A questo punto inizierei a riempirle io di acqua, le piste. Un’idea assolutamente non malvagia visto il rocambolesco Gp che si è disputato ad Hockenheim questa domenica. Sono bastati alcuni scrosci di pioggia, infatti, perché la reazione delle monoposto e la risolutezza delle scuderie si mostrassero alla pari confuse, rischiose e talvolta azzardate. Non basterebbe raccontarvi della seconda vittoria in stagione di Max Verstappen, e nemmeno della rimonta di Sebastian Vettel perché possiate ricostruire quanto accaduto in pista in Germania. O della storica terza posizione di Daniil Kvyat su Toro Rosso, team di Faenza che conquista così il secondo podio dagli inizi in F1.

Il vincitore del Gran Premio di Germania è Max Verstappen. Ad Hockenheim prestazione tra le più solide del gruppo, malgrado un grosso traverso sul bagnato che stava per metterlo ko a metà gara. Imprecisioni anche al muretto Red Bull sulla scelta degli pneumatici d’asciutto.

Inutile dire che allo spettacolo dell’Hockenheimring ha contribuito il drammatico epilogo delle due Mercedes, finite fuori dal podio e non oltre l’ottavo posto di Lewis Hamilton (a cui peraltro l’inglese è riuscito approdare grazie alle dure penalità inferte alle due Alfa Romeo nel post-gara). Eppure, dopo la prima, anche una seconda volta, a muro le Frecce d’Argento non le ha mandate di certo un santone da Maranello o il box Red Bull.

La pioggia: caos, spettacolo o tutti e due?

Il vero fattore determinante della corsa è stato il meteo, e con esso tutto ciò che ne è derivato. Era da molto, infatti, che non si assisteva a una gara che venisse disputata in presenza di un’acquazzone, nei limiti della sicurezza prevista dalla direzione gara. A dire il vero, prima della partenza di domenica alcuni giri sono stati comunque compiuti dietro Safety Car, ma poca cosa.

Di pioggia ne cade (e anche tanta) sugli autodromi, eppure negli ultimi tempi la rigorosa prassi che è conseguita specialmente dopo i fatti di Suzuka 2015 ha portato i commissari di gara ad adottare misure sempre più stringenti, promettendo rischio zero (esagerando talvolta) e propinando talvolta soluzioni come le frequenti partenze dietro Safety Car o dal box.

Non è però solo adesso che scopriamo gli effetti della pioggia o delle forti variazioni climatiche nel racing. Ci sono stati acquazzoni ben peggiori nella storia della F1, da Zeltweg ’75 al famoso Estoril ’85 (che diede alla luce il talento di Ayrton Senna). Ancora peggio fu il Gran Premio d’Australia del 1991, ad Adelaide, che si interruppe per le scarsissime condizioni di visibilità. Certo, almeno prima del ’94 la Formula Uno contava margini di rischio molto meno stringenti di quanto non faccia al giorno d’oggi, eppure le macchine sembravano relativamente adattarsi meglio ai tracciati in evoluzione.

Due in uno, gli errori che hanno portato prima Charles Leclerc al ritiro e poi Lewis Hamilton a compromettere la sua gara. Complice una catastrofica curva 16, che ad Hockenheim ha dato filo da torcere anche ad Hulkenberg (ritirato) e a Kimi Raikkonen.

Nonostante la pista stesse asciugandosi in alcuni punti, infatti, ad Hockenheim diversi piloti sono incappati in piccoli errori al costo di un ritiro (è il caso di Charles Leclerc, Nico Hulkenberg e Valtteri Bottas) o di una gara parzialmente compromessa, come nel caso delle escursioni sul bagnato in curva 16 di Lewis Hamilton e Kimi Raikkonen. Un anno fa inciampava in situazioni simili, invece, lo stesso Sebastian Vettel, che finiva banalmente nella via di fuga all’ingresso del Motodrome di Hockenheim.

Sappiamo che è da un po’ di tempo a questa parte che si propende diffusamente per vie di fuga asfaltate al posto delle vecchie distese di ghiaia, le quali spesso non hanno agevolato il pilota in passato, anche dopo una piccola sbavatura. Situazione invece capovolta in condizioni di bagnato, ad esempio nella parte di asfalto intorno a curva 16 ad Hockenheim, dove Charles Leclerc e altri hanno chiaramente denunciato molto poco grip.

Una mescola Pirelli da bagnato estremo, d’altra parte, riesce ad evacuare quasi 85 litri di acqua al secondo alle velocità prossime ai 300 km/h, attualmente. Solo così possiamo farci un’idea indicativa dell’acqua che una vettura di F1 riesce a spostare ogni volta dalla pista, per lo più a bordo pista o sui cordoli, che diventano l’equivalente di vere e proprie piste di ghiaccio. Ad ogni modo, una pista che tende ad asciugarsi rapidamente – anche se solo nella larga striscia definita dalla traiettoria ideale – porta necessariamente al cambio mescola, anche per evitare di continuare a zigzagare sul tracciato per pescare un po’ di acqua sotto alla gomma. Di contro, almeno ad Hockenheim, il prezzo lo ha già pagato Valtteri Bottas, timido di suo e reo insieme al compagno di squadra di aver portato anche solo metà pneumatico fuori dalla traiettoria asciutta, al momento meno opportuno.

Abolire il parco chiuso, non estenderlo

Questo non farà del problema del drenaggio delle vie di fuga il principale colpevole della instabilità (o imprevedibilità) delle vetture odierne sull’asfalto bagnato. Purtroppo, risulta difficile definire delle linee guida (o comunque delle strategie al contempo efficienti e sicure) che non passino esclusivamente per la scelta degli pneumatici da montare e del momento in cui farlo. Lo dice il regolamento.

Mentre in precedenza si parcheggiavano tutte le vetture in uno stesso garage, da qualche anno la regola del parco chiuso è leggermente cambiata. Le vetture, dopo le verifiche, vengono restituite alle squadre e posizionate all’interno del box.

Infatti, ad oggi il regime di parco chiuso (Parc Fermè) che viene istituito tra la fine delle qualifiche e la gara non permette ai meccanici di intervenire sulla monoposto, a meno che sopraggiungano incidenti o rotture particolari durante la giornata del sabato. Questo significa limitare fortemente la variabilità degli assetti della vettura, in merito ai quali invece un meccanico potrebbe spendersi molto prima di portarla in gara. Ad esempio, assetto da bagnato potrebbe voler dire:

  • alzare l’auto da terra di pochi millimetri, in modo che il flusso d’aria che deve circolare sotto al fondo non venga ostruito dall’acqua;
  • ammorbidire il set up delle sospensioni, così che la macchina rolli maggiormente per far “mordere” di più le gomme (un vecchio trucco prevedeva addirittura di togliere la barra antirollio);
  • aumentare la deportanza di alettoni e spoiler, con le modifiche opportune all’incidenza dei flap dell’ala anteriore.

Attualmente solo l’ultima delle tre modifiche viene concessa prima della gara (com’è successo ad Hockenheim), almeno fino a che non verrà ufficializzato il regolamento del 2021 che prevede addirittura una estensione del parco chiuso a tutto il weekend, con il divieto di intervenire sulla vettura e adattarla al circuito già dal venerdì. Questo potrebbe quasi rendere inutili le sessioni di prove libere, che generalmente sono proprio dedicate ai test di assetto nelle varie condizioni di gara, così facendo da gareggiare praticamente a carte scoperte dalla prima (e magari unica) sessione. Di conseguenza il lavoro al simulatore verrà ancora più intensificato, e i costi di gestione abbattuti (contando anche le poche giornate di test in pista concesse alle scuderie).

Una mossa che contribuirebbe a tagliare le gambe allo spettacolo della F1. Spettacolo che sul bagnato torna sempre protagonista soprattutto grazie al caos e all’apprensione che si genera intorno al comportamento di ogni auto. Si finisce quindi fuori pista, si commette un lungo o un grande traverso ed è solo questione di tempo che si sbatta contro le barriere .

Insomma, fino a che non si permetterà alle migliori macchine del pianeta di dimostrarsi tali, finché il regime di parco chiuso non avrà trasportato definitivamente il racing sullo schermo di un computer, sulle corse bagnate meglio che vi aspettiate di tutto (proprio il contrario che su quelle asciutte). Spettacolo a parte, gap così chiusi e imprevedibili tra le contendenti in gara potranno solo indurre la tentazione di bagnare le piste ogni domenica. Ma, dato che non può piovere per sempre, la F1 del 2019 farebbe bene a lasciare molta più autonomia alle macchine durante il weekend, e lasciare che contro alle barriere ci si finisca per un assetto sbagliato, una sensazione del pilota, l’intuito del box. Non perché ti finisce un cartellone sulla macchina dopo che l’hai persa a causa delle gomme sbagliate. Avremmo forse tutti meno da recriminare e più da imparare. Del resto, la F1 è un banco di prova: gli incidenti random li lasciamo ad altre categorie.

Nicola Puca

Fonte immagine in evidenza: thedrive

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