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Milik: il bomber polacco dimenticato (solo dal Napoli)

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Milik è pronto per abbandonare il Napoli. Un rapporto fatto di gioie e dolori, mai decollato.

Il calcio è un gioco di squadra, ragionato, soprattutto in Italia. Undici uomini contro altri undici uomini, un caos che si tenta di ordinare attraverso il talento, la giocata, gli schemi, la tattica, la mentalità.
In questo pulviscolo di fattori, a volte, un giocatore ha l’occasione che può cambiare la partita. Non solo, quell’occasione può cambiare la sua carriera e dare una precisa traiettoria agli eventi che seguiranno.
Segnare non segnare. Gol. Palo. Rosso. Nero. La roulette gira irrequieta fra queste possibilità, in una frazione infinitesimale di secondo, in un tempo che sembra sospeso per chi ha la palla buona. Per le squadre coinvolte, per i tifosi chiamati a trattenere il respiro.
Lo chiamano “episodio”, come fosse un fattore controllabile, una sequenza di eventi connessi che portano a un momento e, invece, è proprio quello a fare la differenza tra quello che viene considerato un grande giocatore e uno soltanto discreto.
Fenomeni a parte.

Milik centravanti moderno
fonte: Getty Images

Questione di percezione, di fatti. L’episodio, infatti, può portarti in gloria, disegnare un orizzonte nuovo in cui tutte le parti (giornalisti, tifosi, esperti) condividono una medesima valutazione di merito o farti sprofondare nel pantano della normalità, stringerti nel domopack del giocatore normale, un’etichetta difficile da sbarazzarsene e dalla quale, lo stesso calciatore può abbracciare sollevato dai milioni e dagli stipendi a sei zeri.
Il calcio, per questo, al netto del business, della performance, della visione artistica, è uno sport ingiusto.
La palla e rotonda, passa fra una moltitudine di incroci di gambe e, a volte, un alito di vento, un rimbalzo, un piede appoggiato male, una parata miracolosa, può determinare esiti completamente opposti.
Ci sarebbero tante storie da raccontare, di carriere andate in un certo modo. Biografie archiviate negli almanacchi di settore, destinate ai ricordi dei più appassionati, ricordi taciuti e dimenticati in quanto con i “se” e con i ma non si fa la storia.

Milik e il Napoli: un amore mai sbocciato

Biografie come quella di Arkadiusz Milik, prototipo del centravanti moderno, falcidiato dalla sfortuna, nemico degli episodi, ma che gli addetti ai lavori non hanno mai perso di vista (in questi giorni lo corteggiano Juventus, Atletico Madrid, varie squadre della Premier League). Un giocatore in grado di segnare in ogni modo: di destro, di sinistro, di testa, da calcio da fermo, un giocatore tutt’altro che statico e in grado di adattarsi alle mutevoli filosofie di gioco dei tecnici odierni.
Un talento mai consacrato ad altissimi livelli ma che, nonostante ciò, ha sempre attirato su di sé le lusinghe dei top club europei; società consapevoli che il talento, la potenzialità, non si valutano soltanto con i numeri, ma valutando i “perché” di quei numeri.
Dopo una fugace esperienza in Germania, Milik, si impone all’Ajax, da sempre bottega raffinata dei talenti che sarebbero esplosi. Gioca in un calcio arioso, un torneo dove ancora questo è un divertimento, non attanagliato nella tattica, affogato negli schemi, del “calcio totale” dove la filosofia dominante rimane: vince chi fa un gol in più.
‌E forse per questo che tutti i bomber passati in Eredivisie hanno dovuto faticare il doppio per convincere lo scetticismo dei sommelier tecnici, in quanto oggetto di un pregiudizio di un calcio che favoriva i grandi numeri e che offuscava le reali capacità dei giocatori. Questioni di contesto. Di numeri, appunto.

D’altronde Alfonso Alves, Bas Dost, El Hamdaoui, Huntelaar, Kezman, Finnbogason, signori nessuno che in Olanda vengono ricordati come bomber, mentre in qualsiasi altra nazione vengono confusi con marchi di birra.
Gente che lì spaccava le porte ma che negli altri campionati, con impatti diversi, non ha lasciato tracce – Suarez e Van Nistelrooy a parte.
Milik segnava, tanto, come i signori di sopra. Ma in lui c’era qualcosa in più, era evidente. Destro, sinostro, colpo di testa, prima punta, seconda punta, giocate di sponda, in profondità.
Così decide di puntarci il Napoli, da sempre sensibile ai veri talenti (Cavani prima di essere acquistato aveva collezionato 34 gol in 109 partite) per sostituire lo spergiuro Higuain. Una pressione non da poco per il polacco, dato che in pochi sarebbero riusciti a non sciogliersi in un ambiente caldo come quello napoletano, diventato rovente dopo l’addio dell’argentino. Gonzalo Higuain, infatti, aveva fatto innamorare i tifosi partenopei a suon di record e, successivamente, li aveva abbandonati per la nemica Juventus, dopo l’ennesimo secondo posto, dopo aver cantato “un giorno all’improvviso”, sotto la curva, baciandosi la maglia. Un simbolo importante per il Napoli, per una città che vive e si nutre di simboli. Un’eresia per i tifosi del napoli, per la dirigenza, colpita nell’orgoglio che voleva dimostrare, nei fatti, di non aver più bisogno dell’argentino. E tutte queste speranze erano riposte in questo giovane polacco di cui si raccontava un gran bene. Ma, appunto, veniva dall’Olanda, e quindi oh “non si sa mai”.

Milik Leverkusen
fonte: Sky Sport

Milik arriva, segna al debutto. Una doppietta. Di testa. I segnali sono dei più positivi. Ma proprio quando stava per prendere Napoli sulle sue spalle, arriva anche il primo grave infortunio.
Al suo posto giocherà Gabbiadini, per un periodo che ancora i napoletani ricordano con dolore.
Milik torna dopo 9 mesi, e pronti via, torna a segnare. Si integra perfettamente nei meccanismi di Maurizio Sarri e sembra nuovamente ingranare. Gioca poco e segna, sembra il Julian Ross del mondo reale ma, come quest’ultimo, ha la sfiga che lo segue più di un cane fedele. Infatti, arriva l’ennesimo grave infortunio, stavolta l’altro ginocchio.
Molti sarebbero caduti in una spirale psicologica che li avrebbe portati a giocare in club sempre più piccoli e meno ambiziosi. O addirittura al ritiro. Non il polacco, che ritorna dopo altri 7 mesi. Non si abbatte e, una volta in campo, torna a segnare come se nulla fosse accaduto. Stavolta la sfortuna sembra dargli una libera uscita e, al primo anno senza infortuni, Milik, ne mette dentro 17 in 34 partite.

Il crocevia di Anfield

Prestazioni sopra la media, gol d’incanto. Fino alla serata di Liverpool, quella sere dove Milik poteva diventare un eroe per il popolo napoletano.
Gironi di Champions League. I Reds sono avanti 1-0, se il Napoli segna, gli azzurri si qualificano e sbattono fuori i favoritissimi reds dall’unica coppa che conta.
Minuto 92: Milik si trova davanti alla porta. La palla capitombola nei suoi pressi, sembra persa, è in controtempo. Ma con uno scatto di reazione, con munifica determinazione, poggiando su quel ginocchio che lo ha sempre tradito, Milik riesce a tirare. Segnare non segnare. Rosso. Nero. Gol. Paolo. Alla fine il pallone impatta su Allison e va fuori. La partita finisce 1-0 per i reds. Milik non ci crede. I tifosi si disperano. La dirigenza, forse, in gran segreto, rimpiange Higuain, il bomber mai dimenticato.
In questo vortice di emozioni, contraddittorie, nevrasteniche, si racconterà che Milik si è divorato un gol, quel giocatore discreto e nulla più, di certo non da Napoli, che ha sancito l’uscita dalla coppa per gli azzurri. 

Si dimenticheranno gli episodi. E questi spesso, offuscano la ragione. Diventano verità. Pretendono di misurare oggettivamente il valore di un calciatore.
Eppure, Milik, potrebbe essere di nuovo ad Anfield, al 92′ davanti alla porta. Magari Allison questa volta alzerebbe di appena qualche centimetro il braccio. E in quel caso, probabilmente, si parlerebbe di un’altra storia. Quella che raccontiamo oggi, invece, è quella di Arkadiusz, il centravanti moderno, ormai al passo d’addio. Senza troppi rimpianti da parte di tifosi e società.

Questione di momenti, questione di contesti. Di numeri. 
Il calcio, come la vita, è molto altro.

Enrico Ciccarelli

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