntare il dito contro l’UNHCR (l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati), colpevole di non essere in grado di gestire in maniera ottimale il flusso di rifugiati nel Paese. Questi ultimi finiscono con l’essere abbandonati a loro stessi in uno Stato in cui non si sentono affatto benvenuti. I richiedenti asilo e rifugiati, infatti, non ricevono una protezione adeguata. Niente possibilità di accesso al lavoro, all’istruzione o alla sanità pubblica. Né tantomeno di mobilità all’interno della Tunisia.

Coloro che non ne volevano più saperne di continuare a vivere in una condizione simile hanno provato a mettersi in viaggio via mare per raggiungere l’Europa. Altri ancora sono partiti alla volta della Libia. In entrambi i casi, molti rifugiati sono andati incontro alla morte. Mentre chi è rimasto nel Paese ha dovuto fare i conti con trattamenti discriminatori e sfruttamento. «I rifugiati e i richiedenti asilo in Tunisia hanno bisogno di essere reinsediati in un paese terzo sicuro» erano state le parole dei portavoce, convinti che l’unica soluzione fosse un’evacuazione dallo Stato. Nonostante le proteste dei migranti – che inizialmente hanno organizzato un sit-in davanti all’ufficio di Zarzis dell’UNHCR, per poi continuare a manifestare a Tunisi, dove si trova l’ufficio centrale dell’Agenzia – la situazione non ha fatto altro che inasprirsi, con una crisi economica che fa da cornice al razzismo sistematico.

Tunisia, il discorso del presidente Kais Saied e le discriminazioni verso la popolazione nera

Negli anni gli appelli sulle condizioni deplorevoli in cui i rifugiati sono costretti a vivere in Tunisia si sono susseguiti, senza tuttavia riuscire a far cambiare idea all’Unione Europea. Dall’inizio del 2023 nuove criticità si sono fatte largo. A partire dall’ondata di razzismo che ha colpito le persone nere in Tunisia. Le parole (pubblicamente condannate da Amnesty International) del presidente Kais Saied nel corso di un discorso sui profughi provenienti dall’Africa Sub-Sahariana lo scorso 21 febbraio ne sono la prova. Il leader politico ha parlato di «orde di migranti irregolari» entrati nel Paese con «la violenza, i crimini e i comportamenti inaccettabili che ne sono derivati». Saied – con dichiarazioni che ricordano i timori dei movimenti occidentali più xenofobi – ha parlato di una sorta di complotto che ambisce a «cambiare la composizione demografica» della Tunisia. In tale ottica, l’obiettivo sarebbe renderla «un altro Stato africano che non appartiene più al mondo arabo e islamico».

Le aggressioni razziste nei confronti di persone provenienti dall’Africa centrale e occidentale sono aumentate drammaticamente, compresi gli attacchi di bande armate. A questi si aggiunge la discriminazione da parte delle istituzioni, con arresti e detenzioni arbitrarie basate sulla profilazione razziale. Anche i media, che non hanno fatto altro che dare adito ad una vera e propria campagna contro i neri africani ribadendo il concetto di una “grande sostituzione” demografica, hanno fatto la loro parte. A rendere tutto più tragico ci sono anche i rapimenti e le sparizioni. La dichiarazione firmata dalle organizzazioni di soccorso e dalle associazioni impegnate nella tutela dei diritti dei rifugiati è stata pubblicata dopo che, lo scorso 11 aprile, è stato organizzato un altro sit-in davanti all’UNHCR e uno davanti all’OIM (Organizzazione Internazionale per le migrazioni). Gli agenti hanno risposto alle richieste dei manifestanti solamente con l’uso della forza. Infatti, si è ricorso ai gas lacrimogeni per disperdere la folla e almeno 80 persone sono state arrestate, tra cui in diversi hanno denunciato maltrattamenti.

Cindy Delfini

Cindy Delfini
Classe '97, Milano. Studio scienze Politiche, Economiche e Sociali, con un forte interesse verso i diritti civili. Sono appassionata di arte nelle sue diverse forme di espressione: musica, danza, cinema, serie TV, letteratura.

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