Nasce a Napoli il 12 marzo 1860 Salvatore Di Giacomo, poeta, saggista, drammaturgo di grande spicco e riferimento. Autore di moltissime poesie in lingua napoletana, è tra i più celebri poeti dialettali che continuano ad essere letti oggigiorno.

É soprattutto come autore di testi in musica che viene ricordato, infatti tra i suoi componimenti più celebri ricordiamo Nanní e E ghiammoncenne me’, i testi di esordio, ma soprattutto Marechiaro, che riportiamo di seguito:

Quanno sponta la luna a Marechiare
pure li pisce nce fanno a ll’ammore,
se revoteno ll’onne de lu mare,
pe la priezza cagneno culore,
quanno sponta la luna a Marechiare…A Marechiare ce sta na fenesta,
la passione mia ce tuzzulea,
nu carofano addora ‘int’a na testa,
passa ll’acqua pe sotto e murmulea…
a Marechiare ce sta na fenesta…
Chi dice ca li stelle so’ lucente
nun sape st’uocchie ca tu tiene nfronte,
sti doie stelle li saccio io sulamente,
dint’ a lu core ne tengo li pponte,
chi dice ca li stelle so’ lucente….
Scétete Caruli’ ca ll’aria è doce,
quanno maie tanto tiempo aggio aspettato?
P’accunpagnà li suone cu la voce,
stasera chitarra aggio purtata…
Scé Caruli’ ca ll’aria è doce!…

Scritta da Di Giacomo dopo la sua prima visita a Marechiaro, quando fermandosi alla famosa Fenestella, ammirandola insieme ai fiori, conoscendo Carolina, decise di inserire tutto in questa poesia, che è stato poi successivamente musicata dal compositore abruzzese Francesco Paolo Tosti. In realtà, c’è anche chi sostiene che l’autore abbia composto la poesia non dopo il folgorante incontro con il luogo protagonista, ma semplicemente stando seduto al celebre Gran Caffé Gambrinus bevendo un caffè. Di Giacomo però, nonostante l’enorme successo della poesia, e successivamente della canzone, non l’amò mai giacché la considerava troppo banale e scontata.

Ma andiamo avanti, vi è un altro componimento estremamente celebre dell’autore, anch’esso divenuto poi una splendida canzone: Era de maggio (di cui riportiamo di seguito solo il ritornello):

[…] E diceva: “Core, core,
core mio, luntano vaje,
tu mme lasse, io conto ll’ore.
Chisà quanno turnarraje”.

Rispunnev’io: “Turnarraggio
quanno tornano li rrose.
Si stu sciore torna a maggio,
pure a maggio io stóngo ccá.

Si stu sciore torna a maggio,
pure a maggio io stóngo ccá”.[…]

Si può afferma senza paura di cadere in errore, che questa poesia rappresenta il punto più alto della poetica di Di Giacomo, ma soprattutto rappresenta anche uno spartiacque nell’evoluzione della lingua napoletana. Infatti, Di Giacomo prese ispirazione per la poesia da un componimento veneto, apportando però ad esso cambiamenti non solo circa la lingua utilizzata, ma anche perché Di Giacomo ci permette di ascoltare suoni, godere di profumi e sapori, come solo un grande poeta sa fare. É un capolavoro senza tempo, insomma, reso maggiormente celebre grazie alla dolcissima melodia di Mario Costa, cantata poi da diversi interpreti, tra cui Roberto Murolo e Franco Battiato.

Il testo, la metrica, la forma poetica richiamano la tipica Villanella napoletana, una forma di canzone profana nata in Italia nella prima metà del XVI secolo. Il testo è scritto con un napoletano di fine Ottocento, in un linguaggio all’epoca parlato dal popolo, anche se in molti lo hanno criticato per essere un napoletano quasi “falso”, distanziato troppo dal vero napoletano. Il dialetto utilizzato da Salvatore Di Giacomo è dolce, raffinato, non ritrae veridicamente ma colora con mille sfumature. Infatti, poesia dialettale non è sinonimo di poesia popolare, rozza e incolta, anzi il dialetto napoletano attraversava e attraversa davvero tutti gli strati sociali (tant’è che era parlato anche a corte). Di Giacomo non poteva scrivere diversamente, raccogliendo nel dialetto utilizzato tutta la coralità del popolo partenopeo.

E il suo era probabilmente un tentativo di ancoraggio al passato nell’accorgersi dei mutamenti dei tempi. La sua opera di ricerca erudita testimonia, infatti, un bisogno sentimentale di recupero di un mondo culturale ormai scomparso: è proprio la nostalgia, infatti, costante protagonista delle sue opere, è la sua musa.

Salvatore Di Giacomo, poeta quindi da scoprire per chi non lo conoscesse, e da riprendere e rileggere per chi lo avesse accantonato, ricordando una delle sue più celebri dichiarazioni circa la sua poetica:

“Io racconto il mondo napoletano non come è veramente, ma come sembra”.

Annamaria Biancardi

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