L’ultimo rapporto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali riguardo all’attività ispettiva è di recente stato reso noto, mostra dei dati alquanto sconfortanti rispetto alla conformazione dell’attuale mercato del lavoro.

Scorrendo il rapporto si può notare come, con riguardo alle sole aziende sottoposte ad attività ispettiva da parte di Ministero, Inps ed Inail (221.476), le aziende in situazione di irregolarità sono una su due. Il numero di lavoratori irregolari accertati quest’anno sono 73.508, il 42,6% dei quali è costituito da lavoratori in nero. Dato in aumento del 7% se messi in paragone con la precedente rilevazione. Se si guarda poi ai settori presi in considerazione dagli ispettori del solo Ministero, l’agricoltura rappresenta l’ambito dove, a fronte del minor numero di controlli, i lavoratori in nero si concentrano maggiormente: il 45,60% , contro il 36,75% nell’industria, il 34% nel terziario ed il 15,34% nell’edilizia.

Al di là dei proclami politici del rapporto, che vantano dunque i grandi risultati dei servizi ispettivi, c’è ben poco di cui essere soddisfatti se si considera che le aziende irregolari rappresentano il 64,17% di quelle soggette ad ispezione, ed il valore delle maxi-sanzioni erogate è pari a 1.508.604.256,00 euro: segno che l’interesse dei datori di lavoro per i diritti dei lavoratori risulta in realtà molto scarso.

I nostri lavoratori, da quanto emerge dal rapporto, sono ancora vittime delle peggiori pratiche imprenditoriali: l’utilizzo di contratti flessibili al solo fine di eludere la normativa dei contratti di lavoro subordinato (9.428 i contratti riqualificati in seguito ai controlli); l’utilizzo degli appalti, della somministrazione e delle altre forme di decentramento con il solo interesse di abbattere il costo del lavoro (8.320 i contratti di questo tipo emersi dai controlli); orari di lavoro eccessivamente lunghi e spesso non conformi alle ore previste dal contratto (7.286 gli illeciti contestati in materia). Non basta che il legislatore negli ultimi anni si sia impegnato ad offrire strumenti contrattuali sempre più deboli sul lato dei diritti, i datori di lavoro continuano ad assumere in nero, soprattutto nell’ambito dell’agricoltura che è il settore che presenta il maggior numero di lavoratori privi di qualsivoglia tutela contrattuale.

E la debolezza dei lavoratori sul mercato è ormai sempre più evidente, e le forme di sfruttamento più “antiche”, quelle che sembravano relegate ad un passato ormai remoto, sono ancora molto attuali. Il fenomeno del cosiddetto “caporalato” o intermediazione illecita, che nel nostro paese è considerato reato dal 2011, è ancora una piaga sociale che, secondo l’ultimo rapporto Flai-Cgil su Agromafie e caporalato, coinvolge un giro di ben 12,5 miliardi di euro. Sempre secondo le  ricerche svolte dal sindacato, sarebbero circa 400 mila i lavoratori assoldati in questo modo: un esercito di lavoratori invisibili, perché prevalentemente clandestini, sottoposti ad orari di lavoro insopportabili per paghe veramente misere. Si deve immaginare che in media, questi, che in molti casi potremmo definire “schiavi”, hanno una paga di circa venti euro al giornoper un lavoro di 12 ore, senza alcuna assicurazione per infortuni o malattie professionali. Forti della presenza della mafia, gli imprenditori agricoli, riescono ad ottenere lavoro a basso costo, grazie anche alla scarsa presenza degli ispettori nel settore agricolo e della posizione di debolezza di questi lavoratori che molto spesso preferiscono tacere, piuttosto che rischiare di perdere il posto e denunciare, con il rischio di ritrovarsi inascoltati e senza più occasioni di guadagno. A di là delle aspettative, c’è da dire, ad onor del vero, che le organizzazioni sindacali non sono sempre riuscite ad andare oltre le proprie stesse denunce ed il fenomeno del caporalato non sembra aver minimamente arrestato il proprio passo.

Nonostante le grandi evoluzioni che la legislazione sul lavoro aveva fatto nella prima metà del ‘900, il nostro mercato si regge ancora sullo sfruttamento del lavoratori, segno che forse il nostro legislatore dovrebbe avere più attenzione per il lavoratore, piuttosto che puntare su forme contrattuali sempre più indirizzate verso la compressione dei diritti, che, come vediamo, sono sempre più assenti. D’altronde l’innalzamento delle statistiche sull’occupazione non vale niente, se quell’occupazione è di scarsa qualità.

Antonio Sciuto 

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