Lo sport, fatta eccezione per il calcio professionistico, è fra i settori più colpiti dalle misure varate per fronteggiare la pandemia da covid-19. Secondo Il Sole 24 Ore le perdite per palestre e piscine, ormai chiuse da un anno, ammonterebbero a 8,5 miliardi, ovvero il 70% dei ricavi rispetto ai 12 miliardi fatturati nel 2019. Una situazione drammatica se si considera che a rischio ci sono un milione di posti di lavoro e che molte attività sono fallite perché non sono riuscite a sostenere i costi. In occasione del primo maggio, abbiamo chiesto un punto della situazione a Fabio Fabrizi, proprietario della piscina B&F Sporting Club di Roma, per verificare lo stato dell’arte di chi possiede un impianto sportivo.
La riapertura delle piscine è prevista per il 15 maggio: ritenete che la proroga della chiusura delle attività sportive sia stata appropriata, oppure che si sarebbe dovuto riaprire prima nel rispetto delle norme di sicurezza?
«Le riaperture riguarderanno le piscine all’aperto e non gli impianti al coperto; sono poco funzionali al momento, visto il periodo e le temperature esterne che ancora non permettono una grossa affluenza. Certamente si sarebbe potuto riaprire prima, visto che ogni impianto sportivo dopo il primo lockdown ha adottato tutte le misure di sicurezza necessarie: misurare la temperatura e far compilare l’autocertificazione, prenotare e contingentare gli accessi e sanificare. Le chiusure durano da più di 13 mesi e, a mio avviso, non sono giustificate da nessuna evidenza scientifica».
Prevedete che la maggior parte dei vostri iscritti ritornerà regolarmente ad allenarsi, oppure che questa lunga sosta abbia allontanato le persone dall’attività fisica?
«Gli impianti sportivi non sono solo luoghi dove ci si allena, ma sono anche centri di aggregazione, di socialità, di convivialità ed è con questa visione che la gestione degli impianti sportivi si è evoluta negli ultimi anni. Di conseguenza, questa lunga sosta avrà una ricaduta inevitabilmente negativa sulla frequenza all’interno dei luoghi dove si fa sport».
Qual è stata la misura dell’impatto economico delle chiusure?
«Il danno da un punto di vista economico è rilevante. Ma anche in termini di valore: chi esercita questa attività fa un servizio dedicato alla persona, entra in sintonia con i clienti ed ha a cuore il benessere; tutto quello che si è costruito nel tempo, oggi è stato spazzato via da una comunicazione terroristica e da scelte governative scellerate».
I sussidi statali stanziati in questi mesi hanno aiutato a contenere i costi fissi per la gestione dell’attività?
«Assolutamente no, riporto il mio caso: nel 2020 ho avuto una perdita di 480.000 euro rispetto al 2019, a fronte di un contributo a fondo perduto di 30.000, pari a poco più del 6% delle perdite sostenute. A questo vorrei aggiungere che nel 2021, dopo 4 mesi, stiamo ancora aspettando che il governo conceda qualcosa a fronte di 120 giorni di chiusura totale».
In che misura il Governo Conte prima e poi quello Draghi sono stati presenti durante questo periodo?
«Il primo ha provato a trovare soluzioni iniziando un percorso di sostegni forse un po’ troppo generalizzati e, non conoscendo nel profondo il nostro mondo, ha dato anche a chi non era opportuno dare; il secondo invece al momento è assente. Faccio alcune semplici considerazioni: in questo Governo non c’è un Ministro dello Sport – volutamente. Il sottosegretario nominato non è né espressione politica, né tanto meno di un movimento che rappresenti lo sport, ma è un illustre personaggio sportivo che ad oggi esegue i dettami delle logiche governative».
Le vostre istanze sono state accolte e sostenute da qualche corpo intermedio, da qualche partito politico o da qualche figura istituzionale?
«Ad oggi, per il momento, solamente l’opposizione mostra di sostenere il nostro mondo. L’unico che intercetta il nostro drammatico dolore, è il Presidente della Federazione Italiana Nuoto, Paolo Barelli, che prova in tutte le sedi istituzionali e non a farsi carico dei problemi e ad urlare a gran voce l’importanza del nostro mondo e l’ingiustizia che stiamo subendo, ma che ancora ad oggi riceve come risposta un assordante silenzio».
Di fatto, se i sussidi sono arrivati (seppur centellinati), quello che si evince da queste dichiarazioni è quanto sia mancata la presenza costante e credibile di istituzioni che rassicurassero i lavoratori di questo settore economico e che gli facessero comprendere l’appropriatezza delle decisioni prese dal Governo, in particolare l’urgenza delle restrizioni e delle chiusure.
Sarebbe opportuno che anche l’alveo della Sinistra, smettendo di arroccarsi su posizioni ideologiche, torni a prendere in considerazione questo settore, entrando all’interno delle contraddizioni che attanagliano il mondo del nuoto e approcciando alla tematica in maniera meno deterministica possibile. Dopotutto, è pur vero che questo settore non si è ancora dotato di un’organizzazione materiale e di una narrazione a essa affine che ne rafforzi le certezze e si faccia megafono delle sue esigenze.
Gabriele Caruso