belgio calcio
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Van Eick nel 1400 inventò la pittura a olio, e poi fu la volta di Egide Wappers, James Ensor, Constant Permeke, René Magritte e infine Rubens, che diventò uno dei più grandi pittori del ‘600.
Sono passati secoli e decine di eccellenze culturali, ma in questa generazione, l’attitudine artistica che da sempre ha contraddistinto i belgi, sembra si sia trasferita dalle mani ai piedi.
Negli stessi undici, infatti, le nazionale di calcio dei Diavoli Rossi può contare per la prima volta su talenti brillanti come Hazard, De Bruyne, Lukaku, Carrasco, Mertens, Tielemans, Witsel, una generazione di fenomeni che, tutta insieme, non si era mai vista nelle Fiandre e, invero, è difficile anche per le grandi nazionali avere a disposizione.
Quello belga, infatti, è uno stato densamente popolato ma piccolo (11 milioni contro i 55 italiani) e soltanto un improbabile allineamento astrale misto a tanta programmazione poteva permettere un prodigio simile.

Come siamo arrivati al Belgio dei fenomeni

Michel Sablon, belgio calcio
Michel Sablon, il rivoluzionario del calcio belga.

A parte la fortuna, gli astri, però, c’è tanto lavoro. C’è un motto diffuso in Italia che più o meno fa così: “se raggiungi il fondo o scavi o ti dai una spinta”. Era il 1998 e il Belgio aveva raggiunto in quegli anni il proprio abisso. La federazione, infatti, veniva da alcune brutte figure sia ai Mondiali quanti agli Europei e esibiva senza lesinar imbarazzo un calcio vecchio, passatista, senza alcuno spiraglio di talento rilucente nei suoi uomini.
Qualcuno in uno di quei bellissimi palazzi neoclassici che contano, perciò, decise che occorreva cambiare qualcosa, forse tutto. Quel qualcuno era Michel Sablon, un uomo canuto con pochi capelli sullo scalpo ma dalla grande ambizione. Voleva, da una parte, emulare i cugini olandesi del calcio totale e della tecnica sopraffina e, dall’altra, trapiantare l’irreprensibile organizzazione tattica del calcio francese in Belgio. Viene fondato, così, in metodo GAG oggi il sistema di allenamento più applicato al mondo. Che, in estrema e non esaustiva sintesi, prevede la coniugazione dell’aspetto analitico (e quindi l’organizzazione tattica, la ripetizione isolata della giocata o della situazione di gioco) all’aspetto globale (quindi, il calcio palla al piede, fantasioso, libero di esprimersi ab imis fundamentis) nei programmi di allenamento.

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L’esultanza contro la Russia a Euro2020

A questo cambio dei modelli di riferimento e contemporanea sconfessione del proprio credo corrisponde un vero mutamento genetico del calcio belga e delle sua cultura sportiva. Sablon (e poi Bob Browaeys epigono e continuazione messianica del credo di Sablon), infatti, prenderà una serie di provvedimenti in nome del suo nuovo ideale di calcio, che elenchiamo di seguito:

  • Nessuna classifica per gli under 13 (a tutti i livelli) per favorire la crescita tecnica dei ragazzi e distoglierli dall’inutilità del risultato in funzione della loro formazione.
  • Maggior impegno nei settori giovanili della massima serie: in media una squadra della Jupiler Pro League investe circa il 10% del fatturato interno nello sviluppo dei giovani contro il 2% delle squadre di Serie A.
  • Potenziamento della sinergia scuola/sport: in Belgio ci sono dei college di impronta sportiva (come quello dell’Anderlecht) che permettono ai ragazzi durante ogni singolo giorno di praticare sport insieme ad altre altre materie scolastiche. Da noi funziona diversamente, sport e scuola sono quasi attività dicotomiche, mutuamente esclusive, con il primo da fare tre giorni alla settimana per un’ora e mezza o due nei ritagli di tempo. La conseguenza? In Belgio, un ragazzo avviato alla pratica agonistica, in due mesi, totalizza il numero di ore (e l’esperienza) che un pari età italiano totalizza in un anno intero.
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Otto anni di sofferenza per la rinascita

Insomma da questo stravolgimento culturale arrivano i De Bruyne, gli Hazard, i Mertens, i Carrasco, i Fellaini, i Tielemans, giocatori dalla classe costruita, dalla padronanza balistica quasi acrobatica, che fa stropicciare gli occhi agli appassionati di ogni angolo di mondo.
Una rivoluzione che è stata tellurica, sofferta, e che ha avuto bisogno dei suoi tempi per compiersi attraverso dodici anni senza alcuna qualificazione alle fasi finali di Europei e Mondiali (dal 2004 al 2012). Tutto, in nome di una rinascita.

Cosa manca al Belgio per entrare nel firmamento del calcio?

Liberarsi dal peso del trofeo importante. Liberarsi dalla maledizione della favorita che è obbligata a vincere.
Roberto Martinez, allenatore stimato e apprezzatissimo, è al banco degli imputati proprio perché a fronte di prestazioni convincenti in amichevoli e tornei minori, non ha replicato con la stessa brillantezza negli eventi decisivi. Spesso, infatti, sono state più le giocate dei pezzi pregiati a permettergli di rispettare il pronostico e arrivare in fondo.
All’ultimo Europeo, poi, la ferita più grande: i Diavoli Rossi in pieno spirito Ommegang – la celebre festa a costumi che si tiene solitamente fra giugno e luglio in Belgio – si sono trasformati in una nazionale normale facendosi sbattere fuori dal Galles ai quarti contro ogni pronostico.

E ora, il Belgio, è ai quarti contro l’Italia. Altra squadra, altra storia, ma sempre con i favori del pronostico dalla sua parte. Speriamo, per noi, che vada a finire come gli ultimi Europei.

Enrico Ciccarelli

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