Cos’è il Semestre Bianco e perché se ne parla tanto (a sproposito)
Fonte immagine TPI

La corsa al Quirinale è iniziata: non manca molto e il Parlamento dovrà decidere chi sarà il successore di Sergio Mattarella. La politica ha cominciato a fare dei nomi, lanciandoli così nel circuito presidenziale per sondare il gradimento dell’opinione pubblica. L’ultimo, in ordine temporale, è stato quello di Silvio Berlusconi, il quale vorrebbe coronare la sua carriera politica con la prima carica dello stato. Si tratta di un nome fortemente divisivo e con ogni probabilità destinato a cadere nel vuoto, a causa dei veti incrociati delle altre forze politiche. La corsa al Colle, però, esercita una certa influenza anche sull’altro vertice politico di Roma, cioè a Palazzo Chigi e nello specifico sulla stabilità dei governi. Il periodo interessato è quello spaccato temporale che in gergo politico è stato soprannominato “semestre bianco“.

Il semestre bianco è uno dei periodi più congestionanti della politica italiana, dove le forze politiche sono costrette a convivere assieme, a diminuire le fibrillazioni e a mitigare il clima di tensione registrato fino a quel momento. Per un governo del Presidente, cioè che si regge sulla benevolenza dell’attuale inquilino del Quirinale – che lo ha fortemente sponsorizzato dopo la caduta del Conte bis – sarà molto difficile restare in piedi nel caso in cui Mattarella decidesse di uscire di scena (come è probabile che accada).

Inoltre, è bene considerare che dopo l’estate si terranno le elezioni comunali nelle grandi città italiane. La campagna elettorale è già partita, ma non è ancora entrata nel vivo. Le forze di maggioranza si sfideranno e sicuramente l’esito della tornata avrà le sue ricadute su Palazzo Chigi.

Tutto questo, però, cosa c’entra con il famigerato semestre bianco? Cos’è questo lasso temporale suscettibile di condizionare gli equilibri governativi e parlamentari?

Un periodo cruciale

Il termine “semestre bianco” è usato per indicare gli ultimi 6 mesi del mandato del Presidente della Repubblica, durante i quali egli ha dei poteri decisamente limitati. Secondo l’articolo 88 della Costituzione:

Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse. Non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura.”

Quindi, quel breve lasso di tempo ha una grande incidenza sul mandato presidenziale e soprattutto sulle maggioranze di governo che si sovrappongono agli ultimi 6 mesi di un Presidente della Repubblica. L’impossibilità di sciogliere le Camere, la quale preclude l’eventualità di indire nuove elezioni anticipate, ammette però una deroga: nel caso in cui gli ultimi 6 mesi coincidano con gli ultimi 6 mesi di mandato del Parlamento, il Capo dello Stato può decidere di scioglierlo ugualmente.

In questo caso, non ci troviamo nella condizione, ammessa dalla suddetta deroga, di “scadenza sovrapposta“, dato che la legislatura scadrà nel marzo 2023, ne deriva che il Presidente della Repubblica non potrà sciogliere anticipatamente le Camere in ogni caso.

É possibile rinvenire la ratio dell’art. 88 della Costituzione nell’esigenza di evitare che il Presidente della Repubblica, a fine mandato, potesse procedere per nuove elezioni avvantaggiando una maggioranza politica favorevole alla sua rielezione, una cosa molto comune alle democrazie europee del tempo e che ha caratterizzato la Francia nella seconda parte del Novecento.

Mattarella è stato eletto Presidente della Repubblica il 31 gennaio 2015. Se la matematica non è un’opinione, il semestre bianco comincerà alla fine del prossimo luglio. Prima della nascita del governo Draghi, i leader di alcuni partiti chiedevano a gran voce di ritornare alle urne prima dell’inizio di questo breve, ma politicamente lungo, lasso di tempo. Non è difficile intuire l’importanza strategica di una richiesta del genere, soprattutto per quella politica alla continua caccia di consenso e che basa la sua ragion d’essere nella capacità di capitalizzarlo nel più breve tempo possibile. Quei sei mesi in cui alcuni argomenti di campagna elettorale (tra cui il celeberrimo “elezioni subito”) sono preclusi, potrebbero creare numerosi problemi a chi ha basato la sua campagna elettorale sulla certezza del “voto sempre“.

Ma il semestre bianco non è importante soltanto per la sua funzione strategica. La sua funzionalità è relativa e dipende dalla stabilità delle maggioranze e dal contesto politico che vanno a incrociare fortuitamente quei 6 mesi. Nel caso specifico l’Italia si trova davanti alle elezioni amministrative autunnali, le quali rivestono un certo rilievo poiché interesseranno alcune tra le maggiori città italiane (Milano, Roma e Napoli su tutte) e richiederanno una campagna elettorale serrata che necessariamente coinciderà con il semestre bianco. Se la questione terminasse qui, non ci sarebbero sostanziali problemi. A complicare il quadro generale c’è un particolare in grado di determinare la stabilità dell’attuale esecutivo: i partiti che si sfideranno nella disputa autunnale sono gli stessi che governano assieme in questo momento a Palazzo Chigi. Il clima è già rovente, basta vedere la querelle tra Enrico Letta e Matteo Salvini, la quale nonostante gli inviti di Mattarella fatica a placarsi.

A questo punto il quesito è d’obbligo: quali effetti avrà la campagna elettorale, e i suoi toni soprattutto, sulla stabilità dell’esecutivo di Mario Draghi? Come dovranno comportarsi i partiti politici in quel lasso di tempo in cui non è possibile tornare al voto? A giudicare dai toni odierni, i quali costringono l’ex BCE a mediare tra le molteplici e conflittuali posizioni dei partiti della maggioranza, sarà molto difficile conciliare la campagna elettorale con la permanenza del governo. Inoltre, questo è quel caso in cui lo spauracchio dello scioglimento anticipato delle Camere viene agitato in continuazione per richiamare all’ordine le forze politiche più turbolente.

Per sei mesi, a causa del semestre bianco, quella funzione di bilanciamento operata dalla prerogativa costituzionale sarà inibita e Mattarella perderà una parte consistente del suo potere. Una cosa da non sottovalutare in presenza di una coabitazione politica così precaria come quella attuale.

Il semestre bianco di Mattarella

La figura del Capo dello Stato, a dispetto della vulgata popolare, è centrale per l’equilibrio istituzionale e politico italiano. Concepita come una figura super partes, cioè al di sopra delle parti politiche che la eleggevano, nel corso degli anni le sue prerogative tacite e ufficiose sono aumentate e sono diventate centrali per il corretto funzionamento delle istituzioni. Così come è aumentata l’incisività dei suoi interventi nel corso delle legislature. Dalle esternazioni di Antonio Segni e Sandro Pertini, due figure presidenziali molto forti – forse le più forti della storia repubblicana – alla dura presa di posizione di Sergio Mattarella nei confronti dei partiti che a febbraio chiedevano le elezioni, passando per il niet di Scalfaro sulla legge che depenalizzava il finanziamento ai partiti e per l’attivismo di Giorgio Napolitano.

In molti si appellano alla debolezza del Presidente della Repubblica facendo riferimento a improbabili forzamenti della Carta Costituzionale, e che quindi nemmeno la prima carica dello stato può esercitare – essendo il garante della sua integrità. In realtà questa percezione distorta del ruolo presidenziale deriva da una scarsa conoscenza dei suoi reali poteri oppure dalla sottovalutazione di quelli conosciuti. Due su tutti, lo scioglimento e il respingimento di un nome di un ministro sgradito al Colle. L’importanza del primo è possibile comprenderla proprio partendo dal semestre bianco, il quale priva il Presidente di un potere dissuasivo enorme nei confronti delle maggioranze più irrequiete. Per il secondo, il potere di nomina ministeriale, se usato con saggezza, è un custode naturale degli equilibri politici, economici e sociali.

Questi poteri, però, hanno bisogno, appunto, di una persona in grado di adoperarli con sagacia, garbo istituzionale e ragionevolezza. Tre caratteristiche che soltanto un individuo con alto profilo può possedere, difficilmente rintracciabile nel quadro politico contemporaneo. L’elevata polarizzazione e il declino del dibattito pubblico hanno fatto il resto e rendono una figura come Mattarella difficilmente sostituibile.

I partiti, in sostanza, ne sono consapevoli. Ecco perché si fa molta fatica a indicare un nome. La cosa certa è che l’assenza di un fondamentale contrappeso di indirizzo politico per i prossimi otto mesi destabilizzerà il sistema partitico italiano. L’ultima volta in cui ci si trovò in una situazione simile, la politica rielesse per un secondo mandato Giorgio Napolitano – cioè il predecessore di Mattarella. Molti nomi furono affondati a causa dei veti incrociati delle formazioni partitiche, le quali al rispetto istituzionale preferirono i meschini calcoli politici, trovandosi alla fine senza un nome degno. Non è un caso, che si stia ipotizzando proprio un Mattarella-bis anche in questo caso. Alla politica odierna, insomma, manca quel supplemento di responsabilità che dovrebbe portare loro a indicare un nome ben prima del semestre bianco.

Cosa che non sta avvenendo: il centrodestra sta spingendo su Mario Draghi ma più per lasciare un vuoto a Palazzo Chigi – e quindi elezioni anticipate – che per la caratura della sua figura. Una soluzione sgradita al centrosinistra che vorrebbe l’ex BCE a Palazzo Chigi e un moderato al Colle.

Da diversi anni a questa parte, il semestre bianco si è trasformato in una lunga partita a scacchi dove il fine ultimo non è l’equilibrio istituzionale bensì il sovvertimento dei piani avversari. E ciò non può che riflettersi anche sulla comunicazione del periodo in questione, il quale dovrebbe virare più verso la concordia e la responsabilità, che sullo scontro elettorale. Ed è indicativo che, anche durante il periodo pandemico, il semestre bianco si sia trasformato nell’ennesima occasione per dividersi e contrapporsi.

Donatello D’Andrea

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