Alla fine Pippo Civati non ce l’ha fatta. Non è bastato il mese di tempo a disposizione per raccogliere le 500.000 firme necessarie a presentare il suo referendum in otto punti e vincere la prima battaglia alla guida di Possibile, il partito nato a fine maggio che si propone come la principale alternativa a sinistra del partito della nazione renziano.
Il referendum non sarà in discussione per tutto il 2016 e, qualora non venisse definitivamente accantonato, potrà essere presentato ai cittadini solamente nel 2017.
«L’obiettivo era raggiungibile», spiega Civati, ma «Diversamente da quanto avevamo sperato, oggi pomeriggio non andremo in Cassazione a consegnare le firme».

Problemi nel conteggio delle firme, ovvero quota 500.000 non raggiunta, e la campagna referendaria che poteva tramutarsi nel fortunato battesimo della nuova forza politica si è trasformata invece in un flop le cui conseguenze non tarderanno ad arrivare.

Flop annunciato?
Il referendum ha sicuramente avuto poca risonanza mediatica, una mancanza volontariamente perseguita secondo Civati, che più volte durante questo mese ha espresso le proprie perplessità per spazi televisivi che venivano concessi solo grazie alle lettere dell’Agcom.

Strano per un referendum che si sarebbe occupato di questioni fondamentali per la legislatura attualmente in corso, come l’abolizione dell’Italicum con il ritorno al Consultellum, tutele contro il demansionamento previsto dal Jobs Act, importanti misure di prevenzione ecologica contro le trivellazioni in mare, un generale rifiuto della politica delle “grandi opere” e modifiche dei poteri conferiti ai dirigenti scolastici.

Ma la scarsa copertura mediatica non ha oscurato del tutto il messaggio, perché nell’ultima settimana le firme sono arrivate. Merito di un lieve aumento dell’attenzione nazionale vista l’imminente scadenza, ma anche dell’organizzazione del partito, che è riuscita contro ogni aspettativa a creare una vera rete sociale sul campo per sostituire la diffusione centralizzata.
Ma a dire il vero, un importante fattore per l’impennata di firme delle ultime settimane erano state anche due aperture importanti al progetto referendario, quelle di Pannella e Fratoianni, che seppur fra mille dubbi avevano infine deciso di firmare, aprendo uno scenario di unità possibile qualora il referendum avesse raggiunto i numeri tanto agognati.

Unità imPossibile
Così non è stato. Nonostante le stime parlassero di poco meno di 400.000 firme conteggiate al 23 settembre, quest’oggi Civati ha fatto sapere che queste non verranno presentate alla Corte Costituzionale.
Hanno pesato le iniziali “differenze di vedute”, e l’esplicita avversione riscontrata dal referendum nei giorni del suo lancio. Se da sindacati e Sel ci si aspettava un entusiasta partecipazione per un progetto referendario realmente capace di inaugurare una nuova sinistra che potesse avere la forza necessaria a staccarsi definitivamente da Renzi, beh, questa partecipazione non c’è stata, o è stata troppo tardiva e diffidente.
Fratoianni ha fatto sapere di aver firmato nonostante «la campagna avrebbe dovuto coinvolgere comitati, movimenti e sindacati», e Civati ha prontamente ribadito che l’invito «era stato mandato a tutti», ma che quasi tutti si erano dimostrati più preoccupati riguardo alle «date, ai simboli da utilizzare, piuttosto che ai contenuti».

La solita sinistra che fatica a trovare intenti comuni e solide aleanze? Sembrerebbe di sì, e se Civati si era ripromesso di far tornare la sinistra di una volta, verrebbe da dire che per il momento sia riuscito a resuscitarne solamente i personalismi.

Valerio Santori

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