Repressione sistemica, il caso dei maiali del Progetto Cuori Liberi
Fonte immagine: ilgiorno.it

Il 20 settembre scorso l’ATS Lombardia, scortata da un ingente dispiegamento di forze dell’ordine, ha fatto irruzione nel santuario Progetto Cuori Liberi e ha proceduto all’esecuzione dell’ordinanza di abbattimento dei 9 suini presenti nel rifugio. Le attiviste e attivisti che cercavano da giorni un dialogo con le istituzioni, con l’ente veterinario, che hanno tentato tutte le strade possibili per trovare una soluzione alternativa alla violenta uccisione degli ospiti del santuario, sono stati manganellati, strattonati, picchiati, insultati, allontanati e derisi. Ma procediamo con ordine.

Questa azione è stata legittimata e supportata dalle norme emergenziali decretate dal governo (ordinanza del 24 agosto 2023, Misure di controllo ed eradicazione della peste suina africana) per contrastare la diffusione di un virus altamente contagioso per i suini e proteggere il “patrimonio suinicolo nazionale”.

Così scrive il Sottosegretario di Stato per l’agricoltura, la sovranità alimentare e le foreste (Governo Meloni-I) La Pietra: «Sulla peste suina […] chi avrebbe potuto e dovuto decidere ha preferito sottostare ai diktat di un fanatismo ambientalista che ci ha portato alla situazione odierna, alla quale il Masaf, il ministero della Salute, della Difesa e tutto il Governo Meloni stanno mettendo riparo con un impegno massivo, vedi il coinvolgimento dell’esercito che, grazie al ministro Crosetto, si è subito reso disponibile a collaborare per risolvere l’emergenza. […] la diffusione del contagio della PSA, è cresciuto a dismisura in nome di un insensato animalismo che ora si sta ritorcendo contro gli animali dei nostri allevamenti, contro l’ambiente abusato da una popolazione di ungulati con una media incomparabile con nessun altro Paese europeo e contro il futuro economico del comparto suinicolo italiano. […] Al contrario di chi ci ha preceduto sentiamo forte la responsabilità di garantire agli imprenditori e ai lavoratori del comparto suinicolo un futuro messo a rischio in maniera irresponsabile da imperdonabili pressapochisti».

Così scrivono i veterinari della Federazione Nazionale Ordini Veterinari Italiani: «[…] Una circostanza non può essere negata: le attività di eradicazione della peste suina africana sono essenziali per contrastare la circolazione virale e salvaguardare tutti i suini, sia allevati per fini alimentari sia detenuti a scopo di affezione. […] Ma se gli abbattimenti di alcuni animali sono necessari per proteggerne altri, per evitare sofferenze e stress che contraddirebbero ogni garanzia di benessere animale, i medici veterinari non possono essere lasciati soli a combattere una guerra che rischia conseguenze devastanti. I servizi veterinari non possono essere criminalizzati perché applicano le norme di biosicurezza previste nel Piano nazionale, perché attuano le operazioni di sorveglianza passiva nel settore domestico e nel selvatico, perché devono provvedere all’eutanasia dei capi negli allevamenti colpiti».

In sostanza, assodato che la colpa della diffusione della PSA in Italia sia degli ambientalisti e animalisti invasati, pressapochisti, insensati e fanatici, emerge chiaramente che: primo, la questione peste suina africana non è un problema di sicurezza sanitaria pubblica ma esplicitamente e inequivocabilmente una pratica finalizzata a tutelare gli interessi della produzione zootecnica nazionale; secondo, che il ruolo dei veterinari non è quello di garantire, come dicono, il benessere animale o di impedire che miliardi di suini soffrano e muoiano, bensì impedire che le industrie suinicole falliscano.

Occorre anche precisare infatti che quando i veterinari dell’Asl parlano di eutanasia non fanno certo riferimento a quella che comunemente conosciamo. Non è infatti l’eutanasia praticata ai nostri animali d’affezione. Per i maiali degli allevamenti consiste nell’uccisione di massa per mezzo di gas letali, un’uccisione lenta e dolorosa; per gli ospiti del santuario Progetto Cuori Liberi non ci è ancora dato sapere esattamente come e con quali farmaci siano stati uccisi.

Quali sofferenze avrebbero impedito ai maiali del santuario? Ce lo stiamo ancora chiedendo. Va anche sottolineato che le attiviste e i gestori del rifugio hanno chiesto disperatamente sin dall’inizio di individuare e applicare un protocollo che tenesse conto di tutte le condizioni presenti. Di somministrare, in caso di malattia conclamata e sofferenza, con il supporto del veterinario del rifugio, un’eutanasia dolce. È falso che le attiviste volessero ignorare il dolore dei maiali. Crosta, Crusca, Pumba, Dorothy, Mercoledì, Bartolomeo, Ursula, Carolina, Spino, i “suini” di cui parla l’Asl, erano membri di una famiglia, amati, curati e protetti da anni. Questi individui non erano moribondi e sofferenti. Lo dimostrano le dichiarazioni, i filmati e tutte le evidenze prodotte. L’Asl veterinaria vuole far credere di aver tutelato il benessere di questi individui proteggendoli persino dai loro stessi familiari, o se vogliamo usare un termine caro al mondo specista, dai loro proprietari, che ricordiamolo, sono stati violentemente allontanati persino negli ultimi attimi di vita dei loro cari impedendo a quei maiali quantomeno il conforto dello sguardo rassicurante di chi li amava. La verità è che hanno eseguito degli ordini governativi in modo indiscriminato e privo di buon senso.

L’elemento fondamentale, che è stato volutamente ignorato, è che questi suini erano dichiarati dallo Stato non DPA, ovvero non erano destinati all’uso e consumo umano (decreto del Ministero della Salute del 7 marzo 2023). Non avrebbero potuto in alcun modo essere movimentati e non avrebbero arrecato danno alcuno. I santuari, in Italia e nel mondo, nascono proprio per sottrarre gli animali da reddito al destino ineluttabile che abbiamo imposto loro. Va ricordato inoltre che tutti i dispositivi di biosicurezza erano garantiti e anzi l’attenzione dei gestori al contenimento e prevenzione da PSA erano di gran lunga superiori a quelli adottati negli allevamenti regionali. Si sta già procedendo ad effettuare verifiche sulle falle (numerose) dei sistemi di protezione e prevenzione sui quali l’ATS avrebbe dovuto vigilare da molto prima che la strage avesse luogo. Attendiamo i riscontri scientifici e giudiziari.

In sintesi, al fine di proteggere il “patrimonio suinicolo nazionale”, il governo ha decretato l’uccisione (per noi si tratta sempre e comunque di uccisione e non di abbattimento perché non stiamo parlando di muri ma di esseri senzienti) di tutti i suini degli allevamenti sul territorio nazionale laddove si presenti il virus, e ha stanziato ingenti somme di denaro pubblico a supporto degli stessi allevamenti a compensazione delle perdite dovute alle uccisioni massicce.

Insomma il nostro governo, e tutto l’apparato di settori con esso coordinato, quindi anche i veterinari delle Asl, perpetua un sistema di disposizioni emergenziali che mettono toppe per fermare fenomeni interamente e scientificamente collegati alla struttura stessa dell’indotto zootecnico, proteggendolo, anziché investire in sistemi e modi di produzione ecologici, sostenibili, alternativi ed equi. Questo non lo dicono gli animalisti sentimentali e invasati che citano il sottosegretario e i veterinari ma enti di ricerca, FAO, WTO, organizzazioni internazionali di scienziati. Sono ormai decenni che viene analizzato l’impatto disastroso dell’industria zootecnica globale sul pianeta, sugli animali e sugli umani. Eppure si investono miliardi di euro dei cittadini italiani per compensare le perdite di un sistema che è la causa stessa del problema. Anziché investire seriamente nelle riconversioni e transizioni delle aziende zootecniche e tutelare, davvero, i lavoratori degli allevamenti si preferisce mantenere e sperperare fondi pubblici. Secondo i dati FAO l’impatto globale degli allevamenti con le emissioni annue di gas serra corrisponde al 15% e studi più recenti indicano il tasso al 68%. Solo in Lombardia vengono allevati e macellati 4 milioni di suini, il 50% del totale nazionale.

Ma il danno che il sistema zootecnico produce non è solo strettamente ecologico. Spesso i lavoratori del settore non sono tutelati. L’organizzazione Essere Animali fa sapere che all’interno del rapporto dell’associazione ambientalista “Terra!” è riportato che il 50% della forza lavoro degli allevamenti lombardi è composta da migranti sottopagati con contratti inadeguati.

Le industrie zootecniche hanno difficoltà a trovare lavoratori. Non è una novità, sono diversi anni che questo fenomeno si verifica. L’esposizione quotidiana a malattie, danni batteriologici e agenti chimici, le ripercussioni psicologiche ed emotive sono tra le motivazioni più significative. Sono numerose le esperienze internazionali che individuano uno sfruttamento massiccio, caporalato, e esposizione a danni anche permanenti dei lavoratori del settore zootecnico. Questo lavoro rimane precario, sottopagato, pericoloso e dannoso. Per questa ragione molti degli operai del settore sono migranti, o comunque persone appartenenti a classi sociali più disagiate che hanno difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro.

Non è quindi paradossale che il governo e il suo apparato lancino proclami per salvaguardare i lavoratori del settore attribuendo a noi antispecisti la responsabilità della potenziale perdita di lavoro negli allevamenti? Distopico e surreale.

Il benessere animale e la millantata tutela dei lavoratori si inquadrano in una cornice oppressiva, capitalista e di sfruttamento. Rappresentano la cartina di tornasole per dimostrare a sé stessi e al mondo di seguire procedure ipocritamente accettabili mentre in realtà viene gestita senza scrupoli l’esistenza di individui senzienti destinati da noi a diventare pezzi di carne nei nostri piatti. Si favorisce il precariato sottopagato esponendo lavoratori in posizione di fragilità. Si favoriscono e incrementano inquinamento e crisi climatica.

Ridurre la contestazione politica a questione sentimentale è l’ennesimo tentativo di depotenziare le azioni e le richieste del movimento antispecista. Ciò che è accaduto al santuario Progetto Cuori Liberi non è una questione sentimentale. L’azione intrapresa rivendica di essere ed è politica, libertaria, ecologica, e scientifica. Ci opponiamo al sistema di sfruttamento e uccisione di miliardi di individui; al sistema che genera danni irreversibili al pianeta; ci opponiamo al sistema produttivo iniquo, sfruttatore, che genera disuguaglianze e povertà. E questo nostro pensiero non scaturisce dalla capacità di essere sensibili (certamente anche quella) ma da un approccio politico e scientifico. Le nostre affermazioni poggiano saldamente su dati e riscontri oggettivi frutto di ricerche scientifiche decennali.

La scienza evolve e progredisce grazie ai dati, alla sperimentazione, alla ricerca. Cambia insieme alla società e preferibilmente progredisce per il bene comune, anche attraverso forme di resistenza e lotta sociale.

Non è forse antiscientifico affermare che gli allevamenti siano luoghi sani, anzi patrimonio italiano? non è antiscientifico affermare che garantendo il “benessere animale” i milioni di individui ammassati daranno prodotti gustosi e sani (ricordiamo che tra i maggiori vettori di PSA rientra la carne prodotta e commercializzata) quando tra l’altro l’OMS ha classificato i prodotti processati come i nostri salumi e insaccati tra gli alimenti cancerogeni gruppo 1 e le carni rosse potenzialmente cancerogene inserite nel gruppo 2A?

Di quale benessere animale parlano i veterinari e coldiretti? delle scrofe nelle gabbie, delle mutilazioni senza anestesia o appunto del gas come metodo di uccisione? Ma gli insaccati e i salumi non sono prodotti di carne suina? Come è possibile che si voglia a tutti i costi, e con ingenti supporti economici, salvaguardare l’industria suinicola e al contempo sapere che proprio quell’industria produce alimenti cancerogeni Il ministero della Salute e quello dell’Industria dovrebbero trovare una coerenza almeno apparente.

Ridicolizzate gli attivisti, bullizzate i vostri colleghi che dissentono perché siete in posizione di forza. Ci deridete, e profanate i nostri affetti violentandoci nell’anima, pretendendo persino di passare voi per vittime.

I veterinari chiamati a “eseguire gli ordini” molto difficilmente riescono quindi a conciliare la propria complementarietà all’industria zootecnica – votata alla trasformazione di individui in merci – con ragioni scientifiche, tenendo conto del fatto che la complementarietà ai sistemi di potere dominanti (la cui ideologia è trasparente proprio in virtù di tale dominanza) è una caratteristica costante di apparati scientifici di ogni tempo. Tra i molti esempi ricordiamo che per secoli gli scienziati sono stati molto influenti nel determinare la subalternità delle donne nella sfera della salute, della politica, dell’istruzione, delle professioni. Nella scienza moderna le donne sono sottorappresentate proprio perché anche il mondo scientifico le ha considerate inferiori dal punto di vista intellettivo, falsando in modo radicale la loro “natura”. Per secoli siamo state scientificamente poco più delle “bestie”. Se oggi abbiamo raggiunto qualche risultato non è per l’evolvere della scienza ma grazie alle lotte di liberazione, dure e costanti, nonostante di noi si evidenziasse il “sentimento” e il sentimentalismo. Rigettiamo al mittente – anche in veste antispecista – questi ingenui luoghi comuni.

I santuari, al di là delle normative sempre perfettibili, sono luoghi di riscatto sociale politico, scientifico ed ecologico. Ricoprono un ruolo sociale di innovazione e vita comunitaria solidale. Restituiscono dignità non solo agli individui reduci dallo sfruttamento ma all’intera società. Propongono un’idea di comunità che non è quella del capitalismo neoliberista e del profitto. I santuari sono presidi di umanità e relazione, ricoprono un ruolo fondamentale nel processo educativo e di emancipazione sociale. Sono luogo di interazione inter e intraspecifica. Soprattutto per quanto concerne i bambini che frequentano i rifugi, la relazione che si instaura con animali appartenenti ad altre specie insegna a sapersi confrontare con la diversità promuovendo una corretta socializzazione, empatia, e capacità di accudimento.

Anche sul piano prettamente scientifico, ad esempio in ambito sociologico, etologico e veterinario, i santuari possono essere un’importante risorsa. L’osservazione e raccolta di dati su animali solitamente relegati in ambienti e contesti innaturali e deprivanti, consente di studiare come e con quali evidenze essi si riapproprino dello spazio, delle relazioni, del loro reale benessere. Nei santuari quindi è possibile osservare e studiare gli ex animali da reddito in libertà e valutare anche eventuali risultati di possibili cure innovative (ad esempio, proprio in relazione alla peste suina africana). Nei santuari, ai maiali, contrariamente a quanto accade negli allevamenti, è concesso di diventare anziani. Una caratteristica unica e rarissima. I veterinari hanno poca esperienza della fisiologia e delle possibili patologie dei maiali anziani semplicemente perché non lo diventano mai! Dorothy, una dei nove maiali, uccisa il 20 settembre aveva 16 anni. Non è un grave danno e un’assurda ingiustizia che una creatura indifesa, salvata e liberata, arrivi alla veneranda età di 16 anni per poi venire ammazzata in una manciata di minuti? Un’esistenza buttata via così, senza considerazione alcuna per il suo vissuto, i suoi legami, il suo valore intrinsecamente unico. A tutti i santuari, a tutte le individualità in essi ospitate, a tutte le attiviste e attivisti vanno il nostro amore e impegno incondizionati.

di Silvia Molè e Barbara Balsamo

Parte in causa
Parte in Causa è una piccola associazione antispecista di impronta politica, considerando la lotta contro il capitalismo imperialista e il patriarcato come centrale ai fini di una liberazione totale in ottica di alleanze e supporto a ogni classe oppressa. Sostiene pratiche liberazioniste a ogni livello, considerando la Resistenza Animale parte del processo storico del pianeta.

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