Dopo la Brexit nel Regno Unito e la vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti si è fatta largo la certezza che i populismi trionfino grazie al web e alla diffusione delle cosiddette “bufale” sui social network.

Anche in Italia si sta lentamente affermando questo concetto, l’associazione di idee tra populismi e web, tra voti e bufale. Dopo i toni apocalittici del referendum costituzionale del 4 dicembre scorso, che ha visto da ambo le parti la diffusione di notizie false e di complotti inverosimili, la fine del 2016 è stata teatro di nuove polemiche in merito all’utilizzo e alla fruizione del web.

La vittoria del fronte del No al referendum costituzionale si è largamente caratterizzata come trionfo delle compagini politiche più populiste: la Lega Nord di Matteo Salvini e il Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo. Agli sconfitti e agli opinionisti, il compito di analizzare l’esito della campagna referendaria e di comprendere quali fattori abbiano realmente spostato l’ago della bilancia.

La sottile linea rossa che collegherebbe politica, populismi e web è stata tracciata ancor prima del 4 dicembre, quando BuzzFeed pubblicò un’inchiesta nei confronti del Movimento Cinque Stelle, nella quale si testimoniava la diffusione di notizie false, bufale e disinformazione ad opera di siti e pagine Facebook gestite dai leader/fondatori del Movimento.

Fatte queste premesse, si possono comprendere adeguatamente le parole del Ministro della Giustizia Andrea Orlando e del Presidente dell’Antitrust Giovanni Pitruzzella. Entrambi, seppur in modo diverso, delineano la necessità d’intervenire attivamente sui social network e sulla diffusione di falsità e disinformazione, per salvaguardare «il futuro della nostra democrazia».

La breve citazione precedente è tratta da una lunga “chiacchierata” di Andrea Orlando con Claudio Cerasa, direttore de Il Foglio, durante la quale il Ministro della Giustizia si sofferma più volte sul legame tra i populismi e il web, soprattutto i social network, sottolineando tuttavia come questo non sia diretto, piuttosto correlato al concetto di disintermediazione. Per spiegarlo in breve: tutto ciò che fa parte della mediazione è falso, tutto ciò che nasce dalla rete è vero.

Il discorso del Ministro ricalca il pensiero dello scrittore Alessandro Baricco pubblicato su La Repubblica dopo l’elezione di Donald Trump, e si riassume con l’analisi del web e dei social che hanno gradatamente privato della loro autorità i mediatori dell’informazione e della politica: se una notizia è riportata da un quotidiano o da un uomo politico è falsa o faziosa, se è scritta a caratteri cubitali su Facebook è certamente vera.

Le parole del Ministro della Giustizia e la necessità di intervenire attivamente sui social network sono state ricalcate e condivise da Giovanni Pitruzzella.

In un’intervista rilasciata al Financial Times, il Presidente dell’Antitrust è ulteriormente più radicale nel suo invito ai Paesi dell’Unione Europea di dotarsi di una rete per combattere la diffusione di notizie false sul web e sui social network.

«Siamo a un bivio: dobbiamo scegliere se vogliamo lasciare Internet così com’è, un Far West, oppure se imporre regole in cui si tiene conto che la comunicazione è cambiata».

Le parole di Pitruzzella, che non accusano il Movimento Cinque Stelle, ma si riferiscono a un quadro generale dell’informazione su Internet, hanno scatenato comunque la furia mediatica di Beppe Grillo, che ha accusato il Presidente dell’Antitrust di voler instaurare una nuova Santa Inquisizione, controllata dai partiti di governo, in grado di censurare i contenuti del web.

«Questo Blog non smetterà mai di scrivere e la Rete non si fermerà con un tribunale. Bloccate un social? Ne fioriranno altri dieci che non riuscirete a controllare. Le vostre post-cazzate non ci fermeranno».

Quale posizione prevarrà? La diffusione dei populismi è realmente agevolata dal web oppure è solo un luogo comune?

Andrea Massera

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